Cass. civ. Sez. II, Sent., 27-01-2011, n. 1891 Decreto ingiuntivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Z.A. propose opposizione al decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti dal Presidente del Tribunale di Latina il 7 marzo 1988, avente per oggetto il pagamento alla s.n.c. Graficart della somma di L. 17.700.000, oltre agli interessi, come compenso per la stampa di un volume intitolato "Terracina". Dedusse di non essere stata parte del rapporto dedotto in giudizio, il quale invece era intercorso con G.E., presidente della associazione commercianti di Terracina ed effettivo committente dell’opera;

contestò anche nel quantum la pretesa della s.n.c. Graficart; chiese inoltre che del contratto in questione fosse pronunciata la risoluzione. La convenuta negò la fondatezza degli assunti dell’attrice e chiese che fosse condannata al pagamento anche di una somma ulteriore, per altre copie del libro, che non erano state ritirate. Chiamato in causa da Z.A., G.E. rimase contumace.

All’esito dell’istruzione, con sentenza del 14 aprile 1998 il Tribunale dichiarò inammissibile la chiamata in causa di G. E., revocò il decreto ingiuntivo, condannò Z.A. a pagare alla s.n.c. Graficart L. 3.636.000 oltre all’i.v.a. e agli interessi, rigettò ogni altra domanda proposta dalle parti.

Impugnata in via principale da Z.A. e in via incidentale dalla s.n.c. Graficart, la decisione è stata parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Roma, che con sentenza del 16 aprile 2004 ha condannato la stessa Z.A. a pagare alla s.n.c. Graficart l’ulteriore importo di 7.669 Euro, oltre all’i.v.a. e agli interessi;

ha condannato l’appellante principale al rimborso delle spese di giudizio in favore di ognuna delle altre due parti.

Z.A. ha proposto ricorso per cassazione, in base a quattro motivi. G.E. si è costituito con controricorso. La s.n.c. Graficart non ha svolto attività difensive nel giudizio di legittimità.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso Z.A. lamenta che erroneamente la Corte d’appello, come già il Tribunale, ha ritenuto inammissibile la chiamata in causa di G.E.: sostiene che la relativa richiesta, già contenuta nell’atto di citazione, era stata reiterata in udienza e che l’adempimento era stato tempestivamente eseguito, dopo che il giudice istruttore, con ordinanza riservata, l’aveva autorizzato.

La censura va disattesa.

Il giudice di secondo grado non ha affatto negato – ma anzi ha espressamente riconosciuto – che Z.A., già nell’atto introduttivo del giudizio, aveva chiesto di poter chiamare in causa G.E., ma ha ritenuto che l’istanza fosse stata formulata invalidamente, poichè non indicava nè "la data dell’udienza per la quale il terzo viene citato" nè "la richiesta e la concessione di un termine per tale incombente"; a questi rilievi nessuna critica è stata rivolta dalla ricorrente, sicchè la doglianza in esame difetta dell’indispensabile requisito della pertinenza alla ratio decidendi posta a base, sul punto, della sentenza impugnata.

Con il secondo motivo di ricorso Z.A. deduce che la Corte d’appello ha ingiustificatamente ritenuto che le ragioni di merito addotte a sostegno dell’impugnazione proposta contro la sentenza di primo grado fossero state "formulate tutte in modo assolutamente generico ed apodittico, senza specifico riferimento a quanto puntualmente motivato, in piena aderenza alle risultanze istruttorie ed alle deduzioni delle parti in relazione ad ogni singola questione, nella sentenza impugnata, così da non consentire neppure la individuazione certa delle censure che, in fatto e in diritto, alla predetta si intendono muovere con gli anzidetti motivi di gravame".

Neppure questa doglianza può essere accolta.

Si risolve, infatti, nell’assunto che il giudice di secondo grado ha omesso di valutare la "irrilevanza ed inconferenza delle deposizioni dei testi, così come rese, tutti dipendenti della Soc. Graficart" e il "balletto di cifre sottolineato nei vari scritti difensivi e del tutto ignorato dalla Corte di Appello di Roma". La censura è stata dunque prospettata in violazione del principio di "autosufficienza", il cui rispetto imponeva l’indicazione precisa ed esauriente del preciso contenuto sia degli elementi di prova che il giudice a quo avrebbe mancato di esaminare o malamente apprezzato, sia delle ragioni di gravame che avrebbe trascurato di prendere in considerazione.

Con il terzo motivo di ricorso Z.A. si duole dell’accoglimento, da parte della Corte d’appello, della domanda "riconvenzionale" proposta dalla s.n.c. Graficart: domanda che secondo la ricorrente avrebbe dovuto essere ritenuta inammissibile a causa della sua novità.

Anche questa censura va disattesa.

Alle argomentazioni svolte in proposito dalla Corte d’appello – la quale ha rilevato che si trattava di "domanda ulteriore ritualmente proposta e fondata, quanto all’"an" ed al "quantum", sulla base dello stesso titolo e dei medesimi elementi di prova alla stregua dei quali è stata pronunciata la condanna relativa alle copie ritirate, in quanto oggetto pacificamente di un unico contratto" – nulla specificamente è stato opposto dalla ricorrente, che si è limitata a sostenere genericamente e assiomaticamente che si era dato "ingresso ad una nuova domanda inammissibile in rito", avente per oggetto "il risarcimento dei danni da adempimento contrattuale".

Con il quarto motivo di ricorso Z.A. lamenta di essere stata immotivatamente condannata al rimborso delle spese di giudizio in favore di G.E..

La censura non è fondata.

La pronuncia di cui sì tratta è stata adeguatamente giustificata dal giudice di secondo grado in base al rilievo della "totale soccombenza dell’appellante principale": soccombenza che in effetti sussisteva nei confronti non solo della s.n.c. Graficart, ma anche di G.E., contro il quale era pure stato rivolto il gravame.

Il ricorso viene pertanto rigettato, con conseguente condanna della soccombente ricorrente a rimborsare al resistente le spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in 200,00 Euro, oltre a 800,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.
Risultato precedente – Risultato successivo

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare al resistente le spese del giudizio di cassazione, liquidate in 200,00 Euro, oltre a 800,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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