Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 22-12-2010) 04-01-2011, n. 89 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 23 luglio 2010, il Tribunale di Napoli, sezione del riesame, ha rigettato in parte il ricorso proposto da B. A. avverso il provvedimento del G.I.P. di quel medesimo Tribunale in data 18 giugno 2010, con il quale era stata disposta nei suoi confronti la misura cautelare della custodia in carcere, siccome ritenuto gravemente indiziato: – del reato di cui al capo h) (artt. 110, 81 cpv. c.p.; L. n. 895 del 1967, artt. 2 e 7; L. n. 110 del 1975, art. 23; art. 648 c.p.: illecita detenzione, in concorso con altri soggetti giudicati a parte, di una pistola marca Beretta con matricola abrasa e pertanto clandestina, provento del reato di contraffazione); – del reato di cui al capo i) (artt. 110, 648 bis c.p.: aver creato, in concorso con altri soggetti giudicati a parte, un doppione di un’autovettura lecitamente posseduta da un terzo, compiendo operazioni tali da ostacolare l’identificazione della seconda autovettura di chiara provenienza illecita); – del reato di cui al capo j) (artt. 110, 61, n. 2 e art. 369 c.p.: per avere, in concorso con altri soggetti giudicati a parte, previo pagamento di una somma di danaro, indotto tale F.A. ad incolparsi innanzi ai carabinieri di Pinetamare, pur essendo innocente, del reato di cui al capo che precede).

2. Il Tribunale, premessa l’esistenza di un clan di stampo mafioso, operante in Napoli, quartiere di (OMISSIS), facente capo all’odierno indagato ed attivo nello spaccio di sostanze stupefacenti e nel traffico di veicoli di lusso acquisiti attraverso una serie di falsificazioni e rimessi sul mercato internazionale, in particolare su quello spagnolo, ha ritenuto la sussistenza in capo a B. A. di gravi indizi di colpevolezza unicamente in ordine al primo dei tre reati anzidetti, tanto avendo desunto dalle intercettazioni telefoniche disposte sull’utenza in uso all’indagato ed agli altri concorrenti.

Tali intercettazioni erano seguite alla perquisizione effettuata l’11 dicembre 2005 dai carabinieri di Pinetamare presso una villa, di cui era locataria tale P.T. ed al sequestro di due autovetture, una Bmw targata (OMISSIS), certamente di provenienza illecita ed un’Audi A6 priva di targa, nonchè di una pistola marca Beretta calibro 9 X 21 con matricola abrasa con relativo caricatore completo di cartucce, più altro caricatore completo di proiettili, oltre ad alcuni documenti cartacei che riconducevano all’odierno indagato.

L’odierno indagato, che si trovava in Spagna assieme a suo nipote B.E. ed al coimputato M.C., aveva mostrato un particolare interesse per tale perquisizione, evidentemente ben consapevole della provenienza illecita della Bmw e della presenza sul luogo della pistola, poi effettivamente sequestrata; infatti aveva comunicato alla stazione carabinieri di Pinetamare che di lì a poco si sarebbe presentata una persona per assumersi la piena responsabilità di quanto rinvenuto nel corso della perquisizione; ed infatti, dopo alcuni giorni, tale F.A. si era recato presso quella Stazione dei carabinieri, affermando di essere stato lui a parcheggiare presso la villa della P. le due autovetture, senza peraltro nulla riferire intorno alla pistola pure rinvenuta.

In particolare dalla conversazione n. 1083 dell’11 dicembre 2005 era emersa la preoccupazione di B.E. e di M.C. in ordine alla perquisizione effettuata dai carabinieri e la richiesta di aiuto all’odierno indagato; dalla conversazione numero (OMISSIS) dell'(OMISSIS) era emerso come l’odierno indagato avesse contattato I.C., invitandolo a recarsi presso la villa nella disponibilità della P. per ricoverare la Bmw e l’arma, cripticamente indicata come "quei documenti"; era pertanto da ritenere che la villa anzidetta venisse usata dall’odierno indagato come base operativa del gruppo al medesimo facente capo; ed invero dalla conversazione numero (OMISSIS) intercorsa fra il M. e B.E. era emerso un chiaro riferimento ai documenti del gruppo, presenti in tale villa.

3. Il Tribunale ha invece ritenuto che, per i restanti due reati, non fossero emersi validi indizi di colpevolezza a carico dell’odierno indagato, tali da giustificare l’emissione nei suoi confronti di un’ordinanza di custodia cautelare, in quanto dalle conversazioni telefoniche disposte era emerso che le persone consapevoli dell’illecita clonazione della Bmw erano stati altri e cioè tali V.M. e M.P..

4. Il Tribunale ha poi ritenuto la sussistenza di valide esigenze cautelari, trattandosi di condotte delittuose di estrema gravità, legate a dinamiche criminali proprie del clan camorristico, del quale l’indagato era a capo e tenuto conto dei suoi gravi precedenti penali e giudiziari; sussisteva inoltre, nella specie, la presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3. 5. Avverso detto provvedimento del Tribunale del riesame di Napoli, B.A. propone ricorso per cassazione per il tramite del suo difensore, che ha dedotto violazione di legge e motivazione carente, facendo presente come, al momento in cui era avvenuta la perquisizione, che aveva condotto al rinvenimento di una pistola Beretta, l’odierno ricorrente si trovasse all’estero; dalle intercettazioni telefoniche disposte si poteva agevolmente desumere che il ricorrente era preoccupato solo del ritrovamento di documenti che lo riguardavano direttamente e dei disagi, che avrebbe potuto patire, per effetto dell’avvenuta perquisizione, la P., affittuaria della villa dove la perquisizione era avvenuta; ed era evidente che gli unici ad essere consapevoli e preoccupati per il ritrovamento delle auto e dell’arma erano gli altri indagati, con i quali l’odierno ricorrente era venuto in contatto solo per ricevere notizie e senza aver alcun diretto interesse nella vicenda.

L’impugnata ordinanza era pertanto motivata in modo illogico, avendo essa collegata la disponibilità della pistola anzidetta alla circostanza che esso ricorrente fosse a capo di un gruppo criminale di stampo mafioso; non era stato tuttavia detto che il procedimento penale a carico di esso ricorrente si era concluso con la sua assoluzione dal reato di cui all’art. 416 bis c.p., non essendo stata raggiunta la prova circa l’esistenza di un gruppo criminale associato operante sul territorio di (OMISSIS).

Il fatto che esso ricorrente fosse preoccupato per la presenza ed il sequestro di documenti non consentiva di ritenere che, parlando di documenti, esso ricorrente intendesse riferirsi alla pistola sequestrata, atteso che alcuni documenti coinvolgenti esso ricorrente erano stati realmente sequestrati; pertanto la lettura delle intercettazioni non era stata univoca, in quanto era possibile dare ad esse una diversa interpretazione.

Non potevo pertanto ritenersi a suo carico l’esistenza di un adeguato compendio indiziario; mancava inoltre qualsiasi motivazione in ordine alla sussistenza dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, sussistendo un giudicato penale di segno contrario, che aveva escluso l’esistenza di un ipotetico clan mafioso a lui facente capo, operante nella zona di (OMISSIS).

Motivi della decisione

1. Il ricorso proposto da B.A. avverso l’ordinanza del Tribunale di Napoli in data 23 luglio 2010 è inammissibile siccome manifestamente infondato.

2. Incensurabile nella presente sede, siccome conforme ai canoni della logica e della non contraddizione, è la motivazione con la quale il Tribunale di Napoli ha ritenuto a carico dell’odierno ricorrente la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato ascrittogli al capo h) della rubrica (artt. 110, 81 cpv. c.p.; L. n. 895 del 1967, artt. 2 e 7, L. n. 110 del 1975, art. 23 art. 648 c.p.: illecita detenzione, in concorso con altri soggetti giudicati da parte, di una pistola marca Beretta con matricola abrasa e pertanto clandestina, provento del reato di contraffazione).

Tali indizi sono costituiti dalle numerose intercettazioni telefoniche disposte, dalle quali è emerso come l’odierno ricorrente, pur trovandosi in quel momento in Spagna, fosse vivamente interessato, assieme agli altri coimputati, alla perquisizione effettuata l’11 dicembre 2005 dai carabinieri presso la villa sita in località (OMISSIS), di cui era locata ria una sua amica, tale P.T., segno evidente della sua consapevolezza che, presso tale villa, che fungeva da base operativa del gruppo criminoso a lui facente capo, vi erano non soltanto documenti riferibili alla sua persona, ma anche altri oggetti compromettenti; ed infatti, nell’ambito della perquisizione anzidetta, i carabinieri avevano rinvenuto, oltre a due auto di provenienza sospetta, per le quali il Tribunale ha ritenuto l’estraneità dell’odierno ricorrente, altresì la pistola con matricola abrasa indicata al capo h), ritenuta invece nella sua diretta disponibilità.

Il Tribunale ha in particolare indicato come significative, con riferimento alla pistola da ultimo citata, la conversazione n. 1090 dell’11.12.2005, intercorsa fra M.C. e B.E., dalla quale appare evidente il loro timore del probabile rinvenimento di detta arma, intesa come "documento"; la conversazione n. 1100, intercorsa fra l’odierno ricorrente, I.C. e M. C., dalla quale emerge come lo I., avendo appreso del sequestro della pistola anzidetta, aveva chiesto istruzioni sul come comportarsi, per essere stato lui a maneggiarla per ultimo; ed il ricorrente lo aveva rassicurato, facendo presente che, per tale tipo di accertamenti, occorreva circa un mese; la conversazione n. (OMISSIS), intercorsa fra B.E. e B.R., anch’egli in Spagna, nel corso della quale si era parlato della pistola anzidetta, intesa come "guagliona e creatura" ed il primo aveva indicato con sicurezza al secondo la provenienza della stessa. Va invero rilevato che, alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte, allorchè venga denunciato con ricorso per cassazione vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla sussistenza di validi indizi di colpevolezza, questa Corte è tenuta unicamente a verificare, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità ed ai limiti ad esso inerenti, se il giudice di merito abbia adeguatamente motivato in ordine alla sussistenza di esigenze cautelari tali da giustificare la misura cautelare in concreto adottata. Esaminata in quest’ottica, la pronuncia impugnata si sottrae alle censure mosse dal ricorrente, avendo il Tribunale di Napoli indicato, con motivazione incensurabile nella presente sede, siccome conforme ai canoni della logica e della non contraddizione, le ragioni che l’hanno indotto a ritenere la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente; e le argomentazioni svolte dal ricorrente in sua difesa sono inammissibili nella presente sede di legittimità, siccome riferite al merito della vicenda, essendo esse consistite in letture alternative degli esiti delle intercettazioni telefoniche poste a suo carico, non consentite nella presente sede di legittimità.

Argomentando diversamente si finirebbe per trasformare questa Corte in un ulteriore giudice del fatto, mentre invece la sua funzione è quella di controllare che le motivazioni dei provvedimenti adottati dai giudici di merito siano intrinsecamente razionali ed idonee a spiegare l’iter logico da essi seguito per giungere ad una decisione;

e, sotto tale aspetto, la motivazione addotta dal provvedimento impugnato è del tutto congrua (cfr., in termini, Cass. 6^ 29.3.06 n. 10951; Cass. SS.UU. 22.3.2000 n. 11; Cass. 4^, 8.6.07 n. 22500).

3. L’ordinanza impugnata va altresì confermata nella parte in cui ha ritenuto la sussistenza a carico dell’odierno ricorrente di esigenze cautelari tali da giustificare l’adozione della custodia cautelare in carcere nei suoi confronti. E’ vero che all’odierno ricorrente non risulta essere stata formalmente contestata l’aggravante del metodo mafioso di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, si che non può desumersi la sussistenza a suo carico della presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3; tuttavia la motivazione addotta dal provvedimento impugnato è ugualmente adeguata, avendo esso fatto riferimento alla gravità del reato contestato, legato a dinamiche criminali correlate al clan del quale il ricorrente era intraneo ed alla personalità del medesimo, gravato da significativi precedenti penali e giudiziari.

4. Il ricorso proposta da B.A. va pertanto dichiarato inammissibile, con sua condanna, ex art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali, nonchè di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

5. Si provveda all’adempimento di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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