Cass. civ. Sez. V, Sent., 31-01-2011, n. 2194 Tassa rimozione rifiuti solidi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Avverso la cartella esattoriale di Euro 17.023,46 per tassa di smaltimento di rifiuti solidi urbani per gli anni 1999 – 2000, la Società Olearia Medio Abruzzo – S.O.L.E.M.A. snc propose ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Pescara nei confronti del Comune di Scafa, deducendo la illegittimità della pretesa, in quanto riferita a tutti i locali ed aree del complesso industriale per la lavorazione di sanse vergini di ulivo, dei quali solo metri quadrati 240 erano destinati ad uffici e magazzino, sicchè la residua superficie produceva rifiuti speciali smaltiti direttamente dalla società.

Il Comune resistette, sostenendo che la tassa era stata commisurata ai locali per ufficio, abitazione del custode, officina e magazzino e alle aree scoperte a parcheggio.

La Commissione tributaria provinciale respinse il La società propose appello che la Commissione tributar la regionale di L’Aquila ha accolto, annullando la iscrizione a ruolo relativamente alla superficie di metri quadrati 5719, concernente l’opificio industriale.

Premesso che il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3 esclude dalla tassazione superfici dove si formano rifiuti speciali e che è onere del contribuente provare le situazioni di esonero dalla imposizione, ha osservato il giudice di appello – per quanto ancora qui rileva – che la Amministrazione comunale non aveva proceduto in modo indiscriminato, avendo verbalizzato il 23 dicembre 1994 le operazioni di misurazione e destinazione delle superfici imponibili, in contraddittorio con la società, nel corso delle quali e risaltata una superficie di metri quadrati 5719 occupata dai capannoni, oltre agli uffici, al deposito, alla casa del custode e piazzali.

Ha precisato che la tassazione aveva interessato una parte dei piazzali e la superficie interna, comprensiva di quella dei capannoni costituenti il vero e proprio opificio, della quale, avuto anche riguardo a quanto il Comune aveva asserito, ha invece escluso la tassabilità, considerando che la assimilazione deliberato dal consiglio comunale con atti nn. 29 e 50 del 1993 dei rifiuti speciali agli urbani può trovare la sua ragione nel fatto che è limitata per qualità e quantità di rifiuti stessi.

Propone ricorso con tre motivi il Comune; resiste con controricorso la società. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Il controricorso non può essere esaminato perchè ne è mancata la rituale notifica, essendo stata eseguita alla parte personalmente e non nel domicilio eletto presso il suo difensore.

Con il primo mezzo il Comune di Scafa denunzia vizio di motivazione laddove "contraddittoriamente" (a suo dire) la sentenza impugnata afferma che il Comune, nei due gradi di giudizio, ha asserito che la imposizione non ha riguardo ai capannoni, aggiungendo "il che può trovare la sua ragione nel fatto che la statuita assimilazione dei rifiuti speciali a quelli ordinar urbani è limitata alla qualità e quantità dei rifiuti stessi, che risulterebbe plausibile nel caso in esame"; "premessa erronea, considerato che la difesa del Comune non ha mai asserito che la compiuta iscrizione a ruolo non comprendesse le aree relative all’opificio", avendo anzi sostenuto la legittimità del prelievo relativamente ai capannoni, tanto più che il Comune aveva richiamato la portata percettiva delle delibere con cui era "stata sancita l’assimilazione dei rifiuti derivanti dalle attività economiche industriali ai rifiuti urbani e regolamentata la in tassabilità del areo".

La censura non ha alcun pregio.

La sentenza impugnata è stata congruamente motivata sul rilievo della dichiarazione del Comune nei due gradi di giudizio, in ordine alla esclusione dalla Imposizione dell’area dei capannoni, ampiamente esplicitato nella esposizione dei fatti di causa allorchè (f. 7) ha evidenziato il tenore dell’assunto dal Comune, – riportato tra virgolette – di avere cioè "commisurato l’entità del tributo imposto alla Solema alla estensione delle superfici (magazzini, uffici, abitazione del custode e parcheggi) che dalle risultanze degli atti in suo possesso e per diretta conoscenza dello stato dei luoghi non sono destinati all’attività tipica della società", ribadendo così quanto già desunto dalle difese in primo grado, laddove il comune aveva resistito "contestando la fondatezza dell’avversa domanda, rappresentando tra l’altro essere stata la tassa calcolata esclusivamente suoi locali destinati a ufficio, magazzino ed aree scoperte" (f. 3).

Rilievo che ha trovato ulteriore riscontro nel passaggio (f. 6) in cui, riportando le controdeduzioni de Comune rispetto all’atto di appello della società, C.T.R. riferisce che in esse si era sostenuto che solo una parte del vasto complesso immobiliare è utilizzato per la lavorazione della sansa, la restante parte essendo adibita ad ufficio, abitazione, magazzini, officina e parcheggio, con la possibilità per il giudice di appello di vagliare ogni dato ed elemento, anche in correlazione alla dedotta circostanza della avvenuta assimilazione degli speciali agli urbani, avendo esso poi osservato che potesse ciò risultare in linea con la esclusione dalla imposizione dei capannoni in forza della sua limitazione alla quantità e qualità dei rifiuti stessi.

Se dunque infondata è la deduzione del vizio motivazionale, carente sul piano della autosufficienza è invece la denunzia proposta, poichè manca di esporre in maniera completa e riportandone l’esatto tenore le difese assunte nei gradi di merito, al punto da giustificare l’addebito che, peraltro, ove fosse costituito da un travisamento del fatto, avrebbe meritato, in luogo del ricorso proposto, la istanza di revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4 (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 64).

Con il secondo mezzo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, artt. 10, 11, 16 del regolamento comunale adottato con Delib. n. 32 del 1994 del consiglio comunale, sul presupposto che il giudice di appello abbia arbitrariamente riconosciuto esente l’area dei capannoni, in contrasto con tali disposizioni, mancando La prova che allo smaltimento dei rifiuti speciali avesse provveduto il contribuente; e propone all’uopo il quesito di diritto se costituisca violazione dell’art. 62, comma 3 la mancata applicazione della tassa rifiuti solidi urbani su aree coperte interessate da un opificio industriale, laddove non sia stata resa la prova da parte della società contribuente di provvedere autonomamente allo smaltimento dei rifiuti speciali.

Premesso che il quesito non trovava ragione alcuna di essere proposto essendo stato l’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 entrata in vigore cinque mesi dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, va osservato che la questione circa lo smaltimento in proprio dei rifiuti speciali e la sua legittimità – tale da est escludere la obbligazione tributaria – in relazione alla dedotta assimilazione con i rifiuti urbani, resta assorbita dalla questione che ha costituito la materia del contendere, prospettata con il primo motivo e disattesa.

Le spese processuali seguono soccombenza e si liquidano in Euro 2.200,00, di cui 200,00 per esborsi e 2000,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali in Euro 2200,00 di cui 200,00 per esborsi e 2000,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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