Cass. civ. Sez. V, Sent., 21-01-2011, n. 1366 Redditi d’impresa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con avviso di accertamento notificato il 15 dicembre 1998, l’Amministrazione finanziaria ha elevato da L. 5.500.000 a L. 4 miliardi 881 milioni 800 mila, il reddito di impresa per il 1992 della società Gest Idea s.r.l., esercente l’attività alberghiera, con conseguenti maggiori imposte nella misura di L. 1.755.468.000 per irpeg, L. 789.961.000 per Ilor e L. 2.545.429.000 per sanzioni. Il maggior accertamento derivava, si legge nella sentenza qui impugnata, dal recupero a tassazione di una somma di 4 miliardi e 876 milioni a titolo di plusvalenza, che era stata iscritta in esenzione di imposta in violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 54. In particolare, era risultato che la rivalutazione degli immobili patrimoniali della società era stata effettuata mediante storno della predetta somma dal conto depositi c/o terzi al c/immobili senza transito per il conto economico e senza inclusione di essa nel reddito imponibile per quell’anno.

Proposta opposizione, la stessa è stata accolta dalla Commissione tributaria provinciale per difetto di motivazione dell’avviso di accertamento. La Commissione tributaria regionale ha accolto l’appello dell’Amm. finanziaria confermando l’accertamento.

Contro la sentenza ricorre la società prospettando due motivi di censura.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, n. 5, e per la violazione dell’art. 111 Cost., commi 1 e 2, la Gest Idea s.r.l. censura la sentenza impugnata per mancanza di motivazione in ordine alla dedotta nullità dell’avviso di accertamento per mancanza di motivazione; con il secondo l’infondatezza nel merito della pretesa fiscale.

Il motivo è inammissibile, in quanto non consente di comprendere quale sia il fatto il cui accertamento sia stato mal motivato dalla sentenza impugnata mentre nessun chiarimento consente il richiamo ai primi due commi dell’art. 111 Cost.. Nella illustrazione del motivo viene richiamato anche l’art. 2697 cod. civ., ma non viene spiegato quale sia il fatto oggetto della prova in ordine alla quale i giudici di merito avrebbero operato una illegittima inversione del relativo onere.

Il motivo, comunque, non riporta il testo dell’avviso di accertamento la cui motivazione sarebbe stata mal valutata dalla Commissione tributaria regionale e alle violazione del principio di autosufficienza costituisce un ulteriore fattore di inammissibilità.

Ad abundantiam può peraltro rilevarsi che dalla sentenza impugnata risulta che l’avviso era motivato con precisione in quanto indicava con precisione i fatti che avevano determinato la rettifica, specificava che i fatti stessi erano stati ricavati dalle stesse dichiarazioni del contribuente e indicava le ragioni giuridiche sulle quali la ripresa a tassazione si fondava. Ne consegue l’infondatezza del motivo in quanto riferito alla illegittimità per carenza di motivazione della statuizione che ha respinto la denunzia di illegittimità dell’atto di accertamento per difetto di motivazione.

Con il secondo motivo di ricorso si deduce che non si trattava di una plusvalenza ex art. 54 ma di una più precisa classificazione nel 1992 nel c/immobili di una posta dello stato patrimoniale già iscritta nell’attivo del bilancio al 31 dicembre 1991 al conto depositi c/o terzi. Si afferma inoltre che anche se si volesse considerare tale posta come plusvalenza essa si sarebbe verificata nel 1991 e non nel 1992 e l’Amministrazione finanziaria non poteva ricorrere ad un espediente per attuare un’imposizione che doveva fare l’anno prima.

Anche tale censura è infondata.

La Commissione tributaria regionale ha spiegato che l’iscrizione in bilancio al conto "depositi c/o terzi" nell’anno 1991 era stato ininfluente nella determinazione delle plusvalenze rilevanti ai fini fiscali. Dette plusvalenze si erano realizzate invece nell’anno 1992, allorchè il e/ immobili era stato rivalutato da L. 11.524.959.277 a L. 17.066.026.678, vale a dire quando è stato interessato un conto che, al contrario del conto depositi c/o terzi, è in grado di incidere sul risultato economico dell’impresa in caso di cessione dei cespiti immobiliari, nei limiti delle quote ammortizzati. Infatti dette quote che come costi hanno influenzato il conto economico negli anni pregressi, con il disinvestimento tornano a svolgere il loro ruolo come ricavi, a norma del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 54, comma 1 (T.U.I.R.).

A tali rilievi la società ricorrente non ha opposto alcuna specifica deduzione o argomento. La contestazione secondo cui la plusvalenza avrebbe dovuto essere rilevata nell’anno precedente, quando il relativo importo era appostato nel conto depositi c/o terzi, non può essere presa in considerazione (anche a prescindere dal rilievo secondo cui il conto depositi c/o terzi, a differenza del conto immobili, non è influente nella determinazione delle plusvalenze rilevanti ai fini fiscali) posto che il ricorso non spiega in qual modo fosse possibile rilevare dal bilancio che si trattava di plusvalenze immobiliari.

P.Q.M.

– rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente alle spese, liquidate in Euro 9.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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