Cass. civ. Sez. V, Sent., 21-01-2011, n. 1374 Imposta incremento valore immobili – INVIM

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. D.N., erede di P.T.R., a sua volta erede di S.M.L., propone ricorso per cassazione avverso la sentenza dei la Commissione tributaria regionale della Liguria indicata in epigrafe, con la quale, rigettando l’appello proposto, fra gli altri, dall’attuale ricorrente, è stata ritenuta la legittimità dell’avviso di liquidazione dell’INVIM, con sanzioni ed interessi, relativo a dichiarazione presentata nel 1989, contestualmente alla denuncia relativa alla successione della sopra citata S.M.L..

Detto avviso era stato emesso a seguito del passaggio in giudicato di decisione della Commissione tributaria centrale, la quale, nell’ambito della controversia concernente l’avviso di accertamento di maggior valore di alcuni immobili indicati nella denuncia, aveva confermato le pronunce precedenti, con le quali era stato in parte accolto il ricorso dei contribuenti.

La CTR della Liguria, nella sentenza ora impugnata, ha affermato, per quanto qui ancora interessa, che correttamente l’Ufficio aveva rigettato l’istanza di definizione della lite pendente presentata – in pendenza del giudizio dinanzi alla Commissione tributaria centrale – ai sensi del D.L. n. 79 del 1997, art. 9 bis, comma 6, e segg.

(convertito nella L. n. 140 del 1997), poichè il valore della lite era superiore a quello stabilito dalla norma citata ai fini dell’ammissione alla definizione (lire trenta milioni), dovendosi calcolare l’imposta – e quindi il valore della lite – sull’intero asse ereditario, ivi compreso, quindi, un bene che era stato trasferito per legato.

2. Il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia delle entrate resistono con controricorso.

La ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

1. Nella memoria depositata ex art. 378 cod. proc. civ., la ricorrente eccepisce l’inammissibilità del controricorso per tardività rispetto alla notifica del ricorso, avvenuta il 25 gennaio 2006.

L’eccezione è infondata.

Risulta dagli atti di causa che una prima notifica è stata attivata, nel termine prescritto dall’art. 370 c.p.c., con consegna all’ufficiale giudiziario in data 3 marzo 2006 (come risulta dal timbro a margine dell’atto: Cass., Sez. un., n. 14294 del 2007) e che la stessa non è andata a buon fine per circostanza non addebitabile al notificante, perchè l’indirizzo del destinatario – dal quale e risultato trasferito – era quello indicato nel ricorso; è quindi seguita una seconda notifica, con esito positivo, il successivo 20 marzo 2006 al nuovo indirizzo.

Ne deriva la tempestività della notifica, in applicazione del principio in virtù del quale, qualora la notificazione dell’atto non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, questi ha la facoltà e l’onere di richiedere all’ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio, e, ai fini del rispetto del termine, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, semprechè la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto (come certamente deve ritenersi per il caso di specie), tenuti presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per conoscere l’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie (Cass., Sez. un., n. 17352 del 2009).

2. Con l’unico motivo formulato, la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 643 del 1972, art. 2, comma 1, e art. 4, comma 1, e del D.L. 28 marzo 1997, n. 79, art. 9 bis, comma 6 (articolo aggiunto dalla Legge di Conversione 28 maggio 1997, n. 140): insiste, in particolare, nella tesi della validità della domanda di definizione della lite pendente ai sensi della norma da ultimo citata, poichè il valore della controversia, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice a qua, era inferiore al limite ivi stabilito, dovendo essere calcolato con riferimento al solo valore dei beni pervenuti agli eredi per successione, con esclusione del valore del bene trasferito per legato, ti motivo è inammissibile.

Come risulta dagli atti di causa, la domanda di definizione agevolata di cui all’art. 9 bis, comma 6, e segg., del d.l. n. 79 de 1997 (convertito nella L. n. 140 del 1997) era stata presentata in pendenza del giudizio dinanzi alla Commissione tributaria centrale e ad essa era seguito – nel settembre 1997 – un provvedimento dell’Amministrazione, diretto alla predetta Commissione, con il quale si comunicava il diniego della definizione limitatamente all’INVIM, in quanto il valore della lite relativa a detta imposta (considerata lite autonoma dalla disciplina anzidetta) risultava superiore al limite di trenta milioni di lire previsto dal citato art. 9 bis, comma 6, lett. b).

Ne deriva che la decisione della Commissione tributaria centrale, depositata il 20 ottobre 1999, con la quale i ricorsi dei contribuenti sono stati respinti, presupponeva necessariamente l’accertamento della non definibilità della lite per l’INVIM, con la conseguenza che gli interessati avrebbero dovuto proporre impugnazione avverso tale pronuncia per poter contestare (in assenza, come sembra, di notificazione ad essi del predetto provvedimento) il rigetto – implicito nella pronuncia stessa – dell’istanza di definizione, che si riferiva proprio alla controversia pendente dinanzi a quel giudice, relativa all’avviso di accertamento di valore.

In mancanza di detta impugnazione, la questione della suscettibilità di tale lite di essere definita in via agevolata, ai sensi della normativa sopra richiamata, risulta ormai preclusa nell’ambito della presente – diversa – controversia, la quale attiene all’avviso di liquidazione emesso proprio sul presupposto, ormai intangibile, della definitività (nei limiti accertati dal giudice tributario) del prodromico avviso di accertamento e della inammissibilità della definizione agevolata del giudizio ad esso relativo.

3. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

4. La ricorrente va conseguentemente condannata alle spese del presente giudizio di cassazione, che si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in Euro 2.100,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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