Cass. civ. Sez. V, Sent., 31-01-2011, n. 2211 mposta reddito persone fisiche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – A.P.M. impugnava la cartella esattoriale, relativa ad IRPEF del 1994, e notificata il 26 settembre 2001, con cui veniva intimato il pagamento, con sanzioni e interessi, di quanto dovuto e non versato in base alla dichiarazione dei redditi a suo tempo regolarmente presentata.

1.1 – La Commissione tributaria provinciale di Torino accoglieva il ricorso.

1.2 – Proponeva appello l’ufficio e, nelle more del giudizio di secondo grado, il contribuente presentava domanda di definizione della lite, ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 16, in relazione alla quale l’Ufficio emanava provvedimento di diniego, contestato dal l’ A..

1.3 – La Commissione tributaria regionale del Piemonte, con la decisione indicata in epigrafe, affermava l’illegittimità del citato diniego.

1.4 Con ricorso tempestivamente notificato l’Amministrazione finanziaria ha proposto ricorso per cassazione avverso detta sentenza, affidato a due motivi, chiedendo, quindi, la cassazione del provvedimento impugnato. Resiste con controricorso l’ A..

Motivi della decisione

2. – Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia denuncia a violazione della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, nonchè vizio di motivazione, in relazione a all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, per avere la Commissione tributaria regionale qualificato come atto impositivo la cartella di pagamento che, con riferimento al caso in esame, aveva natura di atto meramente liquidatorio.

2.1 – Con il secondo motivo la sentenza viene censurata sotto il profilo della violazione dell’art. 132 c.p.c., per avere la Commissione tributaria regionale, senza fornire alcuna motivazione al riguardo, rigettato l’appello dell’Ufficio.

2.2 – Il primo motivo è infondato.

Questa Corte ha invero già precisato (Cass., 30 aprile 2010, n. 10588; Cass., 16 aprile 2010, n. 9140; Cass. 2 luglio 2009, n. 15548), adottando una soluzione che il Collegio pienamente condivide, che alla cartella di pagamento va negata natura di atto impositivo autonomo, direttamente impugnabile come tale, allorchè essa faccia seguito ad un avviso di accertamento.

Al contrario, quando la cartella stessa, come nel caso scrutinato, costituisca l’unico atto che consente al contribuente di mettere in discussione la debenza del tributo, l’atto deve essere qualificato, a prescindere dalla sua formale definizione, come atto di imposizione.

Nel caso in questione, risponde al vero che la cartella ha ad oggetto la liquidazione di imposte calcolate sui dati forniti dallo steso contribuente, in forza di una procedura che difetta della natura di accertamento, ma è altrettanto vero che la cartella è l’unico atto che rende nota al contribuente la pretesa fiscale.

Ne consegue che il contribuente deve necessariamente impugnarla ove intenda contestare l’ingiunzione del fisco, e che ciò può fare non solo denunziando vizi propri della cartella o della notifica della stessa, ma anche per questioni che attengono all’esercizio del diritto da parte dell’Ufficio ad esempio per violazione dei termini di decadenza) o direttamente al merito della pretesa (ad esempio, eccependo di avere già pagato o di avere errato nella dichiarazione). Ciò comporta che la cartella non preceduta da altro atto autonomamente impugnabile ha natura di per sè necessariamente impositiva, a prescindere dall’attività che documenta, con l’effetto che la controversia che su di essa sorge rientra tra quelle indicate nella citata L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 3, lett. a), il quale significativamente riferisce la nozione di lite fiscale pendente, per il quale ammette il condono, non solo alle controversie aventi ad oggetto avvisi di accertamento, ma anche a quelle su cui si discute di "ogni altro atto di imposizione". 2.3 – Il secondo motivo, con il quale si prospettano questioni inerenti al rigetto dell’appello dell’Ufficio, contenuto esclusivamente nel dispositivo della decisione impugnata, è evidentemente inammissibile, avuto riguardo alla natura assorbente del rilievo inerente alla legittimità del ricorso, da parte del contribuente, alla L. n. 289 del 2002, art. 16. 3. Ricorrono giusti motivi, essendosi l’indirizzo giurisprudenziale sopra richiamato consolidato in seguito alla proposizione del ricorso, per la compensazione delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Spese compensate.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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