Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 25-01-2011, n. 1693 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza resa all’udienza del 20-7-2001 il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma, in accoglimento della domanda proposta da M. V. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, dichiarava la nullità delle clausole di apposizione del termine ai contratti di lavoro oggetto di lite (per i periodi 24-2-98/30-4-98, 1-6-99/28-8-99 e 11-11-99/31-1-2000, per "esigenze eccezionali" ex art. 8 ccnl 1994 e acc. az. 25-9-97, nonchè 1-7-2000/31-7-2000 per "necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie" e 2/10/2000 – 31/1/2001 ancora per "esigenze eccezionali"), dichiarava l’esistenza dal 24-2-1998 e la attuale permanenza tra le parti di un contratto di lavoro a tempo indeterminato e condannava la società a riammettere in servizio il M. e a corrispondergli tutte le retribuzioni (sulla base mensile indicata) a far tempo dal 9-10-2000 fino all’effettivo ripristino del rapporto, oltre rivalutazione e interessi.

La società proponeva appello avverso la detta sentenza, chiedendone la riforma con il rigetto della domanda di controparte.

Il M. si costituiva e resisteva al gravame. La Corte d’Appello di Roma, con sentenza depositata il 10-1-2006, rigettava l’appello e compensava le spese.

Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con tre motivi.

Il M. ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Con il primo motivo, denunciando violazione della L. n. 230 del 1962, della L. n. 56 del 1987, art. 23 e dell’art. 1362 c.c. e segg., la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto la nullità del termine apposto ai contratti conclusi per "esigenze eccezionali", non avendo la società "dato alcuna dimostrazione che la complessa ed estesa ristrutturazione e riorganizzazione aziendale abbia reso necessario, in attesa della definizione finale del riassetto in corso di attuazione, il ricorso a quelle specifiche assunzioni a termine".

Al riguardo, in sintesi, la ricorrente deduce che, stante la delega in bianco conferita dall’art. 23 citato alla contrattazione collettiva, l’accertamento doveva essere condotto "unicamente nell’ambito della previsione collettiva".

Con il secondo motivo, denunciando violazione dell’art. 1362 c.c. e segg., e vizio di motivazione, la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto la nullità del termine apposto ai contratti conclusi per "esigenze eccezionali" successivamente al 30-4-1998, "termine massimo" previsto dalle stesse parti collettive con gli accordi attuativi, dei quali deduce la natura meramente ricognitiva.

Con il terzo motivo, denunciando violazione della L. n. 230 del 1962, della L. n. 56 del 1987, art. 23 e dell’art. 1362 c.c. e segg., la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto la nullità del contratto concluso per "necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie", non essendo stata provata " la correlazione tra l’esigenza posta a base del contratto e quella dell’assunzione del singolo lavoratore".

I motivi, che in quanto connessi possono essere trattati congiuntamente, risultano in parte fondati.

Posto che la impugnata sentenza ha espressamente affermato la nullità del termine apposto a tutti i contratti per i quali è causa, osserva il Collegio che, come questa Corte ha costantemente affermato con specifico riferimento alle assunzioni a termine di dipendenti postali previste dall’accordo integrativo 25-9-1997, L. n. 56 del 1987, ex art. 23 (v. fra le altre Cass. 26-7-2004 n. 14011, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 8-7-2009 n. 15981), l’attribuzione alla contrattazione collettiva del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine, rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per il loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali e di provare la sussistenza del nesso causale fra le mansioni in concreto affidate e le esigenze aziendali poste a fondamento dell’assunzione a termine).

La Corte di merito, quindi, in violazione di tale principio, erroneamente ha ritenuto la nullità del termine apposto (tra gli altri) al primo contratto (24-2-1998/30-4-1998), sulla base della considerazione che la società non aveva offerto alcuna dimostrazione che la complessa ed estesa ristrutturazione e riorganizzazione aziendale avesse reso necessario il ricorso alla specifica assunzione del M..

Alla base della motivazione della decisione è l’assunto secondo cui non sarebbe consentito autorizzare un datore di lavoro ad avvalersi liberamente del tipo contrattuale del lavoro a termine, senza l’individuazione di ipotesi specifiche di collegamento tra contratti ed esigenze aziendali cui sono strumentali; la sentenza, quindi, si muove pur sempre nella prospettiva che il legislatore non abbia conferito una delega in bianco ai soggetti collettivi, imponendo al potere di autonomia i limiti ricavabili dal sistema di cui alla L. n. 230 del 1962, art. 1 (in contrasto, quindi, con quanto ripetutamente affermato da questa Corte e ribadito dalle Sezioni Unite con la sentenza 2-3-2006 n. 4588).

Correttamente, invece, la Corte di merito ha affermato la nullità del termine apposto ai contratti conclusi "per esigenze eccezionali" successivamente al 30-4-1998 essendo, dopo tale "termine massimo", "venuta meno la contrattazione autorizzatoria".

Tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al ccnl del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001) – è sufficiente a sostenere l’impugnata decisione, in relazione alla nullità del termine apposto, in specie, già al secondo contratto (concluso "per esigenze eccezionali" dal 1-6-1999 al 28-8-1999).

Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato che "l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato" (v, Cass. 4-8-2008 n. 21063, v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). "Ne risulta, quindi, una sorta di "delega in bianco" a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato." (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente affermato e come va anche qui ribadito, "in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998;

ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1" (v., fra le altre, Cass. 1/10/2007 n. 20608; Cass. 28-1-2008 n. 28450; Cass. 4-8-2008 n. 21062; Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit).

In base a tale orientamento consolidato ed al valore dei relativi precedenti, pur riguardanti la interpretazione di norme collettive (cfr. Cass. 29-7-2005 n. 15969, Cass. 21-3-2007 n. 6703), va quindi confermata la declaratoria di nullità del termine apposto al secondo contratto, in quanto concluso per "esigenze eccezionali" successivamente al 30-4-1998, e tale nullità assorbe ogni questione relativa alla legittimità o meno del termine apposto ai contratti successivi (ivi compreso quello per "concomitanza di assenze per ferie" oggetto delle censure contenute nel terzo motivo).

In tali sensi, va quindi accolto in parte il ricorso, con la cassazione dell’impugnata sentenza, in relazione alle censure accolte (contenute in particolare nel primo motivo) e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, non essendo stata, peraltro, avanzata alcuna altra censura, che riguardi in qualche modo le conseguenze economiche della dichiarazione di nullità della clausola appositiva del termine.

Al riguardo, osserva il Collegio che, con la memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. la società ricorrente, invoca, in via subordinata, l’applicazione dello ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7 in vigore dal 24 novembre 2010.

La richiesta della società è contrastata, sotto vari profili, dalla difesa dell’intimata.

Orbene, a prescindere dall’esame delle obiezioni da quest’ultima svolte in ordine alla problematica relativa alla possibilità di ricomprendere tra i giudizi pendenti cui il comma 7 della citata norma applica i precedenti commi 5 e 6 anche il giudizio di cassazione, va premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070).

Tale condizione non sussiste nella fattispecie, per cui, decidendosi la causa nel merito, va dichiarata l’esistenza del rapporto a tempo indeterminato dal 1-6-1999, ferme restando le altre statuizioni, anche sulle spese di merito.

Infine, in ragione della parziale soccombenza, le spese di cassazione vanno compensate per la metà e la società va condannata al pagamento in favore del M. della residua metà.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie in parte il ricorso, cassa la impugnata sentenza in relazione alle censure accolte e, decidendo nel merito, dichiara l’esistenza del rapporto a tempo indeterminato dal 1-6-1999, ferme le altre statuizioni, anche sulle spese; compensa per la metà le spese del giudizio di cassazione e condanna la società al pagamento, in favore del M., della residua metà delle spese stesse, liquidate per l’intero in Euro 64,00 oltre Euro 2.000,00 per onorario, otre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2010.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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