Cass. civ. Sez. III, Sent., 25-01-2011, n. 1728 Reati commessi a mezzo stampa diffamazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza 31 maggio 2005 – 2 marzo 2006, la Corte d’appello di Firenze, in riforma della decisione del Tribunale di Livorno del 30 luglio 2003, rigettava la domanda di risarcimento danni, per diffamazione a mezzo stampa, proposta da C.G. nei confronti della s.p.a. FINEGIL Editoriale, editrice del quotidiano (OMISSIS).

Nell’atto di citazione l’attore esponeva che l’articolo pubblicato il (OMISSIS), e soprattutto la relativa locandina, dovevano considerarsi lesive della sua reputazione e del suo onore.

Nell’articolo (intitolato " C., testimone chiave, nei guai l’onorevole A.") si riferiva in ordine alla testimonianza resa dallo stesso C., consigliere comunale DC di (OMISSIS), in una vicenda relativa alla discarica di (OMISSIS), che vedeva coinvolto l’onorevole A. in una (sospetta) aggiudicazione di un appalto per lo smaltimento dei rifiuti.

Il Tribunale, ritenuto il carattere diffamatorio della locandina del quotidiano di quel giorno, aveva accolto la domanda di risarcimento proposta dal C., condannando la società editrice del quotidiano al pagamento della somma complessiva di L. centomilioni.

Decidendo sull’appello di FINEGIL Editoriale, la Corte fiorentina rigettava la domanda di risarcimento dei danni, ritenendo che l’articolo rispecchiasse quanto effettivamente dichiarato dal C. nella testimonianza resa dinanzi al Pretore.

In effetti, l’unico elemento che il primo giudice aveva posto a fondamento della condanna era costituito dal contenuto della locandina relativa al quotidiano del seguente testuale tenore:

"Tangenti., Politico pratese coinvolge l’ex viceministro".

Tuttavia, sottolineavano i giudici di appello, risultava del tutto evidente – sulla base del contenuto dell’articolo che completava e rendeva evidente la frase contenuta nella locandina – che la persona coinvolta nella vicenda non era il C. (cioè il politico pratese) ma l’ex viceministro, identificato, sulla base del contenuto dell’articolo, nell’onorevole A..

Nessun giudizio negativo poteva implicare il fatto di aver reso testimonianza: cosa da considerarsi, peraltro, doverosa anche sotto il profilo etico-sociale.

Sulla base di tali argomentazioni, la Corte territoriale rigettava la domanda proposta dal C..

Avverso tale decisione il C. ha proposto ricorso per cassazione, sorretto da tre, distinti, motivi.

Resiste la FINEGIL Editoriale con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione

Deve trovare applicazione, nel caso di specie, in ragione della data di deposito della sentenza (2 marzo 2006) la disposizione di cui all’art. 366 bis c.p.c., relativa alla necessità di formulazione dei quesiti di diritto nei casi indicati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4.

Con il primo motivo si deduce la violazione di legge per omessa applicazione dell’art. 2043 c.c., dell’art. 2059 c.c. e dell’art. 595 c.p.c., omessa e/o contraddittoria e insufficiente motivazione su un fatto controverso: omissione di pronuncia, ingiustizia ed illogicità manifesta.

In contrasto con la giurisprudenza di questa Corte, in materia di limiti all’esercizio della cronaca giornalistica, i giudici di appello avevano ritenuto di negare in modo assoluto una autonoma portata lesiva al contenuto della locandina e dei titoli riportati dal quotidiano.

Ad una piana lettura dell’articolo, risultava chiaramente che anche il C. era coinvolto nella questione di tangenti.

Il quesito di diritto riguarda il dovere del giudice di esaminare l’autonoma portata lesiva del titolo, indipendentemente dal contenuto dell’articolo, ai fini della valutazione del rispetto dei limiti connessi all’esercizio di cronaca giornalistica.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione di legge per omessa applicazione dell’art. 2043 c.c., dell’art. 2059 c.c., e dell’art. 595 c.p.c., omessa e/o contraddittoria e insufficiente motivazione su un fatto decisivo, ai fini della controversia, omissione di pronuncia: ingiustizia ed illogicità manifesta.

La giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che un titolo di giornale possa di per sè essere idoneo a ledere la integrità morale e la reputazione di un soggetto, e ciò anche indipendentemente da quanto riportato dall’articolo ad esso relativo.

Ma anche nell’ipotesi che la valenza diffamatoria della vicenda dovesse essere valutata unitamente al complesso di tutti gli elementi relativi alla fattispecie, la sentenza impugnata si rivelerebbe comunque viziata in quanto in contrasto con le disposizioni di legge richiamate, oltre che per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto.

Senza adeguata motivazione, i giudici di appello avevano finito per concludere che il contenuto sostanzialmente corretto dell’articolo (seppur con qualche inesattezza) valesse ad eliminare la totale mancanza di rispondenza alla realtà dei titolo utilizzati.

Nessuna considerazione era stata svolta dal giornale per giustificare in qualche modo il tenore del titolo.

La realtà era che il quotidiano "(OMISSIS)" aveva inteso attuare una vera e propria campagna diffamatoria, volta a ledere l’onore e la reputazione di un importante uomo politico cittadino.

L’articolo del giornale, infatti, conteneva numerose affermazioni non veritiere, che non corrispondevano pienamente con quanto dichiarato dal C. nel corso della sua testimonianza.

Il quesito di diritto tende ad accertare se sussista una violazione di norma di legge "ed una violazione dei limiti formali e sostanziali individuati con riferimento all’esercizio del diritto di cronaca, qualora un titolo travisi il contenuto dell’articolo cui si riferisce e, a fortori, quando da detto articolo non possano ricavarsi elementi atti a "giustificare" la portata accusatoria del titolo".

Con il terzo motivo si deduce nuovamente la violazione ed omessa applicazione delle norme di legge più volte richiamate, nonchè omessa e/o contraddittoria e insufficiente motivazione su un fatto controverso;

omissione di pronuncia, ingiustizia ed illogicità manifesta.

Il quesito di diritto sottoposto a questa Corte riguarda la esistenza di un obbligo, per il giudice di merito, di valutare il carattere diffamatoria di una notizia, e, dunque, l’obbligo risarcitorio ad esso conseguente, alla luce delle singole espressioni, nonchè delle modalità espressive utilizzate dal giornale,secondo la comune percezione del lettore medio, e, nel caso di titoli da locandina, anche del lettore superficiale;

Osserva il Collegio: i tre motivi, da esaminare congiuntamente in quanto connessi tra di loro, sono ammissibili, anche se contengono, al loro interno, sia denunce di violazione di norme di legge che censure di vizi motivazionali.

Si richiama, sul punto, il recente insegnamento di questa stessa Corte, secondo il quale: "E’ ammissibile il ricorso per cassazione nel quale si denunzino con un unico articolato motivo di impugnazione vizi di violazione di legge e di motivazione in fatto, qualora lo stesso si concluda con una pluralità di quesiti, ciascuno dei quali contenga un rinvio all’altro, al fine di individuare su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica del fatto" (Cass. S.U., 31 marzo 2009 n. 7770).

Nel caso di specie, si ravvisano i requisiti indicati nella pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (pluralità di quesiti, che rinviano l’uno all’altro, con denuncia di difetto di motivazione e di errore giuridico di qualificazione del fatto).

Tanto premesso in ordine alla ammissibilità del ricorso, osserva preliminarmente questa Corte che certamente il carattere diffamatorio di uno scritto non può essere escluso per effetto di una lettura atomistica dello stesso.

Poichè’ è l’evento diffamatorio che va sanzionato, risulta evidente che esso può′ essere causato sia da una singola espressione, sia da tutto il contesto dello scritto, con l’effetto che – per escludere la diffamazione – il giudice deve valutare la portata offensiva non solo delle singole espressioni, ma anche dell’intero scritto. (Cass. 25 luglio 2000 n. 9746).

Ne consegue che, anche in relazione al titolo dell’articolo (ma discorso analogo vale per la locandina che pubblicizza gli articoli all’interno del giornale) il carattere offensivo va escluso non solo avendo riguardo al titolo in sè, ma anche al rapporto che il titolo ha con il contenuto dello stesso.

Può dunque concludersi, come del resto più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, che, per stabilire se uno scritto giornalistico abbia o meno contenuto diffamatorio non è sufficiente avere riguardo alla verità delle notizie da esso diffuse, nè limitarsi alla sola analisi testuale dello scritto, ma è invece necessario considerare tutti gli ulteriori elementi – come ad esempio i titoli, l’occhiello, le fotografie, gli accostamenti, le figure retoriche – che formano il contesto della comunicazione e che possono arricchirla di significati ulteriori, anch’essi lesivi dell’altrui onore o reputazione. (Cass. 14 ottobre 2008 n. 25157).

La Corte di appello di Milano, nel valutare i fatti raccontati nell’articolo incriminato, coerentemente ha fatto applicazione di questi principi, peraltro chiaramente esposti nella parte iniziale della motivazione.

Deve inoltre rilevarsi (con riferimento a tutti i motivi di ricorso ed alla denuncia di vizi motivazionali, in essi contenuti) che la valutazione del carattere diffamatorio – o non – di uno scritto o di altra manifestazione del pensiero si pone, per il giudice che deve adottarla, come valutazione di un fatto: falsificazione o manipolazione della considerazione che le qualità, di una persona determinata hanno in un certo contesto sociale.

Nel compiere questa valutazione, evidentemente, il giudice di merito ha l’obbligo di dare una ragione sufficiente al suo convincimento;

egli è, libero – secondo i principi generali – di scegliere il convincimento che ritiene più1 giusto, ma deve fondarlo rispettando i canoni metodologici che l’ordinamento pone in maniera espressa o implicita.

Nell’azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo stampa, pertanto, la ricostruzione storica dei fatti, la valutazione del contenuto degli scritti, l’apprezzamento in concreto delle espressioni usate come lesive dell’altrui reputazione e l’esclusione dell’esimente del diritto di cronaca o di critica, costituiscono altrettanti accertamenti di fatto riservati al giudice di merito ed incensurabili in sede di legittimità se sorretti da motivazione congrua ed esente da vizi logico-giuridici (Cass. 8 agosto 2007 n. 17395).

Il canone metodologico da adottare in questa sede è, dunque, quello descritto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, secondo il quale la decisione impugnata deve essere convenientemente motivata su tutti i punti decisivi della controversia.

Dal sindacato di legittimità, in ogni caso, deve escludersi ogni rivalutazione del fatto.

Per stare alla fattispecie in esame, quindi, quello che deve essere valutato non è il fatto dell’avvenuta alterazione dell’opinione sociale sull’onore di una determinata persona, ma il metodo seguito dal giudice del merito, ovvero le regole sul metodo del giudizio di fatto che è stato concretamente formulato per giungere alla soluzione criticata. (Cass. 7 ottobre 1997,n. 9743).

Trattandosi di valutazioni del giudice di merito, adeguatamente motivate, esse sfuggono al sindacato di legittimità di questa Corte.

Tanto premesso, sfugge a qualsiasi censura la decisione impugnata che – esaminato l’articolo in questione, nel suo complesso – ha escluso qualsiasi portata diffamatoria anche del titolo e della locandina.

In pratica, hanno rilevato i giudici di appello nessuno – leggendo l’articolo del 27 ottobre 1993 avrebbe potuto ritenere che il C. fosse implicato, in qualche modo, nelle vicende relative al processo contro i componenti della giunta lucchese per lo smaltimento dei rifiuti.

Per contro, ha sottolineato la stessa Corte territoriale, emergeva chiaramente la circostanza che il C. aveva deposto come testimone e che proprio la testimonianza da lui resa aveva contributo a coinvolgere l’on. A. – ex viceministro – nella questione delle tangenti riguardanti l’appalto per la realizzazione della discarica. Dunque nè dall’articolo nè dalla locandina poteva trarsi il convincimento che il C., autore con la sua testimonianza del coinvolgimento dell’ A., fosse anche egli coinvolto nella vicenda in questione.

Quanto alla fotografia che effigiava il C. nell’atto di rendere la testimonianza, si trattava di immagine decorosissima.

Tra l’altro, sottolinea la Corte territoriale, al momento della pubblicazione dell’articolo il C. era "uomo pubblico" rivestendo la carica di consigliere comunale: in conseguenza di ciò, risultava evidente la rilevanza sociale della notizia e delle considerazioni espresse nell’articolo.

Sulla base di tali argomentazioni, i giudici di appello hanno ritenuto sussistenti tutti i requisiti richiesti per la configurabilità del diritto di cronaca escludendo qualsiasi contenuto diffamatorio nell’articolo e nella relativa locandina.

L’esame dei restanti motivi di ricorso è precluso dal rigetto dei primi motivi di ricorso (essi riguardano, infatti, la misura del risarcimento già deciso dal primo giudice).

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo, in favore di FINEGIL Editoriale.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 4.700,00 (quattromilasettecento), di cui Euro 4.500,00 (quattromilacinquecento/00) per onorari di avvocato, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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