Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 25-01-2011, n. 1694 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 24-1/8-4-2002 il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma, in accoglimento della domanda proposta da L.S. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, accertata la nullità del termine apposto ai contratti di lavoro intercorsi tra le parti (dal 7- 2-98 al 30-4-98 per "esigenze eccezionali" ex art. 8 ccnl 1994 e acc. az. 25-9-97 prorogato al 30-5-98, dal 29-6-98 al 30-9-98 per "necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie", dal 11-11-98 al 30-1-99 con proroga, ancora "per "esigenze eccezionali"), dichiarava la sussistenza tra le stesse di un rapporto a tempo indeterminato dal 7-2-1998 e condannava la società a ripristinare il rapporto stesso e a corrispondere alla L. la retribuzione globale di fatto dalla messa in mora del 19-9-2000 fino all’effettivo ripristino oltre accessori.

La società proponeva appello avverso la detta sentenza, chiedendone la riforma con il rigetto della domanda di controparte.

La L. si costituiva e resisteva al gravame.

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza depositata il 10-1-2006, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, dichiarava la nullità del termine apposto al contratto stipulato in data 25-6-98 e per l’effetto dichiarava che tra le parti sussisteva un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dal 29-6-98 "ancora in atto".

Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con tre motivi.

La L. è rimasta intimata.

Infine la società ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Con il primo motivo, denunciando violazione dell’art. 1362 c.c. e segg., dell’art. 425 c.p.c. e vizio di motivazione, la ricorrente in sostanza censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto la nullità del termine apposto al terzo contratto (per "esigenze eccezionali" dal 11-11-1998 al 30-1-1999) per essere lo stesso stato concluso oltre il limite del 30-4-1998 fissato dalle parti collettive, e quindi "in difetto di contrattazione autorizzatoria".

In particolare la ricorrente ribadisce la tesi della natura meramente ricognitiva degli accordi attuativi intercorsi.

Con il secondo motivo, denunciando violazione della L. n. 230 del 1962, art. 2, della L. n. 56 del 1987, art. 23 art. 244, 416, 420, 421 e 437 c.p.c., e vizio di motivazione la ricorrente in sostanza deduce la legittimità delle proroghe del primo e del terzo contratto a termine, dettate dai ritardi imprevedibili nell’approvazione del Piano d’Impresa e nell’attuazione della ristrutturazione.

Con il terzo motivo, denunciando violazione della L. n. 230 del 1962, della L. n. 56 del 1987, art. 23 e dell’art. 1362 c.c. e segg., la ricorrente, con riferimento al secondo contratto (concluso per "concomitanza di assenza per ferie" dal 29-6-1998 al 30-9-1998) in sostanza lamenta che la sentenza impugnata erroneamente ha ritenuto la illegittimità del termine apposto a tal contratto, ritenendo che fosse necessaria la prova della effettiva specifica esigenza della sostituzione del personale assente per ferie, in concreto, con riferimento alla assunzione a termine de qua.

Posto che la impugnata sentenza ha accertato la legittimità sia del primo contratto sia della proroga dello stesso ed ha affermato la nullità del termine apposto al secondo e al terzo contratto, osserva il Collegio che, per quanto riguarda il secondo contratto (concluso per "concomitanza di assenze per ferie"), fondata è la censura contenuta nel terzo motivo.

Questa Corte Suprema (cfr., da ultimo, Cass. 2 marzo 2007 n. 4933), decidendo su una fattispecie sostanzialmente simile a quella in esame (contratto a termine stipulato ex art. 8 c.c.n.l. 26.11.1994, in relazione alla necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre) ha cassato la sentenza di merito che aveva affermato la sussistenza dell’obbligo di indicare nel contratto a termine il nome del lavoratore sostituito avendo ritenuto la sussistenza di una violazione di norme di diritto e di un vizio di interpretazione della normativa collettiva.

In particolare la violazione di norme di diritto è stata individuata nella statuizione con la quale la sentenza di merito ha negato che l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva fosse del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie; tale statuizione del giudice di merito si pone in contrasto col principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte (Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588) secondo cui la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 e successive modifiche nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis convertito con modificazioni dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge.

Inoltre altre decisioni di questa Suprema Corte (cfr. ad esempio Cass. 6 dicembre 2005 n. 26678, Cass. 7-3-2008 n. 6204) hanno confermato la decisione di merito che, decidendo sulla stessa fattispecie, aveva ritenuto l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie e interpretato l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo nel senso che l’unico presupposto per la sua operatività fosse costituita dall’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie.

Infine è stato anche affermato (v. Cass. 28-3-2008 n. 8122) che "l’unica interpretazione corretta della norma collettiva in esame (art. 8 ccnl 26-11-1994) è quella secondo cui, stante l’autonomia di tale ipotesi rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti in ferie, l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo non prevede come presupposto per la sua operatività l’onere, per il datore di lavoro di provare le esigenze di servizio in concreto connesse all’assenza per ferie di altri dipendenti nonchè la relazione causale fra dette esigenze e l’assunzione del lavoratore con specifico riferimento all’unità organizzativa alla quale lo stesso è stato destinato".

Il sopra citato orientamento, ormai costante, di questa Corte deve essere pienamente confermato atteso che le tesi difensive che si sono confrontate nelle fasi di merito, quelle oggi proposte all’attenzione della Corte e, infine, le ragioni esposte nella sentenza impugnata non sono sorrette da argomenti che non siano già stati scrutinati nelle ricordate decisioni o che propongano aspetti di tale gravità da esonerare la Corte dal dovere di fedeltà ai propri precedenti, pur riguardanti la interpretazione di norme collettive (cfr.. Cass. 29-7-2005 n. 15969, Cass. 21-3-2007 n. 6703).

Correttamente, invece, la Corte di merito ha affermato la nullità del termine apposto al terzo contratto concluso "per esigenze eccezionali" successivamente al 30-4-1998, "in difetto di contrattazione autorizzatoria".

Tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al ccnl del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001) – è sufficiente a sostenere l’impugnata decisione, in relazione alla nullità del termine apposto, in specie, già al secondo contratto (concluso "per esigenze eccezionali" dal 1-6-1999 al 28-8-1999).

Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato che "l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato" (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063, v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). "Ne risulta, quindi, una sorta di "delega in bianco" a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato." (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente affermato e come va anche qui ribadito, "in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1" (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608; Cass. 28-1-2008 n. 28450; Cass. 4-8-2008 n- 21062; Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit).

In base a tale orientamento consolidato ed al valore dei relativi precedenti, pur riguardanti la interpretazione di norme collettive (cfr.. Cass. 29-7-2005 n. 15969, Cass. 21-3-2007 n. 6703), va quindi respinto il primo motivo e confermata la declaratoria di nullità del termine apposto al secondo contratto, in quanto concluso per "esigenze eccezionali" successivamente al 30-4-1998.

In tali sensi, va quindi accolto in parte il ricorso, risultando peraltro il secondo motivo in parte inammissibile (con riferimento alla proroga del primo contratto, già ritenuta legittima dalla Corte d’Appello) ed in parte assorbito (con riguardo alla proroga del terzo contratto, assorbita dalla nullità del termine del contratto stesso).

La impugnata sentenza va pertanto cassata, in relazione alle censure accolte (contenute in particolare nel terzo motivo) e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, non essendo stata, peraltro, avanzata alcuna altra censura, che riguardi in qualche modo le conseguenze economiche della dichiarazione di nullità della clausola appositiva del termine.

Al riguardo, osserva il Collegio che, con la memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. la società ricorrente, invoca, in via subordinata, l’applicazione dello ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7 in vigore dal 24 novembre 2010.

La richiesta della società è contrastata, sotto vari profili, dalla difesa dell’intimata.

Orbene, a prescindere dall’esame delle obiezioni da quest’ultima svolte in ordine alla problematica relativa alla possibilità di ricomprendere tra i giudizi pendenti cui il comma 7 della citata norma applica i precedenti commi 5 e 6 anche il giudizio di cassazione, va premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070).

Tale condizione non sussiste nella fattispecie, per cui, decidendosi la causa nel merito, va dichiarata l’esistenza del rapporto a tempo indeterminato dal 11-11-1998, ferme restando le altre statuizioni, anche sulle spese di merito.

Infine ricorrono giusti motivi, in ragione del diverso esito delle fasi di merito e della rilevante parziale soccombenza della ricorrente, per compensare anche le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie in parte il ricorso, cassa la impugnata sentenza in relazione alle censure accolte e, decidendo nel merito, dichiara l’esistenza del rapporto a tempo indeterminato dal 11-11-1998, ferme restando le altre statuizioni, anche per le spese; compensa fra le parti anche le spese di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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