Cass. civ. Sez. III, Sent., 21-01-2011, n. 1403

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 19 aprile 2002 il Tribunale di Napoli rigettava l’opposizione proposta da P.F., P.L., B.M.F. e R.L. al decreto ingiuntivo per L.. 200.000.000, oltre accessori, loro notificato ad istanza del Banco di Napoli S.p.A., attualmente incorporato nella San Paolo Imi S.p.A., che riveste anche la qualità di mandataria S.G.A. S.p.A., società incaricata della riscossione del credito. All’origine della vicenda vi era la fideiussione sottoscritta dagli opponenti in favore della debitrice principale So.COM. BES. S.p.A. Con sentenza in data 1 marzo – 26 aprile 2006 la Corte d’Appello di Napoli rigettava il gravame dei soccombenti.

La Corte territoriale osservava per quanto interessa: gli opponenti avevano contestato solo l’ammontare degli interessi contabilizzati dalla banca; l’obbligazione di garanzia de qua era autonoma rispetto al debito principale; la nullità delle clausole contrattuali che prevedevano l’applicazione di interessi debitori in misura superiore a quella legale non determinati per iscritto atteneva al contratto di conto corrente e non poteva paralizzare la domanda di pagamento formulata nei confronti dei garanti, essendo stata la garanzia prestata attraverso un tipo di contratto autonomo.

Avverso la suddetta sentenza i P., la B. e la R. hanno proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico, complesso motivo, illustrato con successiva memoria.

La San Paolo Imi S.p.A. ha resistito con due controricorsi.

Motivi della decisione

Ai ricorsi proposti contro le sentenze pubblicate a partire dal 2.3.2006, data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006, recante modifiche al codice di procedura civile in materia di ricorso per cassazione, si applicano le disposizioni dettate nello stesso decreto al Capo 1^.

Secondo l’art. 366-bis c.p.c. – introdotto dall’art. 6 del decreto – i motivi di ricorso debbono essere formulati, a pena di inammissibilità, nel modo lì descritto e, in particolare, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., nn. 1), 2), 3) e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che è inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella del 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e "virtuoso" nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico – giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).

L’unico, complesso motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1283, 1284, 1396 e segg., 1321 e segg., 1362 e segg., 2697, 1418 c.c. e art. 3 Cost.; omesso esame di un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

La censura non contiene in alcuna sua parte il momento di sintesi formulato secondo il paradigma sopra enunciato e necessario con riferimento al vizio di motivazione e presenta il seguente quesito di diritto: la Corte dica che nell’ipotesi di rapporto di garanzia nel quale non sia espressamente prevista dalle parti contraenti la deroga della disposizione di cui all’art. 1495 c.c. il soggetto garante è legittimato a proporre nei confronti del soggetto garantito tutte le eccezioni proponibili da parte del soggetto titolare del rapporto oggetto di garanzia.

Un quesito siffatto risulta intrinsecamente inidoneo perchè non da ragione delle numerose violazioni e false applicazioni (peraltro non specificate come se si trattasse di sinonimi) delle norme di diritto indicate e si rivela assolutamente astratto perchè prescinde del tutto dai necessari riferimenti al caso concreto e alla motivazione della sentenza impugnata.

Inoltre la censura contiene riferimenti a documenti (ad esempio il contratto) nei cui confronti non è stato rispettato l’art. 366 c.p.c., n. 6. Infatti è l’orientamento costante (confronta, tra le altre, le recenti Cass. Sez. Un. n. 28547 del 2008; Cass. Sez. 3^ n. 22302 del 2008) che, in tema di ricorso per cassazione, a seguito della riforma ad opera del D.Lgs. n. 40 del 2006, il novellato art. 366 c.p.c., comma 6, oltre a richiedere la "specifica" indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto. Tale specifica indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito, e, in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, anche che esso sia prodotto in sede di legittimità.

In altri termini, il ricorrente per cassazione, ove intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, – di produrlo agli atti e di indicarne il contenuto. Il primo onere va adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione; il secondo deve essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il contenuto del documento. La violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile.

Pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono il criterio della soccombenza.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile. Condanna i ricorrenti al pagamento in solido delle spese del giudizio di cassazione, liquidate, per la congiunta difesa, in complessivi Euro 4.700,00, di cui Euro 4.500,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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