Cass. pen., sez. VI – sentenza 18 gennaio 2010, n. 1998. Pagare il primario affinchè effettui personalmente e tempestivamente l’intervento chirurgico integra concussione.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo
Con sentenza in data 9 luglio 2005 il Tribunale di Roma dichiarava A.E. colpevole del delitto di cui all’art. 317 c.p., quale (OMISSIS) dell’Ospedale convenzionato "(OMISSIS)", prospettando l’assoluta necessità di un intervento chirurgico sulla colonna di D.R. e l’eventualità di una lunga attesa e degenza nell’Ospedale di (OMISSIS) a fronte dei tempi molto più brevi della Clinica "(OMISSIS)" presso la quale egli operava privatamente e ove tuttavia sarebbe occorsa la somma di lire 35 milioni, e altresì la probabilità che in caso di ricovero presso l’Ospedale (OMISSIS) l’intervento venisse effettuato da altro medico, costringeva o comunque induceva la D. – la quale era convinta di non poter fare a mano della prestazione dell’ A. da molti ritenuta altamente specializzata – a promettere, nel (OMISSIS), la somma di L. 5 milioni perchè l’ A. procedesse personalmente all’operazione, e a consegnargli, dopo che l’operazione aveva avuto luogo, nell'(OMISSIS), L. e 3 milioni in contanti e un quadro della fine dell’800 raffigurante " (OMISSIS)".
La decisione impugnata dall’imputato veniva confermata dalla Corte di appello di Roma con sentenza del 30 ottobre 2008.
Avverso questa sentenza propone ricorso l’ A. a mezzo del difensore, deducendo, col primo motivo, il vizio di motivazione sulle censure sollevate in sede di appello, relative in particolare: – alla scarsa credibilità della parte offesa, in ragione delle plurime iniziative giudiziarie direttamente o indirettamente adottate contro il prevenuto con esito sempre negativo; – al contrasto fra il tenore di una lettera scritta dalla sig.ra C., amica della D., nella quale non si parlava dei soldi dati da quest’ultima all’imputato, e la deposizione resa dalla stessa C. in giudizio; – al contrasto fra la urgenza dell’intervento rappresentata, secondo la parte offesa, dal prevenuto (e smentita in parte dalla stessa C.), e i tempi di effettiva esecuzione dell’intervento medesimo; – alle numerose difformità esistenti fra le dichiarazioni della D. e quelle del suo convivente P..
Col secondo motivo, il ricorrente deduce che i fatti cosi come ritenuti in sede di merito sarebbero riconducibili non al delitto di concussione, bensì a quello di corruzione, vertendosi in una ipotesi di trattativa condotta paritariamente al fine di garantire alla D. che l’intervento fosse eseguito personalmente dall’ A..
Con ulteriori note difensive si è infine eccepita l’intervenuta prescrizione del reato.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato, per i motivi di seguito esposti, e tanto rileva ai fini del mantenimento delle statuizioni civili, posto che, agli effetti penali, il reato ascritto deve essere dichiarato estinto per decorso dei termini massimi di prescrizione: infatti, stante la consumazione del reato alla data del (OMISSIS), il termine massimo di 22 anni e mezzo, allungato di 6 mesi e 4 giorni per sospensioni del processo (dal 24 febbraio al 5 maggio 2003 in primo grado e dal 23 giugno al 17 ottobre 2008 in appello) è scaduto il 19 aprile 2009.
Passando ora a esaminare le censure che il ricorrente muove alla sentenza impugnata, in riferimento alle risposte, omesse o viziate, ai motivi formulati nell’atto di appello, si rileva che:
– la considerazione della Corte d’appello, secondo la quale la conflittualità tra imputato e persona offesa rappresenta una costante del processo penale, sicchè non può determinare nel caso di specie anormali criteri valutativi, non è inficiata da carenza o manifesta illogicità alla luce delle plurime iniziative giudiziarie direttamente o indirettamente adottate contro il prevenuto con esito sempre negativo, posto che le stesse si collocano evidentemente nell’ambito della detta conflittualità, della quale si deve correttamente tener conto ai fini della valutazione delle dichiarazioni accusatorie nel contesto del complessivo esame del materiale istruttorio (come fatto dalla Corte capitolina);
– nella sentenza impugnata si da una spiegazione non manifestamente illogica (volontà di non lasciare tracce pregiudizievoli per un professionista di cui essa poteva aver bisogno) del fatto che nella lettera della C. del (OMISSIS) non si parli delle richieste fatte dall’ A. alla D., evidenziando peraltro che le ragioni che avrebbero poi – secondo la difesa – artatamente indotto la D. ad arricchire successivamente le dichiarazioni della C. col riferimento alle dazioni già sarebbero state presenti al momento della redazione della lettera, posteriore a quello (1988) di presentazione della denuncia da parte della D.; onde anche il non illogico rilievo che, sicura essendo la dazione del quadro, l’eventuale iniziale omessa informativa sulle dazioni (che spiegherebbe il silenzio della lettera sulle stesse, non escluso in sentenza con riferimento al quadro, come asserito in ricorso) significherebbe solo che la D. non volle in un primo tempo parlarne e non che abbia aggiunto, in un momento successivo, alla dazione del quadro, quella dei soldi;
– sul contrasto fra la urgenza dell’intervento rappresentata, secondo la parte offesa, dal prevenuto (e smentita in parte dalla stessa C.), e i tempi di effettiva esecuzione dell’intervento medesimo, la sentenza impugnata ha offerto una spiegazione non manifestamente illogica, dando preciso conto delle ragioni del ritardo della detta esecuzione e rilevando, in maniera che non può considerarsi certo irragionevole, che la prospettazione che essa, non operandosi, sarebbe finita sulla sedia a rotelle, non poteva che derivare da conoscenze tecniche di cui la donna non era fornita, onde non rileva che tale circostanza, confermata anche dal P. (convivente della D. ma non per ciò solo inattendibile), non sia stata riferita anche dalla C. (alla quale anzi – osserva ancora non illogicamente la Corte di merito – la D., se l’avesse artatamente inventata, si sarebbe specificamente preoccupata di raccontarla);
– anche sul preteso contrasto esistente fra le dichiarazioni della D. e quelle del suo convivente P. in ordine alla causale del pagamento, la Corte di merito ha offerto una spiegazione non illogica (e contrastata in ricorso con rilievi di carattere sostanzialmente valutativo), rappresentando come la ragione, addotta dal P., di evitare le paventate intempestive dimissioni della donna riguarda specificamente la scelta del momento della corresponsione ma non contraddice la ragione a monte della promessa, riferita dalla D. e dallo stesso P., relativa all’intervento personale nella operazione dell’ A..
Correttamente e logicamente argomentata dalla Corte d’appello è, infine, la qualificazione del fatto come concussione, alla stregua della ricostruzione della vicenda così come operata, in relazione in particolare allo stato di soggezione in cui la D., sofferente e preoccupata, si trovava rispetto al primario Prof. A.. Valga al riguardo ricordare la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale:
– poichè le persone malate ed i loro familiari si trovano particolarmente indifesi di fronte al medico preposto al pubblico servizio sanitario, dalle cui prestazioni dipende la conservazione di beni fondamentali, quali la salute e, in determinati casi, la stessa vita della persona, anche la sola richiesta di compensi indebiti da parte di detto medico acquista, in tale situazione quell’efficacia quantomeno induttiva sufficiente ai sensi dell’art. 317 cod. pen. per la sussistenza del reato di concussione (Cass. 29 marzo 1995, Azzano);
– risponde del reato di concussione, e non di truffa aggravata, il direttore di un’unità operativa cardiochirurgica di un ente ospedaliere, che prospettando ai pazienti, ricoverati per essere sottoposti a delicati interventi chirurgici, il rischio di essere operati dal medico di turno, privo della necessaria pratica, si faccia consegnare, a titolo di ringraziamento, somme non dovute, per condurre egli stesso l’operazione chirurgica (Cass. 30.09.2005, n. 39955).
P.Q.M.
Visti gli artt. 615, 620 e 578 c.p.p.. annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il reato è estinto per prescrizione, ferme restando le statuizioni civili;
condanna il ricorrente a rimborsare alla parte civile D.R. le spese sostenute nel grado, che liquida in complessivi Euro 3.500,00, oltre spese generali, iva e cpa come per legge.
Così deciso in Roma, il 21 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2010

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *