Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 26-11-2010) 04-01-2011, n. 73 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza dell’8 luglio 2010, il Tribunale di Catanzaro ha respinto l’appello proposto da F.V. avverso l’ordinanza del 22 aprile 2010, con la quale il G.I.P. del medesimo Tribunale aveva rigettato la sua istanza, intesa ad ottenere la declaratoria di inefficacia del titolo custodiate emesso nei suoi confronti, ai sensi dell’art. 300 c.p.p., comma 4. 2. Il G.I.P. aveva invero applicato al F. la misura della custodia cautelare in carcere, siccome ritenuto gravemente indiziato in ordine a plurimi episodi di estorsione aggravata L. n. 203 del 1991, ex art. 7; precisamente al capo 2 erano stati contestati episodi verificatisi fino al 16 maggio 2008; al capo il gli erano stati contestati episodi verificatisi nel giugno 2000; al capo 12 gli erano stati contestati episodi di tentata estorsione aggravata verificatisi nell’anno 2003; al capo 13 gli erano stati contestati episodi di estorsione aggravata verificatisi in epoca imprecisata; al capo 23 gli erano stati contestati episodi di estorsione aggravata verificatisi nel 2006; al capo 24 gli erano stati contestati episodi di estorsione aggravata verificatisi nel 2006 ed al capo 27 gli erano stanti contestati episodi di estorsione aggravata verificatisi nel 2007.

Per tali episodi criminosi, riuniti col vincolo della continuazione, il F. era stato condannato, a seguito di giudizio abbreviato, alla pena di anni 6 e mesi 8 di reclusione.

Il Tribunale aveva ritenuto che, ai fini dell’applicazione della norma di cui all’art. 300 c.p.p., comma 4, occorreva considerare nella specie come reato più grave, siccome più risalente, la cui pena era da prendere come base per l’applicazione della continuazione, l’episodio criminoso di cui al capo 11 della rubrica, reato per il quale era stato inflitta la pena base di anni 7 di reclusione, si che la carcerazione fino a quel momento sofferta dal ricorrente, dal 5 giugno 2008 all’8 luglio 2010, era inferiore a tale pena base, con conseguente non applicabilità nei confronti dell’appellante della norma di cui all’art. 300 c.p.p., comma 4. 3. Avverso detta ordinanza del Tribunale di Catanzaro propone ricorso per cassazione F.V. per il tramite del suo difensore, che ha dedotto difetto di motivazione ed erronea applicazione della legge penale.

Secondo il ricorrente il provvedimento impugnato era inficiato dall’errore giuridico dell’avere ritenuto che il capo 18 dell’imputazione descrivesse un unico reato di estorsione protrattosi fino al 2002, mentre invece detto capo contemplava una pluralità di reati di estorsione avvinti dal vincolo della continuazione, di cui il più risalente era stato realizzato nel 1999. Trattavasi pertanto di reati riuniti dal vincolo della continuazione enunciati in un unico reato che si protraeva dall’inizio alla fine del disegno criminoso, essendo la continuazione una fictio iuris, che non faceva perdere a ciascuno dei reati inseriti nella continuazione la propria individualità giuridica. Pertanto il più risalente dei reati ascritti ad esso ricorrente era proprio l’episodio estortivo indicato al capo 18 della rubrica come commesso nel 1999 e non già quello ascritto ad esso ricorrente al capo 11 della rubrica, giacchè quest’ultimo era successivo al 1999, essendo stato commesso del 2000.

Quindi la pena base era stata determinata dal Tribunale considerando come reato più grave quello più risalente; e poichè reato più risalente doveva considerarsi il delitto di estorsione di cui al capo 18 della rubrica, siccome commesso nel 1999, ricorrevano tutte le condizioni previste nell’atto d’appello per rimettere in libertà esso ricorrente, non essendo stata emessa custodia cautelare nei suoi confronti con riferimento all’anzidetto reato di cui al capo 18 della rubrica.

Motivi della decisione

1. Il ricorso proposto da F.V. è infondato, proponendosi con esso una lettura dell’art. 300 c.p.p., comma 4 non condivisibile.

2. Ai sensi di tale ultima norma invero la custodia cautelare perde efficacia quando è pronunciata sentenza di condanna anche non definitiva, per intervenuta interposizione di impugnazione, qualora la durata della custodia già subita è superiore all’entità della pena irrogata.

E’ noto che tale norma è stata interpretata dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte, in ipotesi di più reati riuniti, come nel caso in esame, col vincolo della continuazione, facendo riferimento ai singoli reati per i quali è stata emessa la custodia cautelare, si che se per il reato per il quale è stato sofferta carcerazione preventiva, è stata inflitta una pena in aumento a titolo di continuazione, occorre far riferimento alla pena inflitta a titolo di aumento per la continuazione e non alla pena che sarebbe stata irrogata per quel reato, qualora non fosse stata riconosciuta la continuazione (cfr. Cass. SS.UU. 12 giugno 2009 n. 25956, rv.

243588).

3. Non può invero condividersi quanto ritenuto dal ricorrente, secondo il quale il reato base doveva ritenersi, nella specie, l’ipotesi estorsiva di cui al capo 18 dell’imputazione, siccome fatto più risalente nel tempo, atteso che detta ipotesi estortiva, prolungatasi dal 1998 al 2002 in danno degli imprenditori M. A. e M.S., doveva in realtà ritenersi come unico reato di estorsione consumata, in quanto in esso il pagamento dell’unico "pizzo" di L. 100 milioni era stato rateizzato lungo l’arco di tempo anzidetto, si che bisognava far riferimento al momento finale della sua commissione e, pertanto, al 2002 (cfr. pagg.

62 e segg. della sentenza emessa nei confronti dell’odierno ricorrente dal Tribunale di Catanzaro in data 8.1.10).

Il Tribunale ha pertanto correttamente ritenuto come reato base, siccome più risalente nel tempo, quello indicato al capo 11 dell’imputazione, commesso nel 2000; e poichè, con riferimento a quest’ultimo, la carcerazione preventiva sofferta dal ricorrente era stata inferiore rispetto alla pena in concreto inflitta per tale ultimo reato (anni 7 di reclusione), nella specie non ricorreva l’applicabilità della norma di cui all’art. 300 c.p.p., comma 4, in quanto la carcerazione preventiva, sofferta con riferimento anche a tale ultimo reato, si era protratta solo per anni 2, mesi 1 e giorni 1. 4. Il ricorso proposta da F.V. va pertanto respinto, con sua condanna, ex art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.

5. Occorre provvedere all’adempimento di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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