Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 25-01-2011, n. 1722 Licenziamento per riduzione del personale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ricorso dell’11 luglio 2002 B.G. impugnava dinanzi al Tribunale di Roma il licenziamento comunicatogli da Poste Italiane s.p.a., con nota del 19 novembre 2001, all’esito della procedura della L. n. 223 del 1991, ex artt. 4 e 24. 2. Con sentenza del 27 maggio 2003 il Tribunale respingeva il ricorso ritenendo che l’esubero di personale, o anche la sopravvenuta carenza di organico di una determinata regione, non poteva escludere il potere della società di recedere, visto che nell’accordo del 17 ottobre 2001 le parti collettive avevano previsto la risoluzione del rapporto di lavoro di tutto il personale che, alle successive date del 31 dicembre 2001 e del 31 marzo 2002, fosse in possesso dei requisiti per il pensionamento di anzianità o di vecchiaia, criterio tra loro concordato per la riduzione dei dipendenti.

3. Avverso detta sentenza proponeva appello il B. deducendo che il giudice di primo grado aveva omesso di considerare che il presupposto inderogabile del licenziamento collettivo è la trasformazione o riduzione di attività di lavoro che rende i posti di lavoro esuberanti e che non può identificarsi nel semplice "svecchiamento" del personale.

4. La Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 6714 del 2007, accoglieva l’appello e in riforma della sentenza del Tribunale di Roma dichiarava l’inefficacia del licenziamento e ordinava a Poste Italiane di reintegrare il medesimo nel posto di lavoro, condannando la medesima al pagamento di un’indennità risarcitoria pari alla retribuzione globale di fatto dalla data del licenziamento sino alla reintegrazione, oltre rivalutazione e interessi legali ed al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. Poneva a carico di Poste Italiane le spese di entrambi i gradi di giudizio.

In particolare, il Giudice di appello rilevava che il requisito della maturazione del diritto alla pensione non può prescindere dall’esistenza di posti di lavoro in esubero. Riteneva, quindi, illegittimo il licenziamento in quanto all’atto della sua intimazione non vi era il nesso causale tra lo stesso e il programma di ristrutturazione aziendale, che prevedeva un esubero di personale in qualifica quadro di primo livello, condizione venuta meno nelle more della procedura.

5. Ricorre per la cassazione della suddetta sentenza Poste Italiane s.p.a., proponendo due motivi di ricorso.

6. Resiste con controricorso B.G..

7. Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, nonchè vizio di motivazione con riguardo alla determinazione dell’ambito di applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità e alla individuazione dei settori aziendali interessati dalla procedura di cui alla suddetta L. n. 223 del 1991, art. 4. 1.1. In merito al suddetto motivo è stato formulato il seguente quesito di diritto: se avuto riguardo al fatto che nell’accordo di definizione delle procedure di cui alla L. n. 223 del 1991, le parti abbiano convenuto il licenziamento di tutto il personale in possesso dei requisiti pensionistici, è necessario che l’applicazione del predetto in fase di attuazione dei recessi tenga conto di un necessario nesso eziologico tra le esigenze tecnico produttive e la scelta del personale e che quindi i soggetti da porre in mobilità siano individuati nell’ambito di settori o reparti in relazione ai quali siano state prospettate e riscontrate situazioni di eccedenza o è possibile l’applicazione del criterio a tutto l’organico aziendale, ovunque esso risulti applicato.

2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991 e vizio di motivazione con riguardo alla devoluzione al giudice della esclusiva valutazione della correttezza procedurale dell’operazione di licenziamento collettivo.

2.1. In ordine al suddetto motivo è stato formulato il seguente quesito di diritto: avuto riguardo al fatto che la L. n. 223 del 1991, ha subordinato ad un preventivo controllo sindacale il potere datoriale di procedere alla risoluzione dei rapporti di lavoro in caso di licenziamento collettivo, dica la Corte che in ragione di ciò gli spazi di controllo devoluti al giudice in sede contenziosa non riguardano più gli specifici motivi della riduzione del personale ma la sola correttezza procedurale dell’operazione, con la conseguenza che non possono trovare ingresso in sede giudiziaria tutte quelle censure con le quali, senza contestare specifiche violazione delle prescrizioni dettate dai citati artt. 4 e 5 e senza fornire la prova di maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e delle procedure di mobilità al fine di operare discriminazioni tra i lavoratori, si finisce per investire l’autorità giudiziaria di una indagine sulla presenza di "effettive" esigenze di riduzione o trasformazione dell’attività produttiva.

3. La Corte, esaminati unitariamente i motivi di ricorso per la connessione tra le diverse censure, li giudica fondati nei sensi e nei limiti delle considerazioni seguenti.

Si deve infatti osservare che per il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, in materia di licenziamenti collettivi per riduzione di personale, la L. n. 223 del 1991, nel prevedere agli artt. 4 e 5 la puntuale, completa e cadenzata procedimentalizzazione del provvedimento datoriale di messa in mobilità, ha introdotto un significativo elemento innovativo consistente nel passaggio dal controllo giurisdizionale, esercitato ex post nel precedente assetto ordinamentale, ad un controllo dell’iniziativa imprenditoriale, concernente il ridimensionamento dell’impresa, devoluto ex ante alle organizzazioni sindacali, destinatarie di incisivi poteri di informazione e consultazione secondo una metodica già collaudata in materia di trasferimenti di azienda. I residui spazi di controllo devoluti al giudice in sede contenziosa non riguardano più, quindi, gli specifici motivi della riduzione del personale (a differenza di quanto accade in relazione ai licenziamenti per giustificato motivo obiettivo), ma la correttezza procedurale dell’operazione, con la conseguenza che non possono trovare ingresso in sede giudiziaria tutte quelle censure con le quali, senza contestare specifiche violazioni delle prescrizioni dettate dai citati artt. 4 e 5 e senza fornire la prova di maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e delle procedure di mobilità al fine di operare discriminazioni tra i lavoratori, si finisce per investire l’autorità giudiziaria di un’indagine sulla presenza di "effettive" esigenze di riduzione o trasformazione dell’attività produttiva (Cass. 12 ottobre 1999 n. 11455, e numerose altre successive, tra cui Cass. 13 maggio 2004 n. 9134, Cass. 6 ottobre 2006 n. 21541).

Nell’ambito del controllo giudiziale della legittimità del licenziamento collettivo, contestata dall’impugnativa dei lavoratori interessati, si è altresì precisato che il giudice deve accertare la sussistenza dell’imprescindibile nesso causale tra il progettato ridimensionamento aziendale e i singoli provvedimenti di recesso (Cass. 19 aprile 2003 n. 6385, 6 maggio 2004 n. 8364), mentre con riguardo alla verifica del rispetto delle regole procedurali si è affermato che la sufficienza dei contenuti della comunicazione preventiva di cui alla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, comma 3, deve essere valutata in relazione ai motivi della riduzione di personale, che restano sottratti al controllo giurisdizionale. Si è in particolare evidenziato che, ove il progetto imprenditoriale sia diretto a ridurre l’organico dell’intero complesso aziendale al fine di diminuire il costo del lavoro, l’imprenditore può limitarsi all’indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti, suddiviso tra i diversi profili professionali previsti dalla classificazione del personale occupato nell’azienda, senza che occorra la specificazione degli uffici o reparti con eccedenza, e ciò tanto più se si esclude qualsiasi limitazione del controllo sindacale e in presenza della conclusione di un accordo con i sindacati all’esito della procedura che, nell’ambito delle misure idonee a ridurre l’impatto sociale dei licenziamenti, adotti il criterio della scelta del possesso dei requisiti per l’accesso alla pensione (cfr, Cass. 26 febbraio 2009 n. 4653, in fattispecie concernente il licenziamento collettivo dei dipendenti di Poste Italiane).

Il giudice del merito ha ritenuto che il licenziamento del B. era illegittimo in quanto, all’atto dell’intimazione del licenziamento, era insussistente il nesso causale tra lo stesso ed il progetto di ristrutturazione aziendale che prevedeva un esubero di personale in qualifica di primo livello, condizione venuta meno nelle more della procedura, ed il provvedimento di recesso.

La sentenza qui in esame, ribadendosi le argomentazioni svolte da Cass. 4653/09, è in contrasto con le disposizioni dell’art. 1 e, conseguentemente anche dell’art. 4, comma 3, della richiamata L. n. 223 del 1991: a) l’art. 1 perchè ha negato, al di là dei profili formali sui quali apparentemente si incentra la motivazione, la facoltà di Poste Italiane s.p.a., che svolge l’identica attività produttiva sull’intero territorio nazionale, di decidere il ridimensionamento dell’impresa con esclusivo riguardo alla consistenza complessiva del personale ed al fine di ridurre i costi di gestione, determinando le eccedenze in un certo numero di lavoratori regione per regione e per area di inquadramento professionale, così sottoponendo a sindacato la scelta imprenditoriale e finendo, nella sostanza, per considerare ingiustificata una riduzione di personale in questi termini progettata dall’imprenditore, in violazione dei principi innanzi richiamati in tema di licenziamento collettivo; b) l’art. 4, comma 3, perchè la sufficienza dei contenuti della comunicazione di avvio della procedura alle organizzazioni sindacali si deve necessariamente valutare con riferimento ai motivi, esternati nella stessa comunicazione, che determinano l’eccedenza e alle misure proposte dallo stesso imprenditore per attenuare l’impatto sociale dei licenziamenti.

Pertanto, in applicazione dei principi di diritto richiamati, il progetto di riduzione del personale complessivo dell’azienda postale imponeva di indicare soltanto la ripartizione delle eccedenze per categorie professionali, nonchè per le aree del territorio nazionale, anche in vista della conseguente necessità di una nuova distribuzione geografica del personale e di una riorganizzazione del lavoro. In relazione a tale progetto, infatti, non sarebbe stato coerente l’indicazione di uffici o reparti con eccedenze, coincidendo la "collocazione" dei dipendenti da licenziare con l’intero complesso aziendale; nè avrebbe avuto alcun senso la specificazione delle concrete posizioni lavorative che si intendevano eliminare, risultando tale profilo completamente estraneo alle ragioni della decisione imprenditoriale.

D’altra parte, il riferimento legislativo ai "profili professionali" va inteso si in termini di esclusione della prospettiva formale delle categorie (artt. 2095 e 2103 cod. civ.) al fine di privilegiare gli aspetti funzionali della categoria o qualifica d’inquadramento, ma ciò non significa certo richiedere l’indicazione delle concrete posizioni lavorative, cioè delle mansioni svolte, restandosi pur sempre sul piano astratto della classificazione del personale alla stregua della disciplina applicabile al rapporto di lavoro; ed allora, se il giudice di merito aveva accertato che la contrattazione collettiva recava un sistema di inquadramento del personale per "aree funzionali", ciascuna caratterizzata dall’idoneità professionale allo svolgimento di una pluralità di mansioni, non si comprende perchè l’indicazione dell’area di appartenenza non sarebbe indicazione dei "profili professionali".

La sentenza, inoltre, si pone in contrasto anche con il principio di diritto secondo cui, in ragione del fine delle informative sulla procedura di mobilità, che è quello di favorire la gestione contrattata della riduzione di personale, la circostanza che sia stato in concreto raggiunto tale fine, per essere stato stipulato un accordo con le organizzazioni sindacali, assume rilevanza nel giudizio di completezza della comunicazione di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, mentre le eventuali insufficienze o inadempienze informative possono, in ogni caso, essere fatte valere dalle organizzazioni sindacali e non dai singoli lavoratori, salvo che questi ultimi dimostrino l’idoneità in concreto di siffatte informative a forviare o ledere l’esercizio dei poteri di controllo preventivo attribuiti alle organizzazioni sindacali, con ricadute a essi lavoratori pregiudizievoli (Cass. 11 gennaio 2008 n. 528). Pur avendo accertato, infatti, che vi era stata effettivamente la gestione contrattata della riduzione di personale in tutti i profili, fino realizzare il risultato di un notevole ridimensionamento delle eccedenze inizialmente programmate, non ne ha tratto le conseguenze sul piano della sufficienza delle informazioni fornite nella fase di avvio della procedura.

Si deve poi aggiungere che anche la prospettiva di ridurre l’impatto sociale dei licenziamenti mediante l’applicazione del criterio di scelta (necessitante di accordo sindacale) del possesso dei requisiti per la pensione, offriva elementi utili alla valutazione di sufficienza e coerenza dei contenuti della comunicazione preventiva.

Il detto criterio, in linea con le considerazioni svolte dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 268 del 1994, è ritenuto dalla giurisprudenza della Corte conforme al principio di ragionevolezza e non discriminazione, coerente soprattutto con le finalità del controllo sociale affidato ai sindacati e agli organi pubblici (vedi Cass. 21 settembre 2006, n. 20455; 24 aprile 2007, n. 9866) ed è ora consacrato a livello legislativo dalla L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 59, comma 3.

Le condizioni favorevoli per un accordo sindacale sul detto criterio erano appunto costituite dalla riduzione di personale da operare sull’intero organico dell’azienda su base nazionale e in relazione a tutte le aeree di inquadramento del personale, senza distinzioni tra uffici e settori produttivi specifici. Anche questo aspetto induce, quindi, a ritenere sufficienti i contenuti della comunicazione di avvio della procedura, procedura sfociata poi nell’auspicato accordo sindacale.

11 ricorso va accolto sulla base del principio di diritto elaborato da Cass. n. 4653 del 2009, nella sintesi redatta dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo di questa Corte, che qui si trascrive: "In tema di verifica del rispetto delle regole procedurali dettate per i licenziamenti collettivi per riduzione di personale dalla L. n. 223 del 1991, la sufficienza dei contenuti della comunicazione preventiva di cui all’art. 4, comma 3, deve essere valutata in relazione ai motivi della riduzione di personale, sottratti al controllo giurisdizionale, cosicchè, nel caso di progetto imprenditoriale diretto a ridimensionare l’organico dell’intero complesso aziendale al fine di diminuire il costo del lavoro, l’imprenditore può limitarsi all’indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti suddiviso tra i diversi profili professionali contemplati dalla classificazione del personale occupato nell’azienda, tanto più se si esclude qualsiasi limitazione del controllo sindacale e in presenza della conclusione di un accordo con i sindacati all’esito della procedura, che, nell’ambito delle misure idonee ridurre l’impatto sociale dei licenziamenti, adotti il criterio di scelta del possesso dei requisiti per l’accesso alla pensione".

Trattandosi di cassazione della sentenza impugnata per violazione di norme di diritto e non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa, a norma dell’art. 384 cod. proc. civ., comma 1, va decisa nel merito, con il rigetto della domanda proposta da B. G. contro la società Poste Italiane.

In considerazione del difforme esito dei giudizi di merito e delle incertezze rilevate anche in seno alla giurisprudenza della Corte, ricorrono giusti motivi per l’integrale compensazione fra le parti delle spese dell’intero processo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta la domanda proposta da B.G..

Compensa le spese dell’intero processo.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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