Cass. civ. Sez. I, Sent., 24-01-2011, n. 1621 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Nel 2006, D.M.F.P. adiva la Corte di appello dell’Aquila chiedendo che il Ministero della Giustizia fosse condannato a corrispondergli l’equa riparazione prevista dalla L. n. 89 del 2001 per la violazione dell’art. 6, sul "Diritto ad un processo equo", della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con la L. 4 agosto 1955, n. 848.

Con decreto del 6 – 14.12.2006, l’adita Corte di appello, nel contraddittorio delle parli, condannava il Ministero della Giustizia a pagare all’istante, a titolo di equo indennizzo del danno non patrimoniale, la somma di Euro 5.750,00, nonchè le spese processuali, liquidate in complessivi Euro 600,00. La Corte osservava e riteneva, tra l’altro:

– che il D.M. aveva chiesto l’equa riparazione del danno subito per effetto dell’irragionevole durata del processo penale per rapina iniziato a suo carico nel marzo del 1992 e definito in Cassazione, con sentenza del 21.02.2006;

– che detto processo, protrattosi complessivamente per circa 14 anni, aveva subito nei due gradi di merito due periodi di ritardo irragionevole (3 mesi in primo grado + 5 anni e 6 mesi in appello);

– che per il periodo d’incongrua durata (di complessivi 5 anni e 9 mesi) l’istante aveva diritto di essere indennizzato soltanto per il subito danno non patrimoniale, da liquidarsi equitativamente nella misura di Euro 5.750,00.

Avverso questo decreto il D.M. ha proposto ricorso per Cassazione affidato a tre motivi. Il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

A sostegno del ricorso il D.M. deduce:

1, "Omessa e/o insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 in relazione alla determinazione del danno non patrimoniale".

Il motivo è inammissibile, giacchè le dedotte censure di vizi motivazionali non risultano contenere, in violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ. applicabile ratione temporis, un successivo momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) dei rilievi, che ne circoscriva puntualmente i limiti (cfr Cass. SS.UU. 200720603;

200811652; 200816528).

2. "Violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 della L. n. 89 del 2001, art. 2 e segg. e dell’art. 6, par. 1 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della L. 4 agosto 1955, n. 848 in relazione alla limitata ed errata determinazione del danno non patrimoniale", formulando conclusivamente il seguente quesito di diritto "Dica l’Ecc.ma Corte se il giudice nazionale possa liquidare a titolo di danno extrapatrimoniale per la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo una somma inferiore ai limiti fissati dalla CEDU". La censura non è fondata.

Nel caso in disamina, infatti, la Corte di merito quale indennizzo per il sofferto danno morale, ha ineccepibilmente liquidato in via equitativa, l’importo complessivo di Euro 5.750,00 per il periodo d’incongrua durata, pari a complessivi anni 5 e mesi 9, dal momento che: ha legittimamente non correlato l’indennizzo alla durata dell’intero processo, posto che la legge nazionale L. n. 89 del 2001, (art. 2, comma 3, lett. a), con una chiara scelta di tecnica liquidatoria non incoerente con le finalità sottese all’art. 6 della CEDU, impone di riferire il ristoro al solo periodo di durata eccedente il ragionevole (cfr. tra le altre, Cass. 200508568;

200608714; 200723844). ha legittimamente determinato in via equitativa, l’importo di Euro 1.000,00 ad anno di incongruo ritardo, in linea con i parametri di quantificazione della riparazione del danno non patrimoniale in sede sopranazionale, posto che in casi simili la Corte Europea dei diritti dell’uomo applica parametri oscillanti tra Euro 1.000,00 e 1.500,00. 3. "Violazione o falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 dell’art. 91 c.p.c. in relazione al D.M. 8 aprile 2004, n. 127, nonchè all’art. 75 disp. att. c.p.c. e alla L. n. 794 del 1942, art. 23".

Si duole dell’insufficienza delle liquidate spese processuali, a suo parere anche immotivatamente ridotte rispetto a quelle richieste con la nota spese depositata nel pregresso grado di merito. Il motivo è fondato.

Nei processi davanti ai giudici nazionali, ivi compresi quelli di equa riparazione per irragionevole durata del processo, il regime delle spese di lite deve seguire le regole legali previste dalla legge italiana (in tema, cfr. Cass. 200318204; 200423789; 200714053), ma nella specie quanto liquidato a tale titolo non appare rispondente per difetto nemmeno ai vigenti criteri tariffari, anche alla luce del condiviso principio di diritto già ripetutamente affermato da questa Corte (da ultimo, cfr cass. 200921371; 200521235), secondo cui ai fini della liquidazione delle spese processuali, il procedimento camerale per l’equa riparazione del pregiudizio derivante dalla riduzione del termine di ragionevole durata del processo – di cui alla L. n. 89 del 2001 – va considerato quale procedimento avente natura contenziosa, con le conseguenze che, ai fini della liquidazione degli onorari e dei diritti spettanti all’avvocato per l’attività in esso prestata, trovano applicazione le tabelle A, paragrafo 4^, e B, paragrafo 1^, allegate al D.M. 8 aprile 2004, n. 127, nonchè il principio, di cui alla L. n. 794 del 1942, art. 24 della inderogabilità degli onorari minimi e dei diritti stabiliti in detta tariffa.".

Accolta, dunque, la censura in questione, sulle esposte premesse ben può procedersi con riguardo soltanto alla statuizione inerente alla liquidazione delle spese del giudizio di merito, alla cassazione dell’impugnato decreto e, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., alla riliquidazione d’ufficio di tali spese secondo gli importi indicati in dispositivo. L’esito del ricorso giustifica la compensazione nella misura di 1/2 delle spese del giudizio di legittimità, e la condanna dell’Amministrazione intimata al pagamento della residua parte, liquidata come in dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa in parte qua il decreto impugnato e decidendo nel merito liquida le spese del giudizio di merito in complessivi Euro 1.467,45, di cui Euro 68,20 per esborsi, Euro 769,25 per diritti ed Euro 475,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, condannando il Ministero della Giustizia al relativo pagamento. Compensa per la metà le spese del giudizio di legittimità e condanna il Ministero della Giustizia al pagamento della residua parte, liquidata in complessivi Euro 550,00, di cui Euro 50,00, per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

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