Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 25-01-2011, n. 1695 Provvedimenti impugnabili per Cassazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 12464 del 2004 il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma respingeva la domanda proposta da P.C. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, diretta ad ottenere la declaratoria di nullità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra le parti dal 1-10-2001 al 31-1-2002 per "esigenze straordinarie…" ex art. 25 ccnl 2001, con le pronunce consequenziali.

La P. proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la riforma con l’accoglimento della domanda.

La società si costituiva e resisteva al gravame.

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza ex art. 359 e 420 bis c.p.c., pronunciando in punto di interpretazione di contratto collettivo nazionale di diritto comune, dichiarava che "il combinato delle clausole contrattuali applicate al rapporto tra le parti e oggetto del contraddittorio di appello deve essere inteso nel senso che: è necessario che il contratto individuale di lavoro a tempo determinato si giustificato da specifiche e concrete (esigenze) collegate alla ristrutturazione e riorganizzazione aziendale e riferite alla singola assunzione", disponendo con separato provvedimento la prosecuzione del processo.

Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con un unico motivo.

La P. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo la ricorrente denunciando violazione della L. n. 230 del 1962, della L. n. 56 del 1987, art. 23 e dell’art. 1362 c.c. e segg., in sostanza lamenta che la Corte territoriale, in violazione del principio della "delega in bianco" conferita alla contrattazione collettiva dall’art. 23 cit., avrebbe "operato un ingiustificato intervento riduttivo della portata della clausola collettiva", ritenendo "pur sempre necessario che l’apposizione del termine sia giustificata da un’esigenza specifica obbiettivata nel contratto collettivo e concretamente riferibile alla singola assunzione", laddove, invece, l’accertamento del nesso di causalità andava "condotto unicamente nell’ambito della previsione collettiva".

Il ricorso va dichiarato inammissibile.

Come già affermato ripetutamente da questa Corte (v. Cass. 19-2-2007 n. 3770, nonchè Cass. n.ri 6705/2007, 6706/2007, 20379/2007, 11135/2008, 22874/2008, 11406/2010, 16316/2010) "il canone costituzionale della ragionevole durata del processo, coniugato con quello dell’immediatezza della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.), orienta l’interpretazione dell’art. 420 bis c.p.c. nel senso, confortato anche da argomenti di interpretazione letterale, che tale disposizione trova applicazione solo nel giudizio di primo grado e non anche in quello d’appello, in sintonia con le scelte del legislatore delegato (D.Lgs. n. 40 del 2006) che, più in generale, ha limitato la possibilità di ricorso immediato per cassazione avverso sentenze non definitive rese in grado d’appello, lasciando invece inalterata la disciplina dell’impugnazione immediata delle sentenze non definitive rese in primo grado. Conseguentemente, la sentenza di accertamento pregiudiziale sull’interpretazione di un contratto collettivo, ove resa in grado di appello, non essendo riconducibile nel paradigma dell’art. 420 bis c.p.c., non incorre in un vizio che inficia la pronuncia, bensì nel rimedio impugnatorio proprio, che non è quello del ricorso immediato per cassazione, ma trattandosi di sentenza che non definisce, neppure parzialmente, il giudizio, è quello generale risultante dal combinato disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 3, e art. 361 c.p.c., comma 1. Pertanto non viene in rilievo l’affidamento che le parti possono aver riposto nella decisione della Corte territoriale emessa nel contesto processuale dell’art. 420 bis c.p.c., atteso che l’interesse ad un giudizio di impugnazione sulla sentenza resa dal giudice di appello è salvaguardato dalla applicabilità del secondo periodo dell’art. 360 c.p.c., comma 3 come novellato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2 bis che prevede che avverso le sentenze che non definiscono il giudizio e non sono impugnabili con ricorso immediato per cassazione, può essere successivamente proposto il ricorso per cassazione, senza necessità di riserva, allorchè sia impugnata la sentenza che definisce, anche parzialmente, il giudizio".

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese in favore della P..

P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a pagare alla P. le spese liquidate in Euro 15,00 oltre Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2010.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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