Cass. civ. Sez. V, Sent., 21-01-2011, n. 1379 Redditi di capitale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Sig. G.A. ha impugnato gli avvisi di accertamento con A il competente ufficio finanziario ha rettificato le dichiarazioni dei redditi relative agli anni 1995, 1996 e 1997, recuperando a tassazione redditi di capitale, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 42 (T.U.I.R.), relativi ai rendimenti di somme affidate per investimenti a tale Sig. M.C., successivamente fallito ed inquisito per truffa ai danni dei risparmiatori.

La CTP ha accolto i ricorsi del contribuente. La CTR, invece, previa riunione dei giudizi, accogliendo in parte gli appelli dell’ufficio, ha riconosciuto la legittimità dei recuperi, ma soltanto con riferimento alle somme che i giudici di appello hanno ritenuto che fossero state effettivamente percepite dal contribuente, con esclusione, quindi delle somme che risultavano accreditate allo stesso sulla base della documentazione contabile del M..

Il G. ricorre contro l’Agenzia delle entrate per ottenere la cassazione della sentenza di appello, meglio indicata in epigrafe, sulla base di tre motivi, illustrati anche con memoria.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso e spiega, a sua volta, ricorso incidentale sorretto da un mezzo.

Motivi della decisione

Preliminarmente, va disposta la riunione dei ricorsi proposti avverso la stessa sentenza, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Nel merito, il ricorso principale appare fondato il relazione al terzo motivo. Il ricorso incidentale è inammissibile.

I primi due motivi di ricorso principale non possono trovare accoglimento. Il primo, perchè denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 42 cit. T.U.I.R., unitamente a vizi di motivazione, la ricorrente prospetta una censura di merito, come tale inammissibile, relativa alla valutazione di attendibilità della documentazione contabile del M., in base alla quale la CTR ha ritenuto provato che alcune somme siano state corrisposte all’odierno ricorrente a titolo di interessi. Il motivo, peraltro, è anche infondato nella parte in cui denuncia la contraddittorietà della motivazione, laddove dopo avere ritenuto inattendibile la documentazione del M., da credito alla tesi della corresponsione degli interessi, sulla base della indicazione degli assegni con i quali sono stati effettuati i versamenti (a differenza delle somme imputate soltanto in contabilità). E’ evidente, infatti, che mentre la semplice annotazione in contabilità non può costituire prova se non contro l’autore delle registrazioni, il pagamento può considerarsi provato sulla base della produzione della fotocopia dei relativo assegno, non contestata.

Il secondo motivo, con il quale viene denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 1823, 1825, 1834 e 1852 c.c., artt. 41 e 42 cit. T.U.I.R., è inammissibile.

Infatti, la ricorrente ripropone la tesi della inattendibilità della documentazione rinvenuta dalla guardia di finanza, in base alla quale non sarebbe possibile ricostruire la natura e la effettività dei pagamenti fatti a favore degli investitori, tanto più che l’obbligo di pagare gli interessi, per i conti correnti non bancari matura alla scadenza del contratto. E’ evidente che si tratta di censure che attengono al merito della vicenda giudiziaria (esame e valutazione della documentazione acquisita dalla guardia di finanza e dei contratti che disciplinavano i rapporti tra gli investitori ed il M.).

Con il terzo motivo, la parte ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 26, 27 e 64, in quanto erroneamente la CTR ha escluso che le somme corrisposte a titolo di interessi non beneficiassero della aliquota agevolata del 12,50% in conseguenza di un comportamento omissivo non addebitabile all’odierno ricorrente. Effettivamente, la censura già in tesi appare fondata anche perchè, nella specie, come sembra pacifico, gli investitori erano vittime e non complici (almeno non risulta che lo fossero) del sedicente intermediario finanziario.

Il motivo posto a base del ricorso incidentale è inammissibile perchè denunciando violazioni di legge e vizi di motivazione tende ad ottenere una rivisitazione del merito della intera vicenda giudiziaria, con particolare riferimento alla ricostruzione della natura giuridica dei rapporti tra il G. ed il M., e dei reciproci flussi finanziari. Nella parte in cui il motivo prospetta la omessa pronuncia e vizi di motivazione su questo stesso punto, la censura appare generica e, comunque, non autosufficiente.

Conseguentemente, il ricorso principale va accolto in relazione al terzo motivo e la sentenza impugnata va cassata in parte qua. Il Collegio, atteso che in punto di fatto la CTR ha quantificato analiticamente il reddito da sottoporre a tassazione per ciascuna annualità, ritiene di poter decidere nel merito la controversia, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., nel senso che tale reddito deve essere inciso nella misura del 12,50%, con le conseguenze di legge.

Va invece dichiarato inammissibile il ricorso incidentale.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. Sussistono giuste ragioni per compensare le spese dell’intero giudizio di merito, considerando gli esiti non omogenei dei due gradi del giudizio.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, dichiara inammissibile il primo ed il secondo motivo di ricorso del ricorso principale ed il ricorso incidentale. Accoglie il terzo motivo del ricorso principale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara applicabile l’aliquota d’imposta nella misura del 12,50%. Condanna la parte soccombente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida nella misura complessiva di Euro quattromiladuecento, di cui Euro quattromila per onorario. Compensa le spese del giudizio di merito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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