Cass. civ. Sez. III, Sent., 25-01-2011, n. 1752 Danno

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Nell’ottobre del 1989 Z.A. e L.L., anche quali esercenti la potestà sui figli minori P. e R. – tutti residenti in prossimità dell’impianto produttivo dell’ICMESA s.p.a. di (OMISSIS) dal quale, in data 10.7.1976, era fuoriuscita una nube tossica composta da diossina – convennero in giudizio la predetta società chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti.

La convenuta resistette.

Con sentenza n. 10764/95 l’adito tribunale di Milano, ritenuto che il danno non patrimoniale fosse stato già risarcirò a seguito della corresponsione da parte di Icmesa della satisfattiva somma di L. 20.000.000 determinata quale provvisionale in sede penale, condannò la convenuta al risarcimento del danno patrimoniale da perdita di beni strumentali (L. 3.000.000) e da mancato godimento dell’orto per un anno (L. 131.250), oltre agli accessori ed alle spese processuali.

2.- In parziale accoglimento dell’appello degli attori, la corte d’appello di Milano liquidò nella maggior somma di L. 50.000.000 il danno morale complessivo (riconoscendo 20 milioni a ciascun coniuge e 5 milioni ad ognuno dei figli) e riconobbe l’importo di L. 17.325.000 per danno patrimoniale, oltre agli accessori ed alle spese processuali del grado.

3.- Entrambe le parti ricorsero per cassazione. Con sentenza n. 16231/03 questa corte accolse il secondo, (solo parzialmente) il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale, rigettò il ricorso incidentale, cassò in relazione alle censure accolte e rinviò alla stessa corte d’appello:

a) affinchè procedesse ad un nuovo esame in punto di avvenuto, e non adeguatamente spiegato, riconoscimento agli attori del danno patrimoniale da canoni locativi versati per il nuovo alloggio nel quale s’erano trasferiti (L. 4.800.000) e da mancata utilizzazione dell’orto familiare (L. 525.000) anche per un triennio successivo al 3 aprile 1978, data alla quale l’autorità amministrativa aveva autorizzato gli abitanti a rientrare negli immobili ubicati nella zona "A", pur se con la prescrizione di obbligatorie cautele alle quali avrebbero dovuto attenersi (accurata e frequente pulizia del corpo, degli arredi, etc.): la corte di legittimità aveva, in particolare, ritenuto che non fosse sufficiente a giustificare la decisione il mero riferimento della corte d’appello alle restrizioni (costituite dalle prescritte cautele) adottate dall’autorità comunale a tutela della salute pubblica ed aveva giudicato contraddittoria la motivazione laddove la corte territoriale aveva riconosciuto il danno pur affermando che il ritardato rientro era dipeso dalla libera scelta degli attori, delle cui conseguenze non poteva rispondere Icmesa (terzo motivo);

b) si rivalutasse all’epoca della sentenza la somma di L. 20.000.000 versata anni prima da Icmesa a titolo di provvisionale relativa al risarcimento del danno non patrimoniale (secondo motivo) e si escludesse il riconoscimento degli interessi sulle somme rivalutate dall’epoca del fatto, per contrasto coi principi enunciati da Cass., sez. un., n. 1712/95 (quarto motivo).

4.- Decidendo in sede di rinvio con sentenza n. 2915/07, la corte d’appello di Milano ha accolto l’appello degli attori Z. – L., determinando nell’equivalente in euro di L. 50.000.000 il danno morale, di L. 4.800.000 il danno dei canoni erogati per il triennio successivo al 3.4.1978, di L. 525.000 quello per inagibilità dell’orto e stabilendo che su dette somme e su quelle ulteriori indicate nella sentenza di primo grado interessi e rivalutazione fossero calcolati nei termini indicati in motivazione e ritenuti conformi alle statuizioni di questa corte di cui alla menzionata sentenza n. 16231/03.

Ha regolato le spese processuali condannando Icmesa alle spese del primo e del secondo grado (relativo alla sentenza cassata) e compensando quelle del giudizio di legittimità e del giudizio di rinvio.

5.- Avverso la sentenza hanno proposto autonomi ricorsi per cassazione gli attori Z. – L. con ricorso notificato il 18/12/2008 (iscritto al numero 643/09 del ruolo generale) fondato su sette motivi, e Icmesa con ricorso notificato il 19/12/2008 (iscritto al numero 100/09 del ruolo generale) basato su quattro motivi.

Al ricorso di Icmesa hanno resistito con controricorso gli intimati Z. – L., che hanno articolato anche un ricorso incidentale identico a quello già autonomamente proposto.

Ai ricorsi Z. – L. ha resistito con controricorsi Icmesa.

Motivi della decisione

1.- I ricorsi vanno riuniti in quanto proposti avverso la stessa sentenza.

Quello proposto incidentalmente dagli Z. – L. con controricorso notificato il 23.1.2009 (nel procedimento r.g.n. 100/09) è inammissibile per essere stato il loro diritto ad impugnare già esercitato con l’altro ricorso, assolutamente identico e notificato il 18.12.2008, che sarà di seguito esaminato.

2.- Il ricorso Icmesa è affidato a quattro motivi.

La sentenza è rispettivamente censurata per violazione e falsa applicazione:

a) degli artt. 384 e 112 c.p.c., per avere la corte d’appello riconosciuto per danno morale la somma di L. 50.000.000 (come aveva fatto prima della cassazione della sentenza), omettendo di precisare che l’importo di L. 20.000.000 già percepito dai danneggiati doveva essere attualizzato alla data della sentenza d’appello, come la corte di cassazione aveva stabilito e Icmesa aveva chiesto in sede di rinvio;

b) dell’art. 112 c.p.c., per avere omesso di pronunciarsi sulla domanda di restituzione di quanto pagato in eccesso da Icmesa, rispetto al dovuto, in ottemperanza alle sentenze di primo grado ed a quella di secondo grado, poi cassata;

c) dell’art. 2059 c.c., per avere la corte d’appello, riconoscendo in sede di rinvio l’equivalente in euro delle somme di L. 4.800.000 e 525.000 per canoni locativi e mancata percezione dei frutti dell’orto per il periodo aprile 1978-aprile 1981, in realtà risarcito, in relazione alla motivazione adottata, il "danno esistenziale", che non costituisce una tipologia di danno ammesso alla tutela risarcitoria secondo quanto statuito da Cass., sez. un. n. 26972/08;

d) dell’art. 92 c.p.c., per aver compensato le spese del giudizio di cassazione "tenuto conto delle ragioni della decisione e della natura della controversia", benchè Icmesa non fosse stata neppure parzialmente soccombente nel giudizio di cassazione (non essendo stato accolto solo uno dei quattro motivi di ricorso, e tanto solo perchè Cass., sez. un., n. 2.515/02 aveva intanto risolto in senso sfavorevole ad Icmesa il contrasto precedentemente insorto) e senza adeguatamente esporre quali fossero i giusti motivi di compensazione, che avrebbero dovuto essere esplicitamente indicati in motivazione.

2.1.- Si osserva, nell’ordine, quanto segue.

A) Il primo motivo è infondato in quanto l’affermazione di cui a pagina 15, secondo capoverso, della sentenza impugnata esplicita chiaramente il criterio da seguire per l’attualizzazione degli importi ammessi al risarcimento, laddove è detto che essi "devono essere devolutati alla data del sinistro; tale somma va rivalutata di anno in anno e maggiorata degli interessi legali sino alla data dei plurimi versamenti effettuati dal debitore; sul residuo andranno ancora calcolati la rivalutazione e gli interessi allo stesso modo sino alla data della sentenza; e sulla somma cosi calcolata gli interessi sino al saldo".

Tanto significa che, liquidato il danno non patrimoniale in L. 50.000.000 alla data della sentenza, l’intero importo va devalutato alla data del fatto. Gli interessi sono da conteggiare di anno in anno sulle somme progressivamente rivalutate. Alla data alla quale Icmesa ha versato L. 20.000.000, di tale versamento si terrà conto in detrazione in relazione alla data in cui è avvenuto, procedendosi nel calcolo sul residuo secondo il criterio di cui sopra.

Aritmeticamente il risultato è identico a quello che si otterrebbe rivalutando alla data della sentenza l’importo di L. 20.000.000 medio tempore versato, sottraendolo dalla somma di L. 50.000.000 complessivamente riconosciuta per danno non patrimoniale, devalutando il tutto e procedendo al calcolo secondo il criterio sopra indicato.

B) La censura di cui al secondo motivo è fondata in quanto sulla domanda di restituzione delle somme eventualmente versate in eccesso (di cui al punto "d" delle conclusioni precisate da Icmesa e riportate a pagina 4 della sentenza impugnata) la corte d’appello non s’è pronunciata. E dovrà farlo – ove il giudizio fosse di nuovo riassunto in difetto di auspicabile, spontaneo adeguamento delle parti al decisum – disponendo la restituzione delle somme eventualmente versate in eccesso, se quanto Icmesa avesse provato di aver versato o i danneggiati non avessero contestato di aver ricevuto fosse superiore al dovuto.

C) Il terzo motivo è infondato: le considerazioni svolte nella sentenza impugnata, segnatamente dall’ultimo capoverso di pagina 13 al penultimo di pagina 14 rendono evidente che della situazione di timore connessa all’incertezza sulla asserita normalizzazione, successiva all’ordinanza del 1978, la corte d’appello ha tenuto conto ai fini dell’accertamento della sussistenza di nesso causale tra fatto dannoso e mancato rientro per un ulteriore triennio; dunque, ai fini della liquidazione del danno patrimoniale e non di quello "esistenziale", del tutto estraneo all’adottata ratio decidendi. La quale concerne una valutazione di fatto, appunto rimessa al giudice del rinvio in esito alla cassazione della prima sentenza di secondo grado, la cui motivazione rivelava un vizio di insufficienza e contraddittorietà completamente eliso dalla diffusa motivazione adottata in sede di rinvio.

D) Il quarto motivo è manifestamente infondato, non essendo la soccombenza (sulla determinante questione concernente la risarcibilità del danno non patrimoniale in difetto di lesione della salute) esclusa dal fatto che, prima della decisione cui la soccombenza consegue, sussistessero orientamenti contrastanti. Essa va apprezzata in relazione alla decisione, che nella specie è stata parzialmente sfavorevole a Icmesa su un aspetto assolutamente preminente, sicchè la compensazione si giustifica anche in relazione a tale assorbente ragione.

3.- Il ricorso Z. – L. è affidato a sette motivi, che sono tutti infondati.

Il primo ed il secondo (col quale sono rispettivamente dedotte violazione a falsa applicazione degli artt. 2043, 2056, 1223 e 1227 c.c., e contraddittorietà della motivazione in relazione al mancato riconoscimento del danno da canoni di locazione versati e da omessa utilizzazione dell’orto sino al 1987, data della revoca dell’ordinanza del 1978, anzichè fino al 1981) poichè impingono in valutazioni di puro merito, precluse alla corte di legittimità, delle quali la corte territoriale ha dato diffuso conto con motivazione del tutto coerente e niente affatto contraddittoria.

Il terzo, il quarto, il quinto, il sesto ed il settimo motivo – coi quali è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 132, 324, 329 e 384 c.p.c. e art. 2909 c.c., per non avere la corte d’appello chiarito: a) che restava ferma la condanna al pagamento di L. 3.000.000 per distruzione di beni aziendali e di L. 9.000.000 per la chiusura forzosa del laboratorio artigianale nel biennio 1976- 1978, sulla quale s’era formato il giudicato; b) e che anche a tali somme si applicavano i criteri di calcolo di rivalutazione ed interessi determinati dal giudice del rinvio perchè sul primo punto non v’era alcun bisogno di chiarimenti di sorta, essendo la circostanza incontroversa e chiarita anche dalla citata Cass. n. 16231/03, soprattutto all’inizio della non numerata decima pagina della sentenza; mentre, sul secondo punto, il secondo alinea del dispositivo (dove si "dispone che su dette somme e su quelle ulteriori indicate nella sentenza di primo grado gli interessi e la rivalutazione siano calcolati nei termini indicati in motivazione") va univocamente interpretato nel senso che tutte le somme liquidate per le varie voci di danno, anche quella non espressamente menzionata di L. 9.000.000 riconosciuta per la chiusura forzosa del laboratorio artigianale, vanno assoggettate al medesimo trattamento quanto al computo di rivalutazione ed interessi;

4.- Conclusivamente, è accolto solo il secondo motivo del ricorso principale in relazione all’omessa pronuncia sulla domanda di restituzione delle somme che si affermano versate in eccesso da Icmesa, ferme tutte le altre statuizioni della sentenza impugnata.

L’esito del giudizio induce alla compensazione integrale delle spese anche del presente giudizio di cassazione, alla cui regolazione si provvede ex art. 385 c.p.c., comma 3, in relazione alle ragioni del rinvio.

La compensazione è connessa sia alla prevalente soccombenza reciproca, sia al rilievo che il solo motivo accolto del ricorso di Icmesa concerne un’omissione del giudice del merito in nessun modo riconducibile a posizioni assunte dalla parte avversa, sicchè sotto tale aspetto difetta ogni responsabilità dei resistenti Z. – L., con conseguente ravvisabilità pure dei giusti motivi di cui all’art. 92 c.p.c., comma 2.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE riunisce i ricorsi, dichiara inammissibile il ricorso incidentale Z. – L. proposto con controricorso notificato il 23.1.2009, accoglie il secondo motivo del ricorso Icmesa, rigetta gli altri motivi ed il ricorso Z. – L. proposto con atto notificato il 18.12.2008, cassa in relazione alla censura accolta e rinvia alla corte d’appello di Milano in diversa composizione, compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

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