Cass. civ. Sez. II, Sent., 21-01-2011, n. 1499 Distanze legali tra costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione del 19.10.1984 G.M. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Perugia M.M. in Sa., M.S., M.E. e S. E., premettendo di essere proprietario in (OMISSIS) di un immobile a più piani con retrostante terreno, in catasto al fog.

64 con le partt. 64 il terreno e 67 il fabbricato, confinante con l’immobile dei convenuti, i primi tre nudi proprietari e la quarta usufruttuaria. Assumeva che detto immobile non rispettava la distanza legale, come risultava da accertamento tecnico preventivo ante causam e chiedeva la demolizione e la chiusura delle vedute e terrazze.

Si costituiva solo M.M. deducendo l’infondatezza della domanda perchè il confine valido non era quello catastale ma quello di fatto.

La Ctu affidata allo stesso tecnico nominato in sede di accertamento tecnico i preventivo, concludeva, in coerenza con una delle due ipotesi formulate alternativamente nella prima relazione, nel senso che a violare le distanze era stato il G. col suo ampliamento realizzato dopo che i M. avevano realizzato il loro fabbricato nel (OMISSIS).

Con sentenza 26.2.1993 il Tribunale di Perugia, dichiarata la contumacia dei convenuti non costituiti, rigettava le domande c.d. in accoglimento della riconvenzionale, condannava l’attore alla demolizione della parte di fabbricato non a distanza legale, sentenza confermata dalla Corte di appello di Perugia, con decisione n. 74/2004, che dichiarava passata in giudicato la sentenza del Tribunale nei confronti della S. per rinunzia all’azione.

La Corte perugina rilevava che, nella conclusionale, l’appellante aveva concluso per uno sconfinamento dei M. per una striscia di m. 2,10 nel punto più a nord e m. 0,80 nel punto più a sud e per il non rispetto da parte loro delle distanze legali, sul presupposto che il confine reale fosse ricavabile dalle mappe catastali, invocando la ctu espletata in appello, ma tali conclusioni avrebbero comportato una pronunzia ultra petita perchè ben minore, di soli cm 25/30, era lo sconfinamento lamentato nell’atto di appello.

Le conclusioni del ctu in appello non potevano condurre all’accoglimento delle domande perchè il G. le fondava sul confine di fatto rappresentato dal muretto preesistente dal 1959 e rifatto nel 1964 dai M. e non sul confine catastale al quale faceva riferimento il ctu.

Non provata era rimasta anche l’affermazione che la rete metallica era stata collocata abusivamente dai M. nel 1964.

Ricorre G. con unico motivo, resiste M.M., che ha anche presentato memoria.

Motivi della decisione

Preliminarmente si osserva che non può essere accolta la richiesta del PG di improcedibilità del ricorso che, nella intestazione, fa riferimento a sentenza pubblicata il 3.4.2004, prodotta in copia conforme all’originale, senza alcuna eccezione di controparte.

Con l’unico motivo si denunzia nullità della sentenza e comunque violazione di legge per omessa pronunzia sulla domanda come integralmente proposta con l’atto di appello, error in procedendo e violazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè error in procedendo e violazione degli artt. 113 e 116 c.p.c., con error in iudicando per violazione dell’art. 950 c.c., perchè la Corte fonda la motivazione sulla circostanza che in appello il G. avrebbe rinunciato a far valere il confine catastale concentrando le proprie argomentazioni unicamente sulla contestazione del confine di fatto rappresentato da muretto.

Il ricorrente riporta pagina diciotto della sentenza e richiama pronunce giurisprudenziali deducendo che nell’atto di appello si era soffermato sulla questione del muro.

Che non intendesse rinunciare alla richiesta formulata in primo grado appariva chiaro dalle conclusioni rassegnate, analoghe a quelle formulate in Tribunale, e dalla richiesta di rinnovazione della ctu.

Seguono altri richiami alla sentenza impugnata ed a pronunce giurisprudenziali.

Tuttavia la censura non è autosufficiente, non riportando compiutamente le domande ed eccezioni formulate in primo grado ed in appello, non mettendo questa Corte Suprema in grado di valutarne la decisi vita e senza intaccare la ratio decidendi sopra riportata, secondo la quale le conclusioni in appello avrebbero comportato una pronunzia ultra petita e la ctu non poteva condurre all’accoglimento delle domande, perchè il G. le fondava sul confine di fatto rappresentato dal muretto, preesistente dal 1959 e rifatto nel 1964 dai M., e non sul confine catastale al quale faceva riferimento il ctu.

Come riperitamente evidenziato da questa Corte, peraltro, l’omessa pronunzia, quale vizio della sentenza, dev’essere, anzi tutto, fatta valere dal ricorrente per cassazione esclusivamente attraverso la deduzione del relativo errar in procedendo e della violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, e non già con la denunzia della violazione di differenti norme di diritto processuale o di norme di diritto sostanziale ovvero del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 22.11.06 n. 24856, 14.2.06 n. 3190, 19.5.06 n. 11844, 27.01.06 n. 1755, ma già 24.6.02 n. 9159. 11.1.02 n. 317, 27.9.00 n. 12790, 28.8.00 n. 11260, 10.4.00 n. 44%, 6.11.99 n. 12366).

Perchè, poi, possa utilmente dedursi il detto vizio, è necessario, da un lato, che al giudice de merito fossero state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si rendesse necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali domanda od eccezione siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente e/o per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo del giudizio di secondo grado nel quale l’ima o l’altra erano state proposte o riproposte, onde consentire al giudice di legittimità di verificarne, in primis, la ritualità e la tempestività della proposizione nel giudizio a qua ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi: ove, infatti, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, dell’art. 112 c.p.c., ciò che configura un’ipotesi di error in procedendo per il quale questa Corte è giudice anche del "fatto processuale", detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere- dovere del giudice di legittimità d’esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato all’adempimento da parte del ricorrente, per il principio d’autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio per relationem agli atti della fase di merito, dell’onere d’indicarli compiutamente, non essendo consentita al giudice stesso una loro autonoma ricerca ma solo una loro verifica (Cass. 19.3.07 n. 6361, 28.7.05 n. 15781 SS.UU., 23.9.02 n. 13833. 1.1.02 n. 317, 10.5.01 n. 6502).

Nella specie, il ricorrente non ha rispettato alcuna delle evidenziate condizioni, onde la censura di omessa pronunzia, quand’anche la si potesse ritenere proposta, sarebbe inammissibile.

Donde il rigetto del ricorso e la condanna alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 2200,00 di cui Euro 2000,00 per onorari, oltre accessori.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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