Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 26-11-2010) 04-01-2011, n. 77 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 9 aprile 2010 il Tribunale di Reggio Calabria, costituito ex art. 309 c.p.p., confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa confronti di B.F. dal Gip del tribunale di Reggio Calabria, in data 11.1.2010, in relazione ai reati di cui all’art. 416 bis c.p., (capo A), art. 110 c.p., e L. n. 356 del 1992, art. 12 quiquies, aggravato L. n. 203 del 1991, ex art. 7, (capi B ed E), art. 110 c.p., e L. n. 356 del 1992, art. 12 quiquies, (capi I e L), L. n. 895 del 1967, artt. 2 e 7, (capo M).

Premessa la già accertata esistenza dell’associazione di stampo mafioso, detta ‘ndrina Bellocco, operante nel territorio di Rosarno e in quello di Granarolo dell’Emila e facente capo a B.C. ed ai componenti della sua famiglia, il tribunale riteneva la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico di B. F. (cl. (OMISSIS)) – figlio di C. – (e le conseguenti esigenze cautelari) in ordine alla partecipazione al predetto sodalizio criminale, alla intestazione fittizia in concorso di un esercizio commerciale (supermercato ESSETRE s.r.l.), di una attività di autolavaggio e di due autovetture, nonchè, in ordine alla illecita detenzione di una pistola semiautomatica. Il contenuto di conversazioni intercettate e l’esito degli accertamenti ed acquisizioni documentali effettuati dalla polizia giudiziaria facevano emergere la perdurante operatività del sodalizio facente capo ai B., anche attraverso significative acquisizioni patrimoniali ed investimenti volti alla gestione di attività d’impresa.

2. Avverso il citato provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, B.F., denunciando violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 416 bis c.p., e L. n. 356 del 1992, art. 12 quiquies, con riferimento agli artt. 273 e 192 c.p.p.; a) in particolare, ad avviso del ricorrente il contenuto delle intercettazioni è del tutto inidoneo a ritenere i gravi indizi in ordine alla partecipazione dell’indagato al delitto di cui all’art. 416 bis c.p., non emergendo in alcun modo il contributo di B.F. all’attività dell’associazione criminale; b) il tribunale è incorso in erronea applicazione della norma di cui alla L. n. 356 del 1992, art. 12 quiquies, contestata ai capi E), I) ed L) non sussistendo nella specie il presupposto essenziale costituito dall’oggettiva condizione dell’indagato – quale soggetto al quale possa essere applicata una misura di prevenzione patrimoniale – che va distinta dal dolo specifico del reato contestato; c) il tribunale ha omesso di indicare le ragioni per le quali deve ritenersi sussistente la contestata aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7.

Infine, il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al fatto contestato al capo M) per insussistenza della gravità indiziaria in ordine alla detenzione illecita di pistola semiautomatica.

Motivi della decisione

Il ricorso non è fondato nei termini di cui ai motivi per le ragioni di seguito indicate.

1. Il vaglio di legittimità demandato a questa Corte non può non arrestarsi alla verifica del rispetto delle regole della logica e della conformità ai canoni legali che presiedono all’apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza, prescritti dall’art. 273 c.p.p., per l’emissione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, senza poter attingere l’intrinseca consistenza delle valutazioni riservate al giudice di merito.

All’evidenza, gli elementi di fatto significativi ai fini della ritenuta sussistenza della gravità indiziaria a carico di B. F., in specie in relazione ai reati di cui all’art. 416 bis c.p., e alla L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies, sono stati valutati nel contesto complessivo delle emergenze investigative sintetizzato nel provvedimento impugnato, richiamando, altresì, l’ordinanza del Gip con la quale è stata applicata la misura cautelare al ricorrente ed altri soggetti.

Sul punto vengono richiamate: la già accertata esistenza della ‘ndrina Bellocco, facente capo a B.C. già irrevocabilmente condannato per il reato di cui all’art. 416 bis c.p., e dal (OMISSIS) in affidamento in prova al servizio sociale in Granarolo dell’Emilia; gli accertati contatti e frequentazioni del predetto, ancorchè lontano dal territorio, con soggetti pregiudicati ed inseriti nel contesto associativo; le circostanze emerse dalle conversazioni intercettate dalle quali inequivocabilmente si traeva l’intensa attività attraverso la quale B.C. ed i suoi familiari, con il contributo di altri sodali, avevano assunto la gestione di alcune attività d’impresa formalmente riconducibili a soggetti terzi.

Diversamente da quanto afferma il ricorrente, il compendio indiziario posto a fondamento della ritenuta partecipazione di B. F. al sodalizio è costituito da una pluralità di elementi che non si esauriscono nelle conversazioni tra i familiari nelle quali il predetto viene chiamato in causa per intervenire con le maniere forti al fine di perseguire alcuni obiettivi come l’acquisizione di un terreno (conv. del 10.6.2009 tra i genitori ed i fratelli dell’indagato). Il predetto, infatti, risulta pienamente coinvolto – come emerge dalle conversazioni captate e puntualmente valutate dal tribunale – nell’attività volta all’acquisizione e gestione di attività d’impresa per conto della famiglia e del sodalizio.

Significativa sotto tale profilo è la vicenda della gestione del supermercato ESSETRE s.r.l. in (OMISSIS), di cui alla contestazione del capo B), nella formale titolarità della società omonima della quale risultava socio di maggioranza ed amministratore S. F.. Come è stato approfonditamente vagliato e ricostruito nell’ordinanza impugnata, le circostanze accertate a seguito delle indagini e quelle tratte dalle conversazioni captate facevano emergere in maniera evidente che si trattava di intestazione meramente fittizia essendo, invece, la gestione dell’esercizio commerciale completamente riconducibile alla famiglia B.;

circostanza, peraltro, non contestata dal ricorrente.

Il tribunale del riesame ha sottolineato, quindi, la partecipazione attiva e personale dell’indagato alla gestione del supermercato con motivazione congrua ed esente da vizi logici, traendo gli indizi da univoci passaggi di conversazioni intercettate nell’agosto 2009, quando, peraltro, il padre, la madre ed il fratello D. erano stati sottoposti a provvedimento di fermo. In particolare viene in rilievo la conversazione nella quale il B. esplicitamente si attribuisce la gestione del "reparto frutta" del supermercato ed afferma che tale G. vi lavora per suo conto.

Orbene, lo sviluppo argomentativo della motivazione è fondato su una coerente analisi critica degli elementi indizianti e sulla loro coordinazione in un organico quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di adeguata plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito della gravità, nel senso che questi sono stati reputati conducenti, con un elevato grado di probabilità, rispetto al tema di indagine concernente la partecipazione ad associazione per delinquere di stampo mafioso contestata al B..

2. Completa e priva di contraddizioni è, altresì, la motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi a carico dell’indagato in ordine ai reati di cui alla L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies, contestati ai capi E), I) ed L).

La vicenda contestata al capo E) è relativa alla gestione di fatto acquisita dal B. dell’attività di autolavaggio svolta all’interno di una officina meccanica in (OMISSIS) nella titolarità di S.G.. Dalle numerose conversazioni esaminate dal tribunale vengono rilevate circostanze univoche che conducevano ad affermare – come lo stesso indagato esplicita nelle conversazioni – che il B. aveva di fatto rilevato la struttura, sia pure rudimentale, per il lavaggio auto al quale aveva preposto per suo conto A.L..

Il proprietario, S.G., aveva dichiarato agli investigatori di aver dato in gestione l’autolavaggio, senza formalità, ad A.L.; dalle intercettazioni si rileva il diretto interesse del B. all’avviamento dell’attività ed i continui contatti tra il predetto e l’ A. per l’organizzazione e l’andamento del lavoro.

Alla luce del complessivo contesto nel quale si inseriscono le circostanze esaminate, esente da vizi sindacabili in questa sede è la motivazione del tribunale in ordine alla configurabilità dell’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7, contestata ai predetti capi B) ed E).

Evidente è, ancora, la fittizia intestazione delle autovetture di cui ai capi I) ed L) dell’imputazione, sulla base delle circostanze emerse dalle conversazioni intercettate e dagli accertamenti di p.g., puntualmente indicati nell’ordinanza.

3. Ritiene la Corte assolutamente infondata, nei termini in cui è posta, la questione sollevata con il secondo motivo di ricorso in ordine alla erronea applicazione della L. n. 356 del 1992, art. 12 quiquies, ed alla configurabilità di detto reato. Ad avviso del ricorrente non sussisterebbe il presupposto essenziale costituito dall’oggettiva condizione dell’indagato quale soggetto cui è applicabile una misura di prevenzione patrimoniale, che va distinta dal dolo specifico del reato contestato.

La questione è stata affrontata e risolta in termini corretti dal tribunale del riesame alla luce dei parametri ermeneutici più volte affermati dalla Corte.

Il tribunale, dopo aver ribadito sulla base dell’insegnamento della Suprema Corte i connotati dell’elemento oggettivo della fattispecie, ha evidenziato che il delitto di cui alla L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies, ben può essere commesso anche da chi non sia ancora sottoposto a misura di prevenzione e persino prima che la relativa procedura sia intrapresa, occorrendo solo per la configurabilità del dolo specifico previsto da tale norma che l’interessato possa fondatamente presumerne l’inizio (Sez. 1, 2 marzo 2004, n. 19537, Ciarlante; Sez. 1, 25 maggio 1999, Russo, rv. 214094). Tanto premesso, il tribunale ha indicato in motivazione le circostanze idonee a ritenere la sussistenza dei predetti elementi costitutivi, ricordando, peraltro, che il tribunale di Reggio Calabria, sezione misure di prevenzione, nel giugno 2008 aveva già emesso un provvedimento di confisca di beni in danno della medesima associazione mafiosa.

Il suddetto orientamento giurisprudenziale è stato ulteriormente ribadito da questa Corte laddove ha affermato che le finalità di politica criminale della norma rivelano che l’oggetto giuridico del delitto in questione consiste nell’evitare la sottrazione di patrimoni anche solo potenzialmente assoggettabili a misure di prevenzione, sicchè la concreta emanazione di queste ultime (o la pendenza del relativo procedimento) non integra l’elemento materiale del reato nè una sua condizione oggettiva di punibilità, ma può costituire mero indice sintomatico (possibile, ma non indispensabile) di eventuali finalità elusive sottese a trasferimenti fraudolenti o ad intestazioni fittizie di denaro, beni o altre utilità, che connotano il dolo specifico richiesto. Non a caso esso viene descritto – nella norma incriminatrice in esame – come fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali e non già le misure in concreto disposte o richieste (Sez. 2, 14 luglio 2010, a 29224, Di Rocco, rv. 248189).

4. Priva di alcun pregio è, infine, la censura mossa dal ricorrente in relazione alla contestazione del capo M). La motivazione sulla sussistenza dei gravi indizi in ordine alla detenzione di una pistola, desunti da un’intercettazione dal contenuto tutt’altro che equivoco – per come riportato nel provvedimento – è esente da vizi censurabili in questa sede.

5. In conclusione, risultando infondato in tutte le sue articolazioni, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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