Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 15-12-2010) 04-01-2011, n. 21 Intercettazioni telefoniche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di assise di appello di Caltanissetta, con sentenza in data 27 gennaio 2010, confermava la sentenza del G.I.P. del Tribunale di Caltanissetta, in data 3 febbraio 2009, che dichiarava M. B.F., aderente all’associazione Cosa Nostra, colpevole, quale organizzatore, del delitto di omicidio aggravato, in concorso, di C.D., attinto da quattro colpi di fucile calibro 12, esplosi da distanza ravvicinata, il (OMISSIS) e condannato, con la diminuente del rito, alla pena di anni trenta di reclusione.

I giudici di merito pervenivano all’affermazione di responsabilità dell’imputato a) in forza delle dichiarazioni rese da diversi collaboratori di giustizia, ritenuti attendibili, b) dal contenuto di intercettazioni telefoniche dalle quali si era ritenuto provato il coinvolgimento nel delitto dell’imputato che, per conto del clan catanese di La Rocca e Mirabile, si era impegnato ad organizzare l’omicidio, delegando l’esecuzione materiale al sodale S. V., c) dalla presenza, accertata mediante i tabulati telefonici, dell’imputato, dello S. e di altro soggetto nell’ora e nella zona di consumazione dell’assassinio del C..

Proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato avv. Maria Loreta Stella Rao, deducendo i seguenti motivi:

a) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) in relazione all’art. 191 c.p.p. e art. 438 c.p.p. e segg., evidenziando l’erronea declaratoria di inutilizzabilità, nel giudizio abbreviato, delle intercettazioni, (da cui emergerebbe l’estraneità dell’imputato al delitto medesimo), eseguite dopo il 26/12/2002, disposte dalla Procura della Repubblica di Catania, non essendo riconducibili alla categoria della inutilizzabilità "patologica", inerente cioè agli atti probatori assunti "contra legem";

b) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) per difetto di motivazione in ordine alla contestata attribuzione della titolarità e dell’uso dell’utenza cellulare specificata all’imputato, nonchè all’esattezza delle localizzazioni operate sulla predetta utenza nel luogo e nell’ora dell’omicidio;

c) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) in relazione all’art. 526 c.p.p. per avere la Corte utilizzato alcune soltanto delle conversazioni, peraltro dichiarate inutilizzabili, ignorando quelle indicate dalla difesa come fondamentali;

d) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) per aver introdotto nel processo una circostanza inesistente, elevandola a livello di prova, contestando il tenore della conversazione ambientale utilizzata dalla Corte per affermare che il Ca. ha appreso quanto a sua conoscenza direttamente dal M., il quale, in sua presenza, avrebbe ammesso di essere stato personalmente coinvolto nell’omicidio;

e) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) per contraddittorietà della motivazione con riferimento alla attendibilità del teste Ca. che, nonostante in sede di esame abbia concluso dicendo "le mie sono state solo montature" è stato ritenuto attendibile dalla Corte che ha affermato che la smentita del Ca. equivaleva ad una conferma delle precedenti dichiarazioni.

L’avv. Pennisi, codifensore dell’imputato, deduceva i seguenti motivi nuovi di ricorso:

a) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) in relazione all’art. 192 c.p.p., comma 2, e all’art. 533 c.p.p., comma 1, e violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) in relazione all’art. 546 c.p.p. essendo fondata la sentenza su un unico indizio, derivante dalla intercettazione ambientale, eseguita il (OMISSIS), neanche preciso e concordante, essendo gli altri 4 indizi evidenziati relativi ad altri imputati;

b) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) in relazione all’art. 192 c.p.p., comma 2, e all’art. 271 c.p.p., comma 1, non potendo l’inutilizzabilità delle intercettazioni essere utilizzata per ignorare un elemento di giudizio favorevole alla difesa.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Ripropone in questa sede il ricorrente l’eccezione di inutilizzabilità di parte delle intercettazioni acquisite, decisa dal G.I.P. d’ufficio, senza che la difesa stessa l’avesse richiesto, evidenziando come dalle intercettazioni giudicate ritualmente inutilizzabili, sarebbe, invece, emersa l’estraneità dell’imputato al delitto medesimo, la cui esecuzione andava attribuita ad altri soggetti. Il vizio denunciato è infondato per un duplice ordine di ragioni. Anzitutto va evidenziata la genericità dell’assunto in base al quale dalle intercettazioni giudicate ritualmente inutilizzabili sarebbe emersa l’estraneità dell’imputato al delitto medesimo, trattandosi di mera affermazione non supportata da alcuna argomentazione, non essendo sufficiente a supplire a tale deficienza l’allegazione delle predette intercettazioni, essendo onere del ricorrente evidenziare specificamente i brani delle conversazioni da cui desumere l’assunto, in forza del principio di autosufficienza del ricorso. La censura concernente le questioni rilevabili d’ufficio attiene al riconoscimento degli effetti giuridici dei fatti, che tuttavia debbono essere pur sempre allegati dalle parti, con la specifica indicazione, con riferimento all’esito delle intercettazione dei passi salienti ai fini della relativa prospettazione. Con le allegazioni invero le parti individuano i fatti rilevanti, prospettandone un’ipotesi ricostruttiva ritenuta funzionale alla pretesa fatta valere in giudizio; con le domande o con le eccezioni postulano gli effetti giuridici che assumono siano previsti dalla legge per i fatti allegati; con le richieste e le deduzioni probatorie tendono a verificare le ipotesi ricostruttive formulate con le allegazioni, adoperandosi per dimostrare l’attendibilità, vale a dire la veridicità, delle proprie affermazioni in ordine ai fatti allegati. La Suprema Corte ma non può certo surrogarsi alla parte nell’onere di individuazione dei brani di conversazione ritenuti rilevanti che la parte ha genericamente indicato, sia pure producendole.

La Corte di merito, anche se si procedeva con le forme del giudizio abbreviato ha rilevato, d’ufficio, l’esistenza di un vizio motivazionale dei decreti autorizzativi delle intercettazioni telefoniche e ambientali che rendeva inutilizzabili le conversazioni legittimamente acquisite, trattandosi con riferimento alla mancata motivazione del decreto del pubblico ministero, con il quale si dispone per l’esecuzione di intercettazioni telefoniche, l’utilizzo di impianti diversi da quelli installati nella procura della Repubblica, di inutilizzabilità patologica (CFR Cass. 30.1.2007, Caruso, n. 14099 rv 236211).

Appare fondata, anche se poi, per le motivazioni che saranno sviluppate, non assume rilievo ai fini del presente giudizio, la censura relativa alla mancata utilizzazione dei risultati delle intercettazioni compiute nell’ambito della c.d. (OMISSIS), eseguite successivamente al 26.12.2002, dichiarate d’ufficio inutilizzabili dal GUP presso il Tribunale di Caltanissetta, in quanto l’istituto della inutilizzabilità di cui all’art. 191 cod. proc. pen. è posto a garanzia delle posizioni difensive e colpisce le prove illegittimamente acquisite contro divieti di legge, quindi in danno del giudicabile, vale a dire come prove a carico. Tale istituto, pertanto, in tutte le sue articolazioni (una delle quali è rappresentata dall’ipotesi prevista dall’art. 195 c.p.p., comma 1) non può essere applicato per ignorare un elemento di giudizio favorevole alla difesa che, invece, deve essere considerato e discusso secondo i canoni logico razionali propri alla funzione giurisdizionale. Sez. 1, Sentenza n. 11027 del 26/11/1996 Ud. (dep. 20/12/1996 ); Sez. 5, Sentenza n. 32465 del 25/06/2001).

La Corte territoriale, pur avendo ritenuta legittimo il provvedimento relativo alla inutilizzabilità patologica delle intercettazioni, tuttavia, per puro scrupolo, le ha analizzate compiutamente giungendo a negarne valenza al fine di mettere in dubbio la responsabilità dell’imputato con riferimento alla originaria ritrosia del "vecchio" L.R. alla commissione dell’omicidio (perchè temeva che le indagini potessero subito convergere sul suo gruppo) poi venuta meno, avendo dato l’assenso definitivo, con esplicito riferimento ad un brano della conversazione intercettata tra il medesimo e Mi.

A. (pag. 17-18).

Peraltro (e tale considerazione assume rilievo ai fini della ed "prova di resistenza"), la colpevolezza dell’imputato non è stata desunta dal solo tenore delle intercettazioni telefoniche, ma anche da tutta una serie di ulteriori riscontri e rilievi, configuranti una catena probatoria autonoma, ben evidenziati da pagina 18 al 21 dell’impugnata sentenza, tra cui, a solo titolo di esempio la riscontrata presenza, nella zona di (OMISSIS) la sera del (OMISSIS), delle utenze cellulari in uso al M.B. e a B.C. (cfr rapporto Squadra Mobile Catania 9.6.2006, f. 275 e segg) e i contestuali collegamenti telefonici con S. V., anche lui nella stessa zona.

Ulteriori elementi accusatori sono stati logicamente evidenziati dalla Corte territoriale:

a) dalla riscontrata convergenza dell’interesse del gruppo Bevilacqua e dell’interesse del gruppo dei La Rocca e Mirabile ad eliminare il C. che pretendeva di rientrare nel settore delle estorsioni, dal quale era stato escluso (pag. 18 sent.); dall’incontro avvenuto il (OMISSIS), tra B.R., L.R.F., Mi.Al., e L.R.F., in località (OMISSIS), nel corso della quale si doveva discutere, come preannunciato da altre pregresse intercettazioni, tra l’altro, dei nuovi appetiti del C. su altre opere in corso di realizzazione e della sorte del medesimo che ostacolava le operazioni di riscossione dei proventi delle estorsioni (conv. 1.12.2002 operazione Dioniso, (pag. 18,19 sent.);

c) dalla disponibilità manifestata dagli alleati catanesi a venire incontro alle esigenze rappresentate dal B.R. relative alle ingerenze del C. (cfr conversazione in data 29.11.2002 tra L.R., Mi.Al. e Mi.Gi., pag. 19 sent.);

d) dall’inserimento dell’imputato nell’organizzazione mafiosa, con funzioni di promotore, operante nei Comuni di (OMISSIS) (dichiarazioni di D.F.U. e sentenza di questa Corte in data 24.10.2007, pag. 19 sent.);

e) dalla pregressa collaborazione operativa tra M.B. e S.V. (sent. GUP Catania 9.5.2005);

f) dalla individuazione del sicario nella persona di S. V. e dagli accertati rapporti tra l’imputato e lo S., frutto della comune militanza nella stessa consorteria;

g) dal furto, nella zona di (OMISSIS), territorio di influenza dell’imputato e del sicario S.V., dell’autovettura Opel Vectra, presumibilmente utilizzata per eseguire l’omicidio e l’incendio dello stesso veicolo, con modalità del tipico delitto di mafia, per evitare la ricostruzione della provenienza territoriale del mezzo;

h) dal fortuito recupero delle targhe anteriori e posteriori, apposte sulla predetta autovettura, appartenenti ad una Fiat Punto noleggiata dallo S. e denunciata dallo stesso come rubata;

i) dai tabulati telefonici riguardanti le utenze cellulari in uso allo S. che segnalano la presenza di quest’ultimo nella zona dell’omicidio nei giorni precedenti il delitto, come se fosse stata compiuta un’attività di ricognizione e di preparazione dell’agguato sul territorio (scheda riassuntiva Squadra Mobile di Catania del 9.6.2006) Trattasi, evidenzia la Corte di merito, di una serie di indizi solidi, convergenti coerenti che, dotati di sicura valenza probatoria, confermano ulteriormente il coinvolgimento nel delitto dell’imputato, svelata dal Ca. nel corso della sua chiacchierata intercettata – contro la sua volontà – dagli investigatori, escludendo che sia il frutto di una macchinazione ordita dal dichiarante, rispecchiando una situazione di fatto e una condotta realmente verificatasi.

2) Anche il secondo motivo è infondato.

Il ricorrente si limita a rilevare, genericamente, il difetto di motivazione in ordine alla contestata attribuzione della titolarità e dell’uso dell’utenza cellulare, affermando, senza alcuna allegazione, che le utenze del M. sottoposte a controllo erano diverse da quelle attribuitegli nel presente processo, contestando l’esattezza delle localizzazioni operate sulla predetta utenza nel luogo e nell’ora dell’omicidio, senza, tuttavia, indicare altri elementi da cui desumere l’eventuale inesattezza di tale indicazione in contrasto con le non equivoche risultanze del rapporto della Squadra Mobile di Catania in data 9 giugno 2006 (f. 275 e segg) che confermano che le utenze cellulari in uso al latitante M. B. e B.C. confermavano la presenza di entrambi nella zona di (OMISSIS).

La Corte territoriale richiama, al riguardo, tutti gli argomenti già illustrati dal G.U.P. (f. 134 e segg sentenza Tribunale) che, attingendo al contenuto dell’informativa in data 9 giugno 2006 della Squadra Mobile di Catania e ai chiarimenti offerti all’udienza camerale delle 5 febbraio 2009 dai testi Ro. e Fa., ha evidenziato come fosse sicura la riconducibilità, accertata tramite servizio di intercettazione, delle utenze in esame ai due imputati.

Le osservazioni della difesa fanno riferimento a una diversa prospettazione dei fatti sulla riconducibilità della scheda all’imputato, inammissibile in sede di legittimità. 3) Anche gli ulteriori motivi che si esaminano congiuntamente per connessione logica, sono generici e vanno disattesi.

Costituisce una mera affermazione di principio il rilievo secondo cui sarebbero stati individuati elementi di responsabilità a carico dell’imputato sulla base di alcune soltanto delle conversazioni dichiarate inutilizzabili, ignorando quelle indicate dalla difesa, ma non specificate nei motivi di ricorso, asseritamente ritenute fondamentali e decisive ai fini del "giusto esito del processo", senza tuttavia, specificare, come già evidenziato, il tenore delle asserite conversazioni, limitandosi a una contestazione generica al riguardo.

La Corte territoriale, con motivazione coerente e logica, ha evidenziato che il principale elemento di accusa (oltre agli altri innumerevoli presi in esame) era costituito dal contenuto della conversazione ambientale in data (OMISSIS), all’interno dell’automobile Opel Astra in uso a Ca.Al., tra il predetto e lo zio, analiticamente illustrata nel suo contenuto nella sentenza del tribunale (f. 110-130), da cui, tra l’altro, oltre ai collegamenti tra l’imputato e i sodali, è emerso uno specifico "scambio di favori" mafiosi tra l’imputato che si impegnava ad uccidere il C. e il Mi. che prometteva, a sua volta, di uccidere Ca.Sa. "(OMISSIS)", capo della fazione avversa al M.B., operante anch’essa nel territorio di (OMISSIS), (omicidio poi, in realtà, non avvenuto), emergendo anche che l’imputato era colui il quale ha dato l’incarico allo S. di eseguire l’omicidio del C., evidenziando come dal tenore della conversazione, ancorchè trattasi di un dialogo tra terzi, come ben specificato dalla Corte, si evincano numerosi indizi, seri, gravi e concordanti di un coinvolgimento pieno di M.B., quale organizzatore del delitto.

4) La Corte, inoltre con motivazione coerente e logica, evidenzia l’attendibilità delle affermazioni, in sede di intercettazione, rese dal Ca. (pag. 14-16 sentenza) che aveva avuto numerosi contatti telefonici, anche recenti rispetto ai fatti, con l’imputato che testimoniano, in base alla valutazione della Corte di merito, una continuità di relazioni che nascono dalla comune adesione e dal comune operare all’interno di una stessa organizzazione e smentiscono sul piano logico l’ipotesi di una asserita ipotetica condotta calunniosa per incolpare falsamente M.B. del delitto.

Anche il successivo comportamento processuale del Ca. (che ha dichiarato di essersi inventato tutto), viene spiegato, logicamente, dalla Corte territoriale con l’intenzione di non nuocere all’imputato negando tutto ciò che diffusamente e con precisione aveva, invece, illustrato nella conversazione ambientale, inducendo la Corte a ritenere che "la pasticciata spiegazione alternativa delle sue parole" in realtà dava la conferma dell’autenticità della veridicità di quanto aveva confidato allo zio.

Nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividere la giustificazione del libero convincimento del giudice nella valutazione delle prove testimoniali, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Cass. Sez. 4A sent. n. 47891 del 28.09.2004 dep. 10.12.2004 rv 230568; Cass. Sez. 5A sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745; Cass., Sez. 2A sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).

Gli argomenti proposti dal ricorrente costituiscono, in realtà, solo un diverso modo di valutazione dei fatti, ma il controllo demandato alla Corte di cassazione, è solo di legittimità e non può certo estendersi ad una valutazione di merito.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *