Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 26-11-2010) 04-01-2011, n. 78 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 22 luglio 2010 il Tribunale di Catania, costituito ex art. 309 c.p.p., confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa confronti di C.I. dal Gip dello stesso tribunale, in data 2.7.2010, in relazione al reato di cui agli artt. 81 cpv. e 110 c.p., e art. 629 c.p., commi 1 e 2, aggravato L. n. 203 del 1991, ex art. 7, per avere, in concorso con A.M., costretto il titolare di un esercizio di rifornimento di carburante a consegnare la somma di Euro 200 mensili, con l’implicita minaccia derivante dall’appartenenza al clan Santapaola.

2. Avverso il citato provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, C.I., denunciando violazione di legge e vizio di motivazione, affetta da illogicità, limitatamente alla ritenuta aggravate di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7. In specie si duole dell’assoluta carenza di elementi dimostrativi che la condotta dell’indagato e del suo correo sia stata posta in essere per agevolare il sodalizio mafioso. Ad avviso del ricorrente tale presupposto non può essere desunto nè da quanto riferito dalla vittima dell’estorsione, nè dalle dichiarazioni dei collaboranti, alcune, peraltro, risalenti nel tempo e riferite ad epoca in cui il distributore era gestito da altra persona. Evidenzia, altresi, il ricorrente che entrambi gli indagati del reato in contestazione non hanno riportato precedenti condanne per reati di mafia.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato e, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.

1. Va ricordato che il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la motivazione della pronuncia: a) sia "effettiva" e non meramente apparente, cioè realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata;

b) non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente "contraddittoria", ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi del suo ricorso per Cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico.

Al giudice di legittimità resta, invece, preclusa – in sede di controllo sulla motivazione – la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perchè ritenuti maggiormente e plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa).

Con specifico riferimento alla motivazione dei provvedimenti emessi nella fase cautelare, il vaglio demandato a questa Corte non può non arrestarsi alla verifica del rispetto delle regole della logica e della conformità ai canoni legali che presiedono all’apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza, prescritti dall’art. 273 c.p.p., per l’emissione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, senza poter attingere l’intrinseca consistenza delle valutazioni riservate al giudice di merito.

2. Tanto premesso, quanto allo specifico ed unico motivo di ricorso, deve rilevarsi che la motivazione della pronuncia impugnata si sottrae alle censure che le sono state mosse perchè il provvedimento impugnato – con motivazione esente da evidenti incongruenze e da interne contraddizioni – ha rappresentato le ragioni che hanno indotto il giudice a ravvisare, a carico del ricorrente, oltre i gravi indizi di colpevolezza per il reato di estorsione continuata in concorso, anche gli elementi, sul piano dei gravi indizi, per ritenere integrata l’aggravate di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7.

In particolare il Giudice ha rappresentato in termini lineari e coerenti ì seguenti argomenti.

A) Secondo quanto riferito da due collaboratori di giustizia l’esercizio di distributore di carburante era sin dal (OMISSIS) sottoposto a richieste estorsive per conto della famiglia Santapaola.

B) Tale premessa è assolutamente coerente con le circostanze riferite dalla vittima, che ha detto di aver subito le richieste estorsive sin dal momento in cui aveva rilevato la gestione del distributore, con continuità e cadenza regolare, con le medesime modalità; in particolare, la riscossione mensile della somma era effettuata da persone che si erano avvicendate nel tempo (cinque o sei) e la richiesta era stata sempre motivata dalla garanzia della tranquillità aziendale.

C) Connotano ulteriormente il quadro indiziario sul punto le frequentazioni del C. con soggetti appartenenti al clan e, nello stesso senso, le dichiarazioni del collaboratore B. che ha indicato il C. come persona vicina a Q. A., il quale riveste un ruolo di spicco all’interno del sodalizio Santapaola.

A fronte di ciò il ricorrente non ha indicato in maniera specifica vizi di legittimità o profili di illogicità della motivazione della decisione impugnata, ma ha soltanto prospettato una ricostruzione alternativa dei fatti rispetto a quella adottata dai giudici del merito, per vero con censure generiche e del tutto inidonee a dimostrare che, nel suo complesso, la motivazione è inesistente o affetta da gravi vizi logici o strutturata in modo da accogliere in sè prospettazioni disarmoniche ed inconciliabili tra di loro.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi idonei ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Costituzionale sent. n. 186 del 2000), al versamento a favore della cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in Euro mille, ai sensi dell’art. 616 c.p.p..

La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della cassa della ammende.

Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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