Cass. civ. Sez. I, Sent., 26-01-2011, n. 1839 Dichiarazione di adottabilità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. A seguito di segnalazione del servizio sociale del Comune di Santhià al P.M. presso la Procura del tribunale per i minorenni di Torino, venivano intrapresi accertamenti circa la situazione del minore Ca.Mi., nato il (OMISSIS), in relazione a comportamenti gravemente disturbati della madre ed alla situazione complessiva della famiglia del minore e alla necessità di verificare che non ne risultasse compromesso il normale sviluppo psico-fisico.

Dopo un periodo di supporto dei servizi sociali mantenendo il minore all’interno della famiglia, che non dava esito positivo, il tribunale con decreto 4 agosto 2006 ne ordinava l’inserimento in comunità, autorizzando incontri con i genitori, e instaurava il procedimento per la dichiarazione di adottabilità, chiedendo ai servizi sociali e al Centro di salute mentale gli approfondimenti di rito sulle capacità genitoriali e la situazione del minore. Successivamente il tribunale disponeva una CTU collegiale e regolarizzava la procedura ai sensi delle disposizioni della L. n. 149 del 2001, nel frattempo entrata in vigore. Gli operatori dei servizi relazionavano più volte il tribunale sull’evoluzione della situazione del minore ricoverato in comunità e dei suoi incontri con i genitori. Ricevuta la CTU, alla quale replicava una CT di parte, istruita ulteriormente la procedura, con sentenza depositata il 25 luglio 2008 il tribunale dichiarava lo stato di adottabilità del minore. Proponevano appello entrambi i genitori e, con separato ricorso, i tre fratelli, Ma., I. e M.. L’appello veniva respinto dalla Corte d’appello di Torino. Avverso la sentenza proponevano ricorso a questa Corte i genitori del minore C.P. e V.A., con atto notificato il 25 febbraio 2010 ai sig.ri Ma., I. e C.M. e il 26 febbraio 2010 al difensore del minore, al tutore del minore, al Procuratore generale presso la Corte d’appello di Torino, formulando un unico articolato motivo. Le parti intimate non hanno depositato difese.

Motivi della decisione

1.1. Con il ricorso si denunciano la violazione della L. n. 184 del 1983, artt. 1 e 8 e vizi motivazionali. Si deduce al riguardo che la legge su detta privilegia la crescita del minore nella famiglia naturale e consente l’adozione solo in caso di non transitoria inadeguatezza dei genitori ad assicurare il normale sviluppo psico – fisico del minore. Non possono rilevare a tal fine le anomalie caratteriali e le patologie dei genitori, ove non sia dimostrato da dati obbiettivi che esse ne determinino l’incapacità non transitoria a svolgere i loro compiti genitoriali assicurando al minore le condizioni per un normale sviluppo. Si deduce che nel caso di specie sarebbe mancato, da parte della sentenza impugnata, detto accertamento sulla base di dati obbiettivi, fondandosi essa su considerazioni apodittiche, derivanti da dichiarazioni rilasciate dalla sorella del minore M., e in parte dagli altri fratelli, in una situazione di pregresso conflitto all’interno della famiglia.

Tali circostanze non avevano trovato conferma in sede di CTU ed erano state ritrattate nel corso dell’istruttoria del procedimento durante il quale i contrasti all’interno della famiglia erano stati superati, con il ritorno in essa anche della sorella M. che per un periodo se ne era allontanata. La sentenza avrebbe svalutato l’interessamento per il minore da parte del padre (sulla base dell’asserita non paternità dello stesso), trascurando le emergenze in senso contrario evidenziate dagli operatori dei servizi sociali. Parimenti su dati non effettivi sarebbe stata fondata la valutazione della mancanza di capacità genitoriale della madre, non asseverata da accertamenti rigorosi circa i suoi comportamenti. In particolare si deduce che sarebbe stato enfatizzato un incidente domestico occorso al minore, trascurando il pronto interessamento del padre che provvide tempestivamente alle cure necessarie. Così come si sarebbe senza ragione riconnesso il miglioramento nella deambulazione al collocamento del minore in comunità, anzichè alla sua crescita anagrafica e si sarebbe affermata la mancata collaborazione del padre con i servizi sociali senza alcuna indagine sulle ragioni dei contrasti determinatisi con essi, riconnettendoli senza motivo a una presunta sindrome persecutoria del sig. C.. Tanto più che, prima della collocazione del minore in comunità vi era stata piena collaborazione dei genitori con i servizi sociali e successivamente era stato più volte richiesto il loro aiuto(ma attraverso operatori diversi). Si richiama, fra l’altro, la relazione del 15 settembre 2009 degli educatori T. e G. che avevano evidenziato l’adeguatezza dell’atteggiamento dei familiari durante gl’incontri.

Si deduce che nello spirito della L. n. 149 del 2001 ai servizi sociali è imposto di non limitarsi a registrare le insufficienze della famiglia naturale, ma di porre in essere tutte le attività necessarie per superare tale situazione, fornendo gli ausili necessari. Cosicchè ove tale sostegno, come nel caso di specie, sia mancato erra la sentenza che dichiari lo stato di adottabilità, per di più ove lo stato d’inadeguatezza riguardi un solo genitore, la madre, che aveva già allevato tre figli e la cui incapacità viene riconnessa a un cedimento dovuto alla gravidanza, come tale superabile con adeguati mezzi di sostegno. Con il motivo si lamenta, infine, che non sia stata valutata adeguatamente la disponibilità della sorella M. a occuparsi del minore.

1.2. Il ricorso è infondato.

La L. n. 184 del 1983, art. 1 nel testo novellato dalla L. n. 149 del 2001, attribuisce al diritto del minore di crescere ed essere educato nella propria famiglia naturale carattere prioritario considerandola l’ambiente preferenziale per garantirne lo sviluppo psicofisico – e mira a garantire tale diritto attraverso la predisposizione d’interventi diretti a rimuovere, ove possibile, l’insorgere di situazioni di difficoltà e di disagio che possano compromettere la crescita in essa del minore. (Cass. 28 giugno 2006, n. 15011; 14 aprile 2006, n. 8877). Ne deriva che, in tale ottica, per un verso compito dei servizi sociali non è solo quello di rilevare le insufficienze in atto nella famiglia naturale del minore, ma soprattutto quello di concorrere, con interventi di sostegno, a rimuoverle ove possibile. Per altro verso, che la situazione di abbandono, che ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 8 è presupposto necessario per la dichiarazione dello stato di adottabilità, comportando il sacrificio dell’esigenza primaria di crescita in seno alla famiglia biologica, è configurabile solo quando si accerti che la vita offertagli dai genitori naturali sia inadeguata al normale sviluppo psico-fisico così da fare considerare la rescissione del legame familiare come strumento necessario per evitare un più grave pregiudizio ed assicurargli assistenza e stabilità affettiva, dovendosi considerare "situazione di abbandono", oltre al rifiuto intenzionale e irrevocabile dell’adempimento dei doveri genitoriali, anche una situazione di fatto obiettiva del minore, che a prescindere dagli intendimenti dei genitori, impedisca o ponga in pericolo il suo corretto sviluppo psicofisico, per il non transitorio difetto di quell’assistenza materiale e morale necessaria a tal fine (Cass. 31 marzo 2010, n. 7959; 1 febbraio 2005, n. 1996; 7 febbraio 2002, n. 1674). Situazione da accertarsi in base a riscontri obbiettivi e a valutazioni prognostiche che siano basate su fatti aventi carattere indiziario di sicura valenza probatoria (Cass. 28 giugno 2006, n. 15011; 12 maggio 2006, n. 11019), con valutazione di merito che, se adeguatamente motivata, non è censurabile in sede di giudizio di cassazione (Cass. 7 febbraio 2002, n. 1674). E’ infatti del tutto estraneo al giudizio di questa Corte il riesame delle prove e delle valutazioni di merito compiute dalla Corte d’appello, alla quale (come al giudice di primo grado) compete l’individuazione, nell’ambito del materiale probatorio acquisito, degli elementi rilevanti al fine di accertare o negare lo stato di abbandono nel senso sopra indicato e la necessità di fare luogo, nell’interesse esclusivo del corretto sviluppo psico-fisico del minore, alla dichiarazione dello stato di adottabilità.

Nel caso di specie la dichiarazione dello stato di adottabilità ha avuto luogo attraverso due decisioni conformi del giudice di primo grado e della Corte d’appello, i quali, per le specifiche funzioni loro assegnate dalla procedura, hanno avuto modo – come risulta dalla dettagliata esposizione della sentenza impugnata e dalla sua motivazione – di seguirne le fasi con accertamenti in parte diretti e in parte a mezzo degli operatori socio-assistenziali, esaminandone le relazioni, nonchè le risultanze della disposta CTU, giungendo a valutazioni conformi circa la necessità di dichiarare lo stato di adottabilità del minore, nel suo esclusivo interesse.

In tale ottica e sulle, base dell’esame della sentenza impugnata risultano infondate le censure prospettate secondo le quali la dichiarazione dello stato di adottabilità sarebbe motivata sulla base di anomalie caratteriali dei genitori che non era dimostrato determinassero l’incapacità non transitoria a svolgere i loro compiti, nonchè su dichiarazioni rilasciate dalla sorella del minore M. – e in parte dagli altri fratelli – che non avrebbero trovato conferma in sede di CTU e sarebbero state ritrattate nel corso dell’istruttoria del procedimento, mentre sarebbe mancato il dovuto supporto da parte dei servizi sociali.

La Corte d’appello, infatti, ha dato conto di ampie risultanze obbiettive in base alle quali ha confermato lo stato di adottabilità già dichiarato dal tribunale. Alle dichiarazioni delle figlie M. e I., secondo le quali il bambino veniva messo a letto vestito, lavato adeguatamente solo la domenica, alzato all’ora del pranzo senza avere fatto colazione, avevano fatto seguito gli accertamenti degli operatori dei servizi, i quali avevano riscontrato a loro volta gravi anomalie nel modo di alimentarlo ed evidenti limiti cognitivi nella madre, incapace di comprendere i problemi del figlio, nato prematuro, operato subito dopo la nascita di idrocefalia e bisognoso di particolare accudimento. Solo dopo che il tribunale aveva disposto l’inserimento del minore in comunità, instaurando il procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità, si erano verificati miglioramenti sia nella deambulazione sia nel linguaggio, dovuti secondo i medici (vedasi diffusamente pag. 16 della sentenza) a stimoli assenti nell’ambiente familiare, mentre permanevano altri gravi limiti non pertinenti all’età. Non vi era stata disponibilità dei genitori a collaborare con gli operatori (pagg. 13 e 14 della sentenza), tanto che il tribunale, per i necessari approfondimenti, aveva dovuto disporre una CTU la quale aveva rivelato (pagg. 14 e 15 della sentenza) in particolare, quanto alla madre del minore "un grave ritardo intellettivo, di tipo oligofrenico non suscettibile di modificazione nel tempo, che incide in modo fortemente negativo sulle proprie competenze genitoriali". Il CTU, sentito a chiarimenti al dibattimento, aveva precisato che tale ritardo era tanto grave da incidere anche nella gestione della quotidianità. Le dichiarazioni della figlia M. (pagg. 11 e 12 della sentenza) non erano mai state ritrattate dall’interessata, neppure dopo che vi era stato un riavvicinamento con la propria famiglia e avevano trovato riscontro, quanto ai difficili rapporti presenti nel contesto familiare, dagli operatori sociali. Quanto al padre del minore, la Corte d’appello, oltre ad avere messo in luce le negative conclusioni al riguardo della CTU (pag. 15 della sentenza), ne ha valutato specificamente, secondo le emergenze dibattimentali (pag. 16 della sentenza), l’incapacità di rendersi conto dell’inidoneità della moglie a prendersi cura del minore e di offrire un progetto consapevole, compatibile con le esigenze del figlio, "che comprendono sia la protezione dalle inadeguatezze materne, sia la disponibilità in un contesto relazionale in grado non solo di prevenire incuria e trascuratezza, ma anche di stimolarne la crescita, trattandosi di un bambino con problemi di salute e già danneggiato sul piano relazionale". La Corte, infine, contrariamente a quanto si sostiene nel motivo, ha anche (pagg, 17 e 18 della sentenza) ampiamente motivato l’inidoneità dei fratelli a prendersi cura del minore facendosi carico delle su dette esigenze e, in particolare, della sorella M.. Il ricorso va rigettato. Nulla per le spese.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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