Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 15-12-2010) 04-01-2011, n. 16

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Svolgimento del processo

La Corte di appello di Catania, con sentenza in data 25 febbraio 2010, confermava la sentenza del Tribunale di Catania in data 2 aprile 2001, appellata da C.O., dichiarato colpevole del reato di ricettazione di un assegno bancario di provenienza delittuosa, compilato con l’importo e la firma di traenza, quindi consegnato a S.S. e condannato, con le attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva, alla pena di anni due di reclusione e Euro 516 di multa.

L’imputato proponeva ricorso per cassazione deducendo la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) e) con riferimento agli art. 159, 179 c.p.p., comma 1, art. 178 c.p.p., lett. c), per aver erroneamente il Tribunale accertato la ritualità della notifica della citazione, dichiarando l’irreperibilità dell’imputato che aveva cambiato residenza in epoca precedente alla commissione del reato contestato, non essendo state effettuate cumulativamente le ricerche nei luoghi indicati dall’art. 159 c.p.; censurava, inoltre, la motivazione, ritenuta insufficiente con riguardo all’affermazione di colpevolezza, non essendosi soffermata sulle doglianze della difesa, avendo ritenuto irrilevante il fatto che non si sia risaliti al soggetto che materialmente aveva consegnato e materialmente contraffatto l’assegno.

Motivi della decisione

1) Il ricorso è infondato.

La Corte di appello ha rigettato l’eccezione di nullità del decreto di irreperibilità dell’imputato per l’asserita incompletezza delle ricerche e della conseguente notifica del decreto di citazione a giudizio di primo grado, rilevando come la dedotta invalidità non configuri una causa di nullità assolute insanabile, non trattandosi di omessa citazione dell’imputato, ma solo di un vizio relativo al procedimento per l’individuazione del luogo per la notifica dell’atto, vizio deducibile non oltre la deliberazione della sentenza di primo grado, con conseguente decadenza dell’appellante per non aver formulato l’eccezione in tale termine.

Indipendentemente da tale motivazione, peraltro, non specificamente censurata in grado di appello, il decreto di citazione risulta notificato al difensore di fiducia, avv. S.P., senza che alcuna eccezione formulata, al riguardo nel corso del giudizio di primo grado, rilevando come la sentenza del Tribunale risulti ritualmente notificata a mani proprie dell’imputato, all’epoca detenuto, in data 23.10.2001 presso la casa circondariale.

2) Con riferimento al secondo motivo di ricorso, questa Suprema Corte ha più volte affermato il principio, condiviso dal Collegio, che ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell’omessa – o non attendibile -indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede, (si vedano: Sez. 2, Sentenza n. 2436 del 27/02/1997 Ud. – dep. 13/03/1997 – Rv. 207313; Sez. 2, Sentenza n. 16949 del 27/02/2003 Ud.

– dep. 10/04/2003 – Rv. 224634).

La Corte territoriale ha ben evidenziato che l’assegno in questione, unitamente ad altri del relativo carnet, è stato denunciato come smarrito e protestato perchè recante firma apocrifa (la firma di traenza di C.O.); inoltre il beneficiario dell’assegno era la ditta Fraticelli s.p.a., fornitrice di merci della ditta individuale dell’imputato.

Con valutazione logica la Corte ha rilevato che non assume rilievo l’assunto dell’estraneità dell’imputato ai passaggi del titolo per non essere stato identificato il dipendente incaricato di consegnarlo alla ditta fornitrice, avendolo, comunque, sottoscritto e compilato in ogni sua parte. Inoltre l’omessa indicazione di una giustificazione attendibile sul possesso dell’assegno conferma la piena consapevolezza del C. della provenienza illecita di quanto sopra. A tal proposito questa Suprema Corte ha affermato il principio che per la configurabilità del delitto di ricettazione è necessaria la consapevolezza della provenienza illecita del bene ricevuto, senza che sia indispensabile che tale consapevolezza si estenda alla precisa e completa conoscenza delle circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato presupposto, potendo anche essere desunta da prove indirette, purchè gravi, univoche e tali da generare in qualsiasi persona di media levatura intellettuale, e secondo la comune esperienza, la certezza della provenienza illecita di quanto ricevuto (Sez. 2, Sentenza n. 18034 del 07/04/2004 Ud. – dep. 19/04/2004 – Rv. 228797; Sez. 4, Sentenza n. 4170 del 12/12/2006 Ud. – dep. 02/02/2007 – Rv. 235897).

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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