Cass. civ. Sez. I, Sent., 24-01-2011, n. 1628 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

D.N.G., con ricorso alla Corte d’appello di Napoli proponeva, ai sensi della L. n. 89 del 2001, domanda di equa riparazione per violazione dell’art. 6 della C.E.D.U. a causa della irragionevole durata del giudizio instaurato dinanzi al T.A.R. Campania per il riconoscimento di rivalutazione ed interessi sulle somme liquidategli quali differenze retributive, iniziato nel novembre 1999 ed ancora pendente.

La Corte d’appello, con decreto depositato il 19 novembre 2008, accoglieva la domanda per il periodo eccedente la durata ragionevole, e, tenuto anche conto del lunghissimo periodo di tempo in cui non vi era stato impulso sollecitatorio delle parti mediante la c.d. istanza di prelievo, liquidava per il danno non patrimoniale la somma di Euro 4.138,00, oltre agli interessi legali ed alla metà delle spese del procedimento.

Avverso tale decreto il D.N. ha proposto ricorso a questa Corte con atto notificato al Ministero Economia e Finanze il 9 luglio 2009, formulando sette motivi. Resiste il Ministero con controricorso.

Motivi della decisione

1.- Con i primi cinque motivi è denunciata erronea e falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001, art. 2, art. 6 p. 1 CEDU) in relazione al rapporto tra norme nazionali e la CEDU, come interpretata dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, ed omessa decisione di domande (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; art. 112 c.p.c.).

Secondo l’istante, una volta accertata la violazione del termine ragionevole, la liquidazione dell’equo indennizzo dovrebbe effettuarsi applicando la normativa CEDU secondo la giurisprudenza della Corte europea e disapplicando la L. n. 89 del 2001, art. 2 che con essa contrasti, in relazione non già al tempo eccedente la ragionevole durata bensì all’intera durata del processo, ed in misura non inferiore a Euro 1.500,00 per anno (motivi 1 e 2); nella specie peraltro il decreto non avrebbe motivato in ordine alla mancata osservanza di detti parametri (motivo 3). Inoltre, ratione materiae doveva essere liquidato un bonus di Euro 2.000,00, concernente la controversia su diritti inerenti a rapporti di lavoro, ed il giudice non si sarebbe pronunciato sulla relativa domanda così violando l’art. 112 c.p.c. (motivo 4) e l’obbligo di motivazione su un punto decisivo (motivo 5).

1.1.- I motivi sesto e settimo denunciano violazione e falsa applicazione di legge in relazione alla disposta compensazione per meta delle spese processuali, nonchè vizio di motivazione sul punto (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

2.- I motivi indicati nel p. 1, da esaminare congiuntamente perchè giuridicamente e logicamente connessi, sono fondati solo in parte.

2.1 – Quanto al rapporto tra le norme nazionali (in particolare, la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3) e la CEDU, deve in primo luogo escludersi che l’eventuale contrasto tra tali normative possa essere risolto semplicemente con la "non applicazione" della norma interna.

Fermo il principio enunciato dalle S.U. (n. 1338 del 2004), in virtù del quale il giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla L. n. 89 del 2001, deve interpretarla in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte europea, va precisato come tale dovere operi entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della stessa L. n. 89 del 2001:

qualora ciò non fosse possibile, ovvero il giudice dubitasse della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale interposta, dovrebbe investire la Corte Costituzionale della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117 Cost., comma 1, (cfr. Corte Cost. sentenze nn. 348 e n. 349 del 2007). D’altra parte, la compatibilità della normativa nazionale con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica Italiana con la ratifica della CEDU va verificata con riguardo alla complessiva attitudine della L. n. 89 del 2001 ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto ad una ragionevole durata del processo: come la stessa Corte europea ha riconosciuto, la limitazione, prevista dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, dell’equa riparazione al solo periodo di durata irragionevole del processo di per sè non esclude tale complessiva attitudine della legge stessa (cfr. Cass. n. 16086/2009; n. 10415/2009; n. 3716/2008).

Rettamente dunque la Corte di merito ha seguito la modalità di calcolo dell’indennizzo prevista dall’art. 2 citato, facendo peraltro espresso richiamo ai principi qui esposti.

2.2- Quanto invece alla liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale, va osservato come la determinazione, operata dalla Corte di merito, di una somma pari a circa 690 euro per ogni anno di ritardo, ancorchè motivata dalla presentazione della c.d. istanza di prelievo dopo circa sei anni dall’inizio del giudizio, non rispetti quell’obiettivo di assicurare un serio ristoro al quale si è testè fatto riferimento. La Corte considera che uno scostamento, da parte del giudice di merito, rispetto al parametro base di mille/00 Euro per anno di non ragionevole durata del processo, ma non al di sotto della soglia di settecentocinquanta/00 Euro per anno, sia giustificato, anche alla stregua dei più recenti orientamenti della Corte europea (cfr. Volta et autres c. Italia, 16 marzo 2010; Falco et autres c. Italia, 6 aprile 2010), quando ricorrano fattori, quali ad esempio la modestia della posta in gioco ed una durata del processo che non abbia superato di oltre tre anni quella ordinaria, mentre per il periodo ulteriore uno scostamento da quel parametro di mille euro non si giustifichi (cfr. in tal senso, ex multis, Cass. n. 22869/2009; n. 1893/2010; 19054/2010). Alla stregua di questi criteri, considerato che il giudizio si è protratto per ulteriori cinque anni e undici mesi circa oltre quello di ragionevole durata, il giudice di merito avrebbe dovuto liquidare al ricorrente un’equa riparazione pari a Euro 5250,00, superiore a quella di Euro 4138,00 riconosciuta.

2.3 – Quanto al mancato riconoscimento di una somma forfetaria di Euro 2.000,00 (c.d. bonus) in relazione alla circostanza che il giudizio presupposto aveva ad oggetto una controversia di lavoro, deve respingersi la tesi che tale somma ulteriore vada riconosciuta automaticamente in ogni caso di controversia di lavoro o previdenziale. La ragione di tale bonus, che la giurisprudenza europea riconosce laddove la particolare importanza di taluni giudizi induca a ritenere che il pregiudizio per la loro durata irragionevole sia stato maggiore, postula l’accertamento e la valutazione nel caso specifico delle particolari circostanze alle quali sia da ricondurre tale eventuale maggior pregiudizio. Sì che, quando il giudice del merito non attribuisce tale ulteriore indennizzo forfetario, e quindi implicitamente non riconosce che quello specifico pregiudizio ulteriore sia stato sopportato dall’istante, la critica del punto della decisione non può essere affidata alla sola contraria postulazione che il bonus spetta ratione materiae, era stato richiesto e la decisione negativa non è stata motivata, ma deve avere specifico riguardo alle concrete allegazioni – e se del caso alle prove – addotte nel giudizio di merito. Ciò che non è dato riscontrare nel ricorso in esame.

3.- I motivi indicati nel p. 1.1 (peraltro inammissibili, perchè riferiti ad una motivazione della disposta compensazione parziale, la contumacia della parte resistente, che nella specie non risulta indicata nel decreto impugnato), restano comunque assorbiti in quanto il decreto dovrà essere cassato, con quanto ne consegue ai sensi dell’art. 336 c.p.c..

4.- Il decreto è cassato. Sussistono peraltro le condizioni per pronunciare nel merito. Il Ministero della Economia e Finanze è condannato a pagare la somma di Euro 5250,00 – detratta quella eventualmente già corrisposta – con gli interessi legali dalla data della domanda.

Quanto alle spese del giudizio di merito, se ne ritiene giustificata la compensazione per la metà tra le parti, tenuto conto del sensibile ridimensionamento della pretesa (Euro 13875,00) espressa dal ricorrente; altrettanto vale per le spese di questo giudizio di cassazione, tenuto conto che il ricorso è stato accolto solo parzialmente. La residua quota delle spese di entrambi i gradi, che si liquida come in dispositivo con gli accessori di legge, va posta a carico della Amministrazione resistente, con distrazione in favore del difensore del ricorrente che se ne è dichiarato antistatario.

P.Q.M.

LA CORTE in parziale accoglimento del ricorso, cassa il decreto impugnato, e pronunciando nel merito condanna il Ministero della economia e delle finanze al pagamento in favore di D.N.G. della somma di Euro 5.250,00 oltre interessi legali dalla domanda; compensa per la metà tra le parti le spese del giudizio di merito e di questo giudizio di cassazione, e condanna il Ministero della economia e delle finanze al rimborso in favore della controparte, e per essa dell’avv. Alfonso Luigi Marra che se ne è dichiarato antistatario, della residua quota, pari, quanto al giudizio di merito, a complessivi Euro 460,00 – di cui Euro 190,00 per diritti e Euro 250,00 per onorari- e quanto al giudizio di cassazione a complessivi Euro 400,00 – di cui Euro 350,00 per onorari e Euro 50,00 per esborsi, oltre per entrambi i gradi spese generali, i.v.a. e c.p.a..

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