Cass. civ. Sez. III, Sent., 25-01-2011, n. 1740 U. S. L.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I fatti di causa possono così ricostruirsi sulla base della sentenza impugnata.

Con citazione del 21 ottobre 1998 l’Azienda Unità Sanitaria n. (OMISSIS) della Regione Sardegna propose opposizione al decreto col quale, a istanza di Sant’Elena Casa di Cura Privata s.p.a., le era stato ingiuntivo il pagamento della somma di L. 573.889.000, oltre interessi e spese, quale corrispettivo di prestazioni di ricovero svolte nel secondo semestre del 1997 dall’ingiungente presso il proprio presidio. A sostegno del mezzo sostenne che, nel predetto periodo, la Casa di cura non era titolare di alcuna convenzione per l’esercizio delle prestazioni, nè era compresa tra le strutture transitoriamente accreditate, tanto vero che il competente assessorato regionale aveva rigettato la richiesta dell’opposta di volere operare in regime di accreditamento.

Costituitasi in giudizio, la Casa di cura contestò le avverse deduzioni, instando, in via riconvenzionale, per la condanna dell’ente al risarcimento dei danni in ragione del suo persistente inadempimento.

Con sentenza del 9 novembre 2002 il Tribunale di Cagliari accolse l’opposizione; revocò il provvedimento monitorio; rigettò la domanda dell’opposta; compensò integralmente tra le parti le spese del giudizio.

Proposto gravame dalla soccombente Casa di Cura, la Corte d’appello, in data 6 ottobre 2005, lo ha respinto.

Avverso detta pronuncia propone ricorso per cassazione Sant’Elena Casa di Cura Privata s.p.a., formulando due motivi.

Resiste con controricorso l’Azienda U.S.L. n. (OMISSIS) della Regione Sarda, proponendo altresì ricorso incidentale affidato a un unico mezzo.

Motivi della decisione

1 Va preliminarmente disposta, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., la riunione dei ricorsi proposti da Sant’Elena Casa di Cura Privata s.p.a. e dall’Azienda USL n. (OMISSIS) della Regione Sarda avverso la stessa sentenza.

1.1 Col primo motivo l’impugnante S. Elena lamenta violazione del D.P.R. 14 gennaio 1997, n. 37, artt. 2 e 3; D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8; L. 28 dicembre 1995, n. 549, artt. 2 e 3; L. n. 724 del 1994, artt. 4 e 6, nonchè vizi motivazionali su un punto decisivo della controversia.

Oggetto delle critiche è l’affermazione della Curia territoriale secondo cui la tesi dell’accreditamento ope legis, senza necessità di alcun provvedimento amministrativo, posta alla base della domanda attrice, era insostenibile alla luce del disposto del D.P.R. n. 37 del 1997, art. 2, commi 5 e 7: tali norme stabilivano invero, da un lato, che incombe all’amministrazione verificare se l’accreditamento delle singole strutture sanitarie corrisponda o meno alle scelte di programmazione regionale nell’ambito delle direttive nazionali;

dall’altro, che la stessa qualità di soggetto accreditato non costituisce vincolo per le aziende e per gli enti del servizio sanitario nazionale a corrispondere la remunerazione delle prestazioni erogate, al di fuori degli appositi rapporti di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8, commi 5 e 7, e successive modificazioni ed integrazioni, nell’ambito del livello di spesa annualmente definito. Di talchè, posto che nel periodo in contestazione, e cioè nel secondo bimestre del 1997, tra le parti non erano intercorsi gli appositi rapporti innanzi menzionati, il diritto al rimborso delle prestazioni non poteva essere riconosciuto.

La ricorrente torna invece a sostenere la tesi che il suo accreditamento, a prescindere dall’emanazione o meno di atti amministrativi che avrebbero avuto, in ogni caso, carattere meramente dichiarativo, discendeva tout court dalla circostanza di essere autorizzata all’esercizio dell’attività sanitaria, ai sensi della L. 23 dicembre 1978, n. 833, art. 43, comma 1, in quanto in possesso dei requisiti di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8, comma 4.

Nell’attuale assetto normativo vigerebbe invero il principio – chiaramente enucleabile dal disposto del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8, commi 5 e 7 e L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 2, per cui le istituzioni abilitate all’erogazione di prestazioni sanitarie sono perciò stesso accreditate, alla sola condizione che accettino il nuovo sistema di remunerazione a prestazione. Del resto, a opinare diversamente, cessato il regime di convenzionamento, nelle more della realizzazione dei presupposti per l’entrata in funzione del nuovo sistema, tutte le strutture sarebbero rimaste paralizzate e gli assistiti privi delle necessarie erogazioni.

Segnatamente non avrebbe il giudice di merito considerato, da un lato, che l’accettazione, da parte sua, del sistema della remunerazione a prestazione, secondo le tariffe e le modalità stabilite dall’amministrazione regionale, era circostanza pacifica in causa; dall’altro, che il richiamo del D.P.R. n. 37 del 1997, art. 2, comma 7, agli appositi rapporti (…) nell’ambito del livello di spesa annualmente definito, non valeva a conferire alla ASL il potere di stabilire un tetto di copertura finanziaria unilateralmente, e cioè al di fuori di uno specifico accordo contrattuale, in contraddittorio con la struttura accreditata, avendo il legislatore previsto la possibilità di superamento del limite di copertura finanziaria, soprattutto quando, come nella fattispecie, era mancata una fase preventiva di fissazione del volume delle prestazioni erogabili dalla struttura.

2 Le censure non hanno alcun fondamento.

Occupandosi del nuovo regime dell’accreditamento, di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8, come integrato dalla L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 6, e successive modificazioni, sia pure ai fini della soluzione di una questione di giurisdizione, le sezioni unite di questa Corte hanno escluso che il passaggio dal regime di convenzionamento esterno a quello basato sull’accreditamento, di cui alle predette norme, abbia modificato la natura del rapporto esistente tra l’amministrazione e le strutture private, segnatamente evidenziando che esso era e resta di natura sostanzialmente concessoria, con l’unica particolarità che nel nuovo assetto si è in presenza di concessioni ex lege di attività di servizio pubblico, fermo e incondizionato, peraltro, sia il potere di programmazione delle regioni, sia il potere di vigilanza e di controllo delle stesse sull’espletamento delle attività oggetto di concessione da parte delle istituzioni sanitarie private (confr. Cass. civ.. sez. un., 8 luglio 2005, n. 14335). Ed è significativo che di tali poteri di controllo venga affermata l’inerenza non solo alle concrete modalità di erogazione delle prestazioni oggetto della convenzione, ma anche alla valutazione del fabbisogno di quelle prestazioni da parte dell’utenza, valutazione correlata all’impossibilità che le stesse siano fornite direttamente dalle strutture pubbliche (confr. Cons. di Stato 2 febbraio 2010, n. 454).

In sostanza l’idea di fondo del nuovo sistema – che è quella di conformare l’organizzazione del servizio sanitario su un modello di tipo anglosassone di concorrenza amministrata o quasi mercato, caratterizzato dall’esistenza di una pluralità di soggetti erogatori, tra i quali i cittadini hanno piena libertà di scelta e le cui prestazioni vengono rimborsate attraverso tariffe standard dall’ente pubblico finanziatore – ha preso corpo in un assetto nel quale l’accesso alla qualifica di erogatore del servizio continua ad essere mediata da un provvedimento concessorio, sia pure a contenuto legislativamente regolamentato.

Ed è significativo che la L. 22 dicembre 1994, n. 724, art. 6, comma 6, riconosca alle strutture in possesso dei requisiti previsti dalla normativa vigente e che accettino il sistema della remunerazione a prestazione, il diritto all’accreditamento, con ciò stesso escludendo che questo possa ritenersi operante tout court, al di fuori di qualsivoglia atto amministrativo. In realtà, proprio all’opposto di quanto sostiene l’impugnante, la scelta dei destinatari dei provvedimenti di accreditamento deve avvenire previa verifica della rispondenza delle strutture che ne facciano domanda ai requisiti qualitativi previamente stabiliti dalle Regioni, ai sensi del combinato disposto del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8, commi 4 e 7, e successive modificazioni ed integrazioni, nonchè nel rispetto dei limiti quantitativi determinati sulla base delle risorse finanziarie e del fabbisogno territoriale di assistenza sanitaria.

L’esigenza di contemperare gli obiettivi di liberalizzazione con la necessità di blindare la spesa pubblica nel settore sanitario, che è alla base delle perduranti rigidità del sistema, trova peraltro un’ulteriore conferma nel disposto del D.P.R. 14 gennaio 1997, n. 37, art. 2, comma 7, a tenor del quale la qualità di soggetto accreditato non costituisce vincolo per le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale a corrispondere la remunerazione delle prestazioni erogate, al di fuori degli appositi rapporti di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8, commi 5 e 7 e successive modificazioni ed integrazioni, nell’ambito del livello di spesa annualmente definito. Di talchè, in definitiva, nessuna erogazione di prestazione sanitaria finanziariamente coperta dalla mano pubblica è possibile ove non sussista un provvedimento amministrativo di competenza regionale che riconosca alla struttura la qualità di soggetto accreditato e al di fuori di singoli, specifici rapporti contrattuali.

3 Quanto poi al regime transitorio, sul quale insiste l’impugnante al fine di sostenere l’implausibilità dell’opzione ermeneutica seguita dal giudice di merito, il paventato rischio di paralisi del sistema è scongiurato dal disposto della L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 6, comma 6, in base al quale nel passaggio dal vecchio al nuovo regime l’erogazione delle prestazioni, per la parte non assicurata direttamente dal servizio pubblico, viene garantita attraverso l’istituto dell’accreditamento provvisorio delle strutture già convenzionate, istituto che attua la prosecuzione, fino alla concessione dell’accreditamento definitivo ed alla stipula dei relativi accordi contrattuali, dei rapporti tra l’amministrazione sanitaria ed i soggetti delle cui prestazioni essa già si avvaleva (confr. Cons. di Stato 5 dicembre 2008, n. 6015; Cons. di Stato 21 giugno 2007, n. 3428).

4. Deriva da tanto l’infondatezza delle critiche formulate nel primo motivo, le quali, come già detto, ruotano intorno all’assunto che il rapporto di accreditamento non deriverebbe da un atto costitutivo discrezionalmente adottato dall’amministrazione, ma nascerebbe ex lege perciò solo che una struttura sanitaria sia autorizzata ad operare e accetti il nuovo sistema di remunerazione a prestazione, di talchè gli appositi rapporti di cui al D.P.R. n. 37 del 1977, art. 2, comma 7, servirebbero unicamente a fissare, in contraddittorio tra le parti, un tetto di copertura finanziaria della prestazioni erogabili dalla struttura, mentre resterebbe a carico dell’ente finanziatore, in caso di mancata stipula di tali accordi, il rischio dello sforamento dei livelli di spesa annualmente definiti.

La negazione della necessità, per la nascita del rapporto di accreditamento, di un provvedimento amministrativo costitutivo – negazione che, nella sua radicalità, depotenzia gli effetti preclusivi del giudicato derivanti dalla mancata impugnazione della pronuncia di prime cure nella parte in cui aveva affermato la necessità della stipulazione degli appositi rapporti di cui al D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8, commi 5 e 7 – non ha alcuna base normativa ed è anzi contraddetta dalla lettera e dalla ratio legis.

5. E’ poi inammissibile il secondo motivo di ricorso. Con esso il ricorrente denuncia violazione degli artt. 112, 167, 183, 184 e 633 cod. proc. civ., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione con riferimento alla conferma della inammissibilità della domanda riconvenzionale, volta ad ottenere il risarcimento dei danni derivati dal persistente inadempimento della ASL. In realtà, la sentenza impugnata non ha confermato siffatta inammissibilità, ma ha piuttosto rilevato che le pretese risarcitorie avanzate dall’opposta non potevano avere alcun margine di accoglimento, e andavano quindi rigettate, a fronte della accertata infondatezza del principale motivo di impugnazione.

La censura risulta pertanto eccentrica rispetto alla ratio decidendi del capo di sentenza impugnato e, come tale, aspecifica.

Il rigetto del ricorso principale impone di ritenere assorbito il ricorso incidentale condizionato proposto dalla USL. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale. Condanna la ricorrente S. Elena al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 10.200,00 (di cui Euro 200,00 per spese), oltre I.V.A. e C.P.A., come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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