Cass. civ. Sez. I, Sent., 26-01-2011, n. 1835 Revocatoria fallimentare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione del 4 marzo 1999 il curatore del fallimento della società Schiavo Costruzioni s.p.a. ha chiesto a Tribunale di Padova la revoca, a mente della L. Fall., art. 67, comma 2, di tutte le rimesse confluite in periodo sospetto sui tre conto-correnti intestati alla società- nn. (OMISSIS) – (OMISSIS) – (OMISSIS) – nessuno dei quali affidato, aperti presso la Cassa di Risparmio di Padova, nei rispettivi importi di L. 3.853.415.040, L. 300.000.00 e L. 776.515.000, nella consapevolezza da parte della banca dello stato di dissesto della sua cliente. Ritualmente instauratosi il contraddittorio, la banca (J convenuta ha eccepito che i conti erano tutti affidati, secondo quanto risultava del resto dalla sua domanda d’ammissione allo stato passivo, ed ha contestato la scientia decotionis.

Il Tribunale adito, con sentenza del 6.5.2005, ha parzialmente accolto la domanda, ritenendo che la concessione dei fidi avesse ricevuto conferma dalla documentazione proveniente dalla Centrale Rischi presso la Banca d’Italia, i cui dati, quanto ad oggettività ed anteriorità alla procedura, non erano revocabili in dubbio, ed ha condannato la banca convenuta alla restituzione della somma di Euro 134.689,97 in favore della società Concordia, subentrata al curatore fallimentare in qualità di assuntrice del concordato fallimentare nelle more omologato.

Impugnata in via principale da quest’ultima società ed in via incidentale dalla Cassa di Risparmio di Padova innanzi alla Corte d’appello di Venezia, la decisione è stata parzialmente riformata con sentenza n. 733 depositata il 27 aprile 2009.

Avverso questa decisione la Cassa di Risparmio di Padova ha proposto il presente ricorso per cassazione in base a dieci motivi resistiti dal curatore fallimentare con controricorso ed ulteriormente illustrati con memoria difensiva depositata a mentre dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1.- Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. Si ascrive alla Corte di merito errore consistito nell’omesso rilevo dell’inammissibilità dell’eccezione, in senso tecnico, d’inopponibilità per mancanza di data certa dei documenti comprovanti l’apertura di credito per L. 400 milioni e per L. 800.000.00 allegati alla comparsa di risposta, sollevata dalla curatela fallimentare tardivamente, oltre la scadenza del termine assegnato dal giudice istruttore già dalla prima udienza. Il conclusivo quesito di diritto chiede se il giudice d’appello abbia violato le norme in rubrica per non aver rilevato la tardività della contestazione, sollevata dal curatore fallimentare all’udienza ex art. 183 c.p.c. in ordine all’assenza di data certa dei contratti d’apertura di credito allegati da essa ricorrente alla prima udienza ex art. 180 c.p.c..

Il resistente replica deducendo che il termine si riferiva all’odierna ricorrente, parte convenuta, e di certo non ad esso attore.

2.- Il secondo motivo deduce violazione della L. Fall., artt. 67, 93, 96 e 97 e dell’art. 2909 c.c. La ricorrente assume errata dichiarazione d’inopponibilità degli affidamenti, gli stessi di cui si discute nel precedente mezzo, allegati alle lettere d’apertura di credito prodotte a corredo della domanda di ammissione allo stato passivo, che ha trovato accoglimento in assenza d’eccezione del curatore in merito agli affidamenti stessi. Lamenta omesso rilievo dell’effetto preclusivo discendente dal decreto d’esecutività dello stato passivo. Il quesito di diritto chiede se la Corte d’appello sia incorsa nell’errore denunciato per aver pronunciato la revoca delle rimesse controverse in ragione dell’inopponibilità degli affidamenti documentati nonostante la preclusione derivante dall’ammissione allo stato passivo dei crediti fondati su quella stessa documentazione.

Il controricorrente deduce infondatezza del motivo sul rilievo che il titolo fondante l’accoglimento della domanda d’ammissione allo stato passivo della banca odierna ricorrente è rappresentato dal rapporto di conto corrente, che non ha implicato accertamento in ordine all’affidamento, la cui dimostrazione incombeva sulla stessa banca e nell’ambito dell’azione revocatoria esperita nei suoi confronti. Ne rileva altresì l’inammissibilità per non esser stata la questione ora proposta introdotta dalla banca nella fase d’appello.

3.- Il terzo motivo denuncia violazione della L. Fall., artt. 44 e 67. La ricorrente assume errore della Corte territoriale per non aver escluso la qualità di parte del curatore, che essendosi avvalso della documentazione della stessa banca, vale a dire degli estratti conto, ha agito in revocatoria in forza di un rapporto di successione dal fallito, spendendo in giudizio veste che non può dismettere per contestare la data certa delle aperture di credito. Formula quesito di diritto con cui chiede se il curatore rivesta qualità di parte e non di terzo nell’azione revocatoria in cui utilizzi gli estratti conto comunicati dalla banca al cliente fallito.

Il controricorrente deduce inammissibilità del mezzo siccome propone questione nuova introdotta solo in questa sede, non collegata alle norme rubricate, e comunque infondata attesa l’indubbia qualità di terzo assunta dal curatore fallimentare nella presente azione.

Il nodo comune alle censure esposte nei primi tre motivi è in sintesi se la Corte territoriale poteva escludere il requisito della data certa in relazione alla documentazione proveniente dalla Centrale Rischi, accogliendo un’eccezione del curatore che era stata sollevata tardivamente ed era perciò inammissibile; se si fosse formato sul punto il giudicato endofallimentare essendo stata quella documentazione prodotta a corredo della domanda d’ammissione allo stato passivo avente ad oggetto credito relativo ai conti in discussione; infine il curatore potesse muovere obiezioni a riguardo avendo agito in giudizio in qualità di successore del fallito e non di terzo, essendosi avvalso della documentazione prodotta dalla stessa banca.

Tutte e tre le censure, logicamente collegate e meritevoli d’esame congiunto, sono prive di fondamento.

1.- La dialettica difensiva inerente al thema disputandum nel processo civile è scandita dal combinato disposto degli artt. 180 e 183 c.p.c. che, nel testo applicabile ratione temporis, consente all’attore, all’udienza fissata per la prima comparizione, la facoltà di proporre le eccezioni nuove che sono conseguenza delle domande o eccezioni proposte dal convenuto. Il curatore fallimentare, attore nel presente giudizio, ha eccepito l’inopponibilità dei documenti provenienti dalla banca convenuta successivamente alla loro produzione ma entro il termine posto dal citato art. 183 c.p.c., comma 4, perciò ritualmente e tempestivamente. La replica consentita dalla citata disposizione processuale all’attore nella prima udienza di trattazione anche attraverso nuova eccezione, è posta a presidio del suo diritto di contestare le avverse difese se queste, non risolvendosi in una mera controdeduzione, incidano sui termini oggettivi della controversia- Cass. n. 12545/2004, n. 539/2006 citata dalla stessa ricorrente-. E’ indubbio che la produzione nel presente giudizio da parte della banca convenuta del contratto di apertura di credito in favore della sua cliente, indi fallita, ha inciso sui termini della domanda di revoca proposta dal curatore fallimentare, per l’indubbia idoneità dell’affidamento stesso a segnare il discrimine tra conto passivo e conto scoperto, e per l’effetto, tra le rimesse dedotte in domanda meramente ripristinatorie della provvista ovvero solutorie ed in quanto tali revocabili. L’eccezione d’inopponibilità di quei contratti dedotta dal curatore appare dunque non solo consequenziale, ma necessaria a controbattere all’eccezione della convenuta. In quanto tale proponibile nel termine indicato.

2.- La definitività dello stato passivo, reso esecutivo con il decreto emesso dal giudice delegato ai sensi della L. Fall., art. 97, opera nell’alveo della procedura nel senso dispiegando efficacia preclusiva in relazione alle questioni che riguardano l’esistenza, l’entità ed il grado di poziorità del credito ammesso, nonchè la validità e l’opponibilità del titolo dal quale il credito stesso deriva. Non è invece sufficiente ad impedire l’esercizio delle altre iniziative giudiziarie consentite al curatore fallimentare in relazione ai versamenti eseguiti dal fallito in relazione agli stessi contratti cui si riferisce il credito ammesso, in quanto essi costituiscono atti giuridici autonomi, ex se revocabili- v. Cass. n. 16508/2010. La verifica condotta in sede concorsuale nel caso di specie ha investito il saldo finale del rapporto di conto corrente, non certo le linee di credito che assistevano il contratto, rimasto estraneo all’indagine del giudice delegato che ad esse non si è estesa neppure incidentalmente. L’invocata preclusione non è perciò ipotizzabile.

3.- Il curatore fallimentare che promuove azione revocatoria, per unanime dottrina e consolidata giurisprudenza – per tutte Cass. n. 13442/2005, non è sostituto processuale del fallito, ma agisce in qualità di terzo, mirando l’iniziativa da lui intrapresa a recuperare alla massa, nel cui interesse agisce, il bene uscito dal patrimonio del fallito mediante atto o negozio legittimo ma lesivo dell’interesse del ceto creditorio.

4- 5- 6- 7- Il quarto, quinto, sesto e settimo motivo, che meritano anch’essi esame congiunto, in quanto pongono questione comune, inerente alla prova della data certa, dunque dell’anteriorità delle aperture di credito concesse alla società Schiavo dalla banca odierna ricorrente rispetto alla dichiarazione di fallimento, appaiono inammissibili.

La Corte territoriale ha ritenuto di non poter desumere dai prospetti della Centrale Rischi valorizzati dal primo giudice la prova dell’entità dell’affidamento concesso per ciascuno dei conti considerati, in ragione del loro contenuto che attestava il complesso di tutti gli affidamenti concessi alla Schiavo. Non erano perciò evincibile nè l’affidamento di ogni singolo conto, nè il negozio da cui essi sarebbero discesi. Era evidente che quei prospetti erano stati redatti su dichiarazioni della stessa banca che vorrebbe servirsene per convalidare i propri assunti, e in questa prospettiva non sono opponibili alla massa poichè non stabilisco l’anteriorità dei crediti alla massa. Sono perciò inidonei a conferire data certa agli affidamenti.

Le censure esposte nei motivi in esame non sono pertinenti a questa ratio decidendi. Segnatamente:

4.- l’acquisizione della prova della certa delle linee di credito, di cui si discute nel quarto motivo, resterebbe, a tutto concedere, irrilevante siccome non scioglierebbe il nodo, decisivo ad avviso del giudice d’appello, riguardante la loro ripartizione, postulato necessario per accertare lo scoperto maturato sui singoli conti e, in logica conseguenza, la natura ripristinatoria ovvero solutoria delle rimesse controverse. La verità del contenuto delle indicazioni fornite alla Centrale Rischi dalla stessa banca convenuta, e la stessa idoneità di queste indicazioni ad attribuire data certa agli affidamenti, rappresentano profilo dr indagine superfluo ed improduttivo d’effetto rispetto al fulcro della decisione, imperniata sull’omesso frazionamento dei fidi, ed in parte qua non fatta segno d’impugnazione;

5.- non colgono nel segno neppure le doglianze esposte nel quinto motivo, con cui si lamenta omesso esame della documentazione idonea a conferite data certa alle linee di credito rappresentato dalla lettera 9 maggio 1996, di cui si riproduce il testo, nella quale il curatore, mittente, invitava la Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo all’invio di tutta la documentazione afferente i rapporti intrattenuti con la società Schiavo ad eccezione degli affidamenti di cui è causa, siccome già in suo possesso, secondo la ricorrente avente natura confessoria, e nondimeno esaminata nè apprezzata in sede di merito;

6.- tanto meno sono pertinenti le doglianze illustrate nel sesto motivo, con cui la ricorrente deduce ancora vizio d’omesso esame degli estratti autentici del libro fidi regolarmente tenuto, da cui risultavano gli affidamenti, ritualmente prodotti in primo grado e di cui trascrive il contenuto, facenti prova dell’anteriorità degli affidamenti ed idonei a fornire data certa.

Conclusivamente, le questioni proposte nei motivi esaminati ineriscono a tematica assorbita dal riscontro dell’omesso frazionamento delle linee di credito, che ha spiegato nel nucleo della decisione impugnata rilievo assolutamente tranciante;

7.- ancora nella medesima irrilevante prospettiva, il settimo motivo lamenta omessa valutazione di un complesso bagaglio indiziario, che si assume coerentemente sintomatico, siccome munito dei requisiti di precisione, gravità e concordanza prescritti dall’art 2729 c.c. che avrebbe convalidato, con indubbia certezza, l’anteriorità dei documenti comprovanti gli affidamenti rispetto all’apertura del concorso. La circostanza, già si è detto, è priva di decisività e non interferisce con la sostanza del decisum.

8.- Con l’ottavo motivo, che denuncia violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione alla L. Fall., art. 67, si ascrive al giudice di merito errore consistito nell’aver disposto la revoca delle somme riferibili ai giroconti, in assenza della prova del carattere solutorio di tali operazioni, attenendosi pedissequamente alle risultanze dell’espletata c.t.u., che pure ne aveva rilevato il carattere dubbio. Si conclude con quesito di diritto che chiede se la Corte territoriale sia incorsa in errore per aver revocato i giroconti da un conto ad altro aperto dalla società presso lo stesso istituto in assenza della prova della natura solutoria dei pagamenti e benchè ne fosse riscontrata precisa giustificazione.

Il fallimento replica deducendo l’infondatezza della censura.

Il motivo è inammissibile.

Sulla base dell’espletata c.t.u., la decisione impugnata ha ricostruito la movimentazione del conto cui sì riferisce la domanda di revoca, reputando solutorie le rimesse ivi affluite anche dagli altri conti intestati alla stessa società, implicitamente affermandone la natura non già di meri giroconti, ma di pagamenti tesi ad escludere le passività ivi maturate.

Il motivo in esame induce ad una rivisitazione della movimentazione dei conti indicati, diversa ed in tesi corretta rispetto a quella ricostruita nei termini riferiti in sede di merito, che non è però ammessa in questa sede. La vicenda fattuale, ricostruita nei termini seguiti dalla Corte di merito, rimane così consacrata e non può essere scrutinata siccome il tessuto motivazionale che la sorregge, seppur succintamente, è esaustivo. Il motivo peraltro non è specifico nell’indicazione dei movimenti aventi effettiva natura di giroconto, e sollecita uno scrutinio che, a cagione della sua genericità, non può trovare ingresso.

9-. Il nono motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 c.p.c. in relazione agli artt. 1219, 1224, 1277, 1283, 2698 e 2909 c.c. La ricorrente assume che il passaggio in giudicato della decisione del primo giudice che aveva erroneamente liquidato interessi e rivalutazione dalla data delle singole rimesse e non dalla domanda, non consentiva analogo criterio di liquidazione in relazione alle somme ulteriori liquidate in sede d’appello. Il controricorrente rileva infondatezza ed inammissibilità della censura. Il motivo è fondato.

La Corte territoriale, rilevato il giudicato formatosi in relazione alla decorrenza degli accessori sulla somma liquidata scaturente dalla dichiarata inammissibilità del gravame proposto a riguardo dalla banca, ha confermato suddetto criterio anche in relazione agli accessori maturati sulle somme da essa liquidate in sede di gravame, palesemente incorrendo nel vizio denunciato. L’intangibilità della prima statuizione in parte qua non determina la conferma del medesimo canone di liquidazione, pacificamente errato, in relazione alle ulteriori somme liquidate in sede di gravame con decisione assolutamente autonoma. In ordine ad esse il giudice d’appello non incontrava preclusione, ed era quindi tenuto ad applicare il corretto parametro di liquidazione, nel rispetto ed entro il limite del giudicato, senza dunque interferire con la decisione ormai inoppugnabile. La sentenza impugnata non ha applicato tale principio e va pertanto cassata.

10.- L’ultimo motivo deduce violazione dell’art. 2909 c.c.. Si censura l’impugnata statuizione stante il contrasto tra l’inopponibilità dei fidi e l’affermazione che la scientia decotionis sarebbe dimostrata dalla presunta conoscenza dei bilanci della società fallita, che trovava presupposto proprio nel fatto che la Cassa avesse concesso le aperture di credito.

Il resistente deduce l’infondatezza del motivo. Il motivo è inammissibile. Per un verso espone censura generica, palesemente indirizzata alla rilettura nel merito della circostanza, per altro verso propone lettura atomistica del solo dato, a suo avviso non adeguatamente sintomatico, proponendo una rivisitazione dell’indagine sul contesto indiziario in cui si colloca errata, in quanto segmenta gli elementi indiziari secondo canone contrario al dettato dell’art. 2729 c.c. in forza del quale i dati sintomatici devono essere valutati sicuramente in maniera analitica, per verificarne la rilevanza perchè muniti dei caratteri della precisione e della gravità, ma anche e soprattutto in collegamento, in modo che la loro combinazione consenta valida prova presuntiva che probabilmente non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni degli elementi indiziari che, . nella sintesi con gli altri fatti apprezzati, acquistano valore sintomatico. La frammentazione prospettata circoscrive l’ambito del controllo sollecitato al solo momento della verifica analitica, ex se non esaustiva poichè quel dato indiziario contestato, che singolarmente considerato potrebbe risultare privo di sintomaticità, è stato correttamente vagliato nella convergenza globale di tutte le circostanze esaminate, accertandone all’esito e per l’effetto la pregnanza conclusiva.

Tutto ciò premesso, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al nono motivo con pronuncia nel merito, non necessitando ulteriori acquisizioni probatorie, liquidando gli interessi sulle somme determinate in sede d’appello nella sentenza impugnata dalla data della domanda sino al saldo. Quanto al governo delle spese, confermata ogni altra statuizione, in ragione del limitato accoglimento del presente ricorso se ne dispone la compensazione nella misura di 4/5 con condanna della ricorrente al pagamento del residuo liquidato come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Accoglie il nono motivo del ricorso e rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e pronunciando nel merito liquida gli interessi sulle somme determinate in sede d’appello nella sentenza impugnata dalla data della domanda sino al saldo. Compensazione nella misura di 4/5 le spese del presente giudizio che liquida complessivamente in Euro 5.000,00 oltre Euro 200,00 per esborsi, e condanna la ricorrente al pagamento del residuo, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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