Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 22-12-2010) 04-01-2011, n. 88 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 6 settembre 2010, il Tribunale di Napoli, sezione del riesame, ha rigettato l’appello proposto da S. M. avverso il provvedimento del G.I.P. del medesimo Tribunale in data 17 agosto 2010, con il quale era stato emessa nei suoi confronti la misura cautelare della custodia in carcere, siccome indagato per il reato di estorsione aggravata L. n. 203 del 1991, ex art. 7, in danno di P.M., titolare di una cartolibreria in Saviano.

2. Il Tribunale ha ritenuto la sussistenza a carico dell’indagato di rilevanti indizi di colpevolezza in ordine al reato contestato, indizi consistiti nelle chiare e specifiche dichiarazioni rese dalla parte offesa, il quale aveva riferito del ruolo svolto dall’odierno indagato nella commissione di un’estorsione avvenuta nei suoi confronti.

All’inizio del mese di settembre del 2009 si era presentato alla sua cartolibreria un cliente, tale N.P., il quale gli aveva riferito che alcune persone del clan mafioso RUSSO, egemone nella zona, l’aveva avvicinato dicendogli di recarsi da lui e chiedergli Euro 5000 per i carcerati. Il N. era tornato qualche giorno dopo al negozio e, accedendo in parte alle sue richieste, il P. aveva effettuato in suo favore ricariche telefoniche per Euro 2.600,00, oltre a consegnargli Euro 200,00 in contanti. Il N. era tornato dopo qualche giorno al negozio, questa volta in compagnia di due soggetti, tali M.S. e T.F., a lui presentati come cugini del capo clan RUSSO ed aveva rinnovato la richiesta estorsiva di Euro 5000,00.

Il P. aveva chiesto tempo e verso la fine di ottobre del 2009 aveva chiuso il negozio di cartoleria, del quale era titolare ed aveva rilevato una sala biliardo, presso la quale, dopo qualche giorno, si era presentato il solito N.P. in compagnia dell’odierno indagato, per dirgli che M.S. sarebbe tornato a Firenze a fine settimana e si sarebbe recato da lui per riscuotere i 5.000,00 Euro; ed in tale occasione il S. non aveva detto nulla.

In effetti il sabato successivo M.S. si era presentato presso la sala biliardo del P. in compagnia del N., del S., di tale N. e di T. F. ed in tale occasione la p.o. aveva consegnato Euro 500,00 a M.S..

Dopo qualche giorno si era presentato alla sala biliardo l’odierno ricorrente assieme al N., chiedendo il pagamento della residua somma di Euro 4.500,00; a quel punto la p.o. aveva dichiarato che avrebbe ricavato tale somma dalla vendita del materiale della cartoleria che aveva chiuso; al che i due si erano offerti di vendere per suo conto la merce, impegnandosi a consegnargli la differenza fra il ricavato della vendita e la somma di Euro 4.500,00 ad essi dovuta;

ed infatti i due erano tornati dopo qualche giorno assieme a tale F.L., proprietario di una cartoleria, avevano ritirato la merce dalla cartoleria, impegnandosi a consegnargli la differenza pattuita. .

Dopo qualche tempo la parte offesa aveva saputo che il F. aveva già versato al N. il corrispettivo della merce vendutagli ed aveva pertanto interpellato il N., il quale gli aveva riferito che, tolta la somma di Euro 4.500 consegnata a T.F., era residuato l’importo di Euro 190,00, da lui versato al proprio suocero, quale rimborso delle spese dal medesimo anticipate per la prima sistemazione della sala biliardo, rilevata appunto da suo suocero in società con il P..

Secondo il Tribunale era evidente la compartecipazione del S. all’attività estorsiva sopradescritta, avendo egli fornito un valido contributo causale alla consumazione del reato, essendosi egli più volte presentato alla vittima allorchè erano state ribadite a quest’ultimo le richieste estorsive ed aveva contribuito in prima persona a monetizzare i beni della parte offesa, onde consentirgli il pagamento della somma estortagli.

Sussisteva poi nella specie l’aggravante contestata, tenuto conto del metodo usato dall’indagato, il quale aveva fatto espresso riferimento all’aiuto da dare ai componenti del clan RUSSO in carcere; tenuto altresì conto del fatto che uno dei soggetti presentati dal N. alla parte offesa era stato indicato come parente dei fratelli R.; e l’aggravante contestata sussisteva anche sotto il profilo dell’agevolazione al sodalizio capeggiato dai fratelli R., in quanto l’attività estorsiva era destinata ad arrecare un vantaggio patrimoniale a tale sodalizio, consistito nella sostenere le spese di persone inserite in circuiti criminali della struttura associativa dei R..

Secondo il Tribunale sussisteva altresì le esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p., lett. c), in relazione alla molteplicità delle visite fatte dall’indagato, elemento che dimostrava la tracotanza del gruppo, che aveva agito nonostante il rifiuto più volte espresso la parte offesa di pagare il pizzo.

Sussisteva la pertanto la presunzione di pericolosità prevista dall’art. 275 c.p.p., comma 3, non essendo stati forniti elementi che inducessero a ritenere superata la presunzione prevista da tale ultima norma.

3. Avverso detta ordinanza del Tribunale del riesame di Napoli propone ricorso per cassazione S.M. per il tramite del suo difensore che ha dedotto cinque motivi di ricorso.

Col primo motivo lamenta violazione di legge, in quanto, una volta dichiarata la perdita di efficacia di una prima ordinanza cautelare emessa nei confronti di esso ricorrente dal G.I.P., il medesimo ufficio, nell’emettere la seconda ordinanza cautelare, si era limitato a condividere l’iter motivazionale della precedente ordinanza, in quanto non sarebbe stato svolto alcuna nuovo atto di indagine.

Al contrario esso ricorrente, in epoca successiva alla caducazione della prima ordinanza cautelare, aveva prodotto ulteriori elementi, sui quali il G.I.P. non si era pronunciato, in tal modo dando luogo ad un manifesto vizio di motivazione.

Col secondo motivo lamenta violazione di legge, avendo il Tribunale del riesame erroneamente ritenuto non dovuto il suo interrogatorio, in occasione dell’emissione della seconda ordinanza cautelare.

A seguito della perdita di efficacia della prima misura coercitiva ed a seguito dell’assunzione delle dichiarazioni rese dal F. e dalla parte offesa, il G.I.P. avrebbe dovuto non solo tener conto di questi nuovi elementi di giudizio, ma porre l’indagato in condizioni di contribuire al controllo dell’attendibilità dell’accusa; pertanto l’omessa rinnovazione del suo interrogatorio aveva determinato nella specie una manifesta violazione del suo diritto di difesa.

Col terzo motivo lamenta motivazione carente in ordine alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a suo carico in ordine all’intera vicenda estorsiva.

Esso ricorrente non aveva partecipato in alcun modo all’attività svolta dal N. nel settembre 2009, si che non era configurabile alcuna sua partecipazione a tale precedente attività estortiva; pertanto l’ordinanza impugnata doveva essere annullata sul punto della ritenuta continuazione fra l’attività svolta dal N. nel mese di settembre 2009 e quella addebitatagli, intercorsa nel successivo mese di ottobre.

Col quarto motivo lamenta motivazione carente in ordine alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a suo carico, in quanto le dichiarazioni della p.o. erano state utilizzate in modo parziale;

il provvedimento impugnato non aveva tenuto conto che la parte offesa il 2 agosto 2010 aveva fornito al P.M. una versione dei fatti oggettivamente diversa rispetto a quella fornita in precedenza, in quanto non era stato posto in rilievo che la p.o. si era rivolta al N. onde sottrarsi ad una vicenda usuraria in cui egli era rimasto coinvolto; pertanto la richiesta di Euro 5.000,00 era stata una specie di pagamento dovuto al N. per l’aiuto a lui fornito; comunque la nuova versione dei fatti fornita dalla parte offesa minava la complessiva attendibilità intrinseca del medesimo;

e tale aspetto non era stato esaminato dall’ordinanza impugnata, essendosi il G.I.P. limitato a condividere le valutazioni fatte con la precedente ordinanza, ritenuta efficace sull’infondato presupposto che non sarebbero emersi fatti nuovi.

Col quinto motivo lamenta l’insussistenza dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, in quanto non era ravvisarle nel comportamento da lui tenuto la finalità di agevolare l’attività dell’organizzazione di stampo mafioso capeggiata dai fratelli R., atteso che, dall’esame della dichiarazioni rese dalla parte offesa il 2 agosto 2010, poteva evincersi come era stata la parte offesa a sollecitare l’intervento del N. in relazione all’attività usuraia della quale egli era stata vittima; ed esso ricorrente era intervenuto solo quale intermediario per la vendita del materiale di cartoleria, senza essere stato in nessun modo partecipe delle presunte finalità attribuite al N..

Motivi della decisione

1. E’ infondato il primo motivo di ricorso.

E’ noto che si ha violazione del principio del "ne bis in idem", valido anche in relazione ai procedimenti incidentali "de libertate", quando il provvedimento applicativo di una misura coercitiva sia stato annullato in sede di riesame nel merito con pronuncia non più soggetta a gravame, che abbia escluso la sussistenza dei presupposti per la sua emissione; al contrario la reiterazione del provvedimento coercitivo è possibile quando l’annullamento o la perdita di efficacia della misura siano dipesi da irregolarità formali, quali quella riscontrata nella specie in esame (tardività dell’avviso al difensore), tale da non aver consentito alcuna valutazione circa la sussistenza delle condizioni normativamente richieste per l’emissione del provvedimento coercitivo (cfr., in termini, Cass. 5^, 2.4.03 n. 29991, rv. 226369).

Fatta da tale premessa, va rilevato che, nella specie, il provvedimento impugnato ha rilevato come il quadro fattuale sottoposto all’esame del G.I.P. in sede di seconda valutazione fosse identico a quello precedente, si che, conformemente a quanto ritenuto dal Tribunale, correttamente il G.I.P., in sede di seconda lettura degli atti, aveva ritenuto di confermare le valutazioni nel merito espresse dal medesimo ufficio con il provvedimento caducato dal Tribunale per motivi di carattere formale.

Sostiene al riguardo il ricorrente che la parte offesa avrebbe fornito in data 2 agosto 2010 al P.M. una nuova versione dei fatti, tale da consentire una diversa valutazione della sua posizione; si osserva al contrario che, dal contesto del provvedimento impugnato, emerge che il Tribunale ha tenuto conto di tale verbale, ritenendolo non idoneo a modificare la ricostruzione dei fatti, quale ritenuta dal G.I.P. in sede di prima emissione dell’ordinanza coercitiva.

2. E’ infondato il secondo motivo di ricorso.

Con esso il ricorrente lamenta che nei suoi confronti non ha avuto luogo l’interrogatorio in sede di applicazione della seconda ordinanza di custodia cautelare, successiva alla prima, caducata per vizi di forma.

Va invero rilevato che il Tribunale ha fatto nella specie corretta applicazione della giurisprudenza di legittimità, alla stregua della quale quando un’ordinanza restrittiva della libertà personale venga caducata per vizi di forma ex art. 309 c.p.p., necessario un nuovo interrogatorio dell’indagato per l’emissione di una seconda ordinanza custodiate, atteso che le prescrizioni contenute negli artt. 294 e 302 c.p.p., concernenti rispettivamente l’obbligo di procedere all’interrogatorio della persona sottoposta a misura cautelare personale, nonchè l’immediata perdita di efficacia della custodia cautelare se il giudice non abbia proceduto all’interrogatorio entro il termine previsto dall’art. 294 c.p.p., non sono suscettibili di applicazione analogica, tanto più che, nella specie, non risulta che sia mutato il quadro fattuale sul quale è stata fondata la seconda emissione dell’ordinanza cautelare (cfr. Cass. 1^, 28.2.03 n. 23482, rv. 225326).

3. E’ infondato il terzo motivo di ricorso.

Con esso la ricorrente lamenta l’inesistenza a suo carico di gravi indizi di colpevolezza, tali da giustificare la misura cautelare inframuraria adottata nei suoi confronti.

Il provvedimento adottato nei suoi confronti ha invece proceduto ad un corretto apprezzamento degli indizi, fino a quel momento emersi a suo carico, ritenendoli, con motivazione incensurabile nella presente sede, siccome immune da vizi logici e da contraddizioni, adeguati a fondare l’imputazione formulata a suo carico e concernente il reato di concorso in estorsione aggravata ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7.

Gli indizi emersi a carico della ricorrente e ritenuti sufficienti dal Tribunale di Napoli per adottare la misura cautelare anzidetta sono consistiti nelle chiare e dettagliate dichiarazioni rese alla p.g. dalla parte offesa P.M., il quale, dopo un primo momento di comprensibile reticenza, ha finito per riferire alla polizia giudiziaria l’intera sequenza delle vessazioni estortive alle quali era stato sottoposto da parte dell’odierno ricorrente, in concorso con altri soggetti giudicati da parte; nè può ritenersi ridimensionata la portata dell’attività criminosa svolta dall’odierno ricorrente solo perchè il medesimo non ha partecipato alla prima parte dell’attività estorsiva, quella cioè posta in essere principalmente da N.P..

Gli indizi sopra elencati sono idonei a giustificare l’adozione della misura cautelare della detenzione in carcere nei confronti dell’odierna ricorrente. Questa Corte di legittimità non è infatti tenuta a riesaminare gli elementi di fatto posti a sostegno dell’atto impugnato, ovvero a riproporne altri differenti, essendo il relativo apprezzamento riservato in via esclusiva al giudice di merito ed essendo compito di questa Corte solo verifica re se gli elementi di fatto valorizzati da tale ultimo giudice abbiano la necessaria valenza indiziaria. Argomentando diversamente si finirebbe per trasformare questa Corte in un ulteriore giudice del fatto, mentre invece compito della stessa è solo quello di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguato conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario, controllando la congruenza della motivazione rispetto ai canoni della logica ed ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze indiziarie; ed esaminata in quest’ottica, la pronuncia impugnata si sottrae alle censure mosse (cfr., in termini, Cass. SS.UU. 22.3.2000 n. 11; Cass. 4^, 8.6.07 n. 22500).

4. E’ infondato al limite della inammissibilità il quarto motivo di ricorso. Con esso il ricorrente reitera la censura concernente la mancanza di indizi emersi a suo carico per ritenerlo compartecipe della grave attività estorsiva di cui è stato vittima il P..

Già è stato in precedenza rilevato come la mancata partecipazione da parte del ricorrente alla prima fase dell’attività estorsiva, quella posta in essere principalmente dal N., non vale sul piano fattuale ad elidere la gravità degli indizi emersi a suo carico; già in precedenza è stato rilevato come il Tribunale del riesame ha tenuto conto della versione dei fatti proposta dalla parte offesa al P.M. in data 2 agosto 2010; va comunque rilevato che l’eventuale sussistenza di rapporti usurari fra la parte offesa ed il N. non valgono a diminuire la portata criminosa della successiva attività, che lo stesso ricorrente non nega di aver posto in essere e della cui valenza estorsiva non è dato dubitare.

5. E’ infine infondato il quinto motivo di ricorso.

Con esso il ricorrente ha ritenuto l’insussistenza dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, a lui contestata.

E’ noto che detta aggravante consiste nell’aver commesso il fatto avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p., ovvero al fine di agevolare l’attività di associazioni criminose previste nell’articolo da ultimo citato ed è configurabile a carico dei soggetti, i quali, partecipi o meno di reati associativi, utilizzino metodi mafiosi e cioè ostentino nel loro comportamento in maniera evidente e provocatoria una condotta intimidatoria idonea ad esercitare sui soggetti passivi quella particolare coartazione e quella conseguente intimidazione che sono proprie delle organizzazioni di tipo mafioso (cfr. Cass. 1^ 9.3.04 n. 16486; Cass. 1^ 18.3.1994 n. 1327).

Il Tribunale del riesame ha motivato la sussistenza di detta aggravante, riferita al reato di estorsione ascritto all’odierno ricorrente, facendo corretta applicazione dei principi giurisprudenziali sopra enunciati. Esso ha invero sottolineato come l’attività estorti va, posta in essere dal ricorrente, assieme ad altri soggetti, giudicati a parte, fosse stata commessa con tipica metodologia mafiosa e nell’ambito di un progetto criminale, consistito nell’imposizione di un pizzo; e tale intimidazione mafiosa ben poteva sussistere anche in mancanza di minacce esplicite rivolte alla p.o., potendo essa ben consistere in comportamenti allusivi, i quali, alla stregua di una consolidata esperienza giudiziaria, possono spesso risultare ben più efficaci di esplicite minacce; ed in tale contesto il Tribunale ha correttamente rilevato che anche l’essersi il ricorrente posto come intermediario nella liquidazione dei beni della cartoleria, di cui era titolare la parte offesa costituisca attività estorsiva aggravata ai sensi della normativa sopra richiamata, essendo il ricorrente ben consapevole che si trattasse di liquidazione finalizzata al pagamento di una somma estortiva.

6. Il ricorso proposta da S.M. va pertanto respinto, con sua condanna, ex art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.

7. Si provveda all’adempimento di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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