Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 24-11-2010) 04-01-2011, n. 123 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1) C.C. ha proposto ricorso avverso la sentenza 27 aprile 2009 della Corte d’Appello di Messina che ha confermato la sentenza 20 aprile 2007 del Tribunale della medesima Città che lo aveva condannato alla pena di anni uno di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa per il delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, (detenzione a fini di spaccio e cessione di piccoli quantitativi di marijuana ed hashish) con la concessione dell’attenuante prevista dal cit. D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.

A fondamento del ricorso si deduce, con il primo motivo, il vizio di mancanza di motivazione sull’eccezione di mancanza di sottoscrizione del giudice sulla sentenza di primo grado. Con il secondo motivo si deduce il medesimo vizio con riferimento alla mancanza di motivazione sull’eccezione di genericità dell’imputazione. Con il terzo motivo si deduce invece il vizio di motivazione per avere, la sentenza impugnata, ritenuto la responsabilità dell’imputato malgrado la sostanza stupefacente rinvenuta nella sua abitazione avesse una percentuale di principio attivo diversa da quella delle sostanza che si assume avere egli ceduto, nonostante il dubbio riconoscimento da parte degli acquirenti dello stupefacente e malgrado non fossero stato rinvenuto danaro in possesso di C..

Tutti questi motivi erano stati proposti con i motivi di appello aggiunti.

2) Il ricorso è infondato e deve conseguentemente essere rigettato.

Va premesso che, con i motivi di appello, erano stati dedotti due motivi di impugnazione: con il primo si contestava la responsabilità dell’imputato e si sosteneva che la sostanza trovata in suo possesso era destinata all’esclusivo uso personale; con il secondo motivo si chiedeva la concessione delle attenuanti generiche e di "ogni altro beneficio di legge".

Con i motivi di appello nuovi sono stati introdotti due temi nuovi ed estranei all’appello già proposto: la mancata sottoscrizione, da parte del giudice, della sentenza di primo grado e la genericità dell’accusa. Al contrario la terza censura contenuta nei motivi nuovi costituisce uno sviluppo del tema sulla responsabilità affrontata con il primo motivo dell’originario appello.

Ciò premesso si osserva che i due temi indicati non potevano essere proposti con i motivi di appello nuovi. Costituisce infatti principio costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità che i motivi nuovi debbano riguardare i capi o punti della sentenza già oggetto, giusta il disposto dell’art. 581, lett. a, dell’originaria impugnazione e debbano quindi limitarsi ad esporre ulteriori ragioni in diritto o in fatto (se consentito) a sostegno della medesima.

Diversamente, se fosse consentito estendere l’impugnazione a punti o capi non oggetto dell’originaria impugnazione, verrebbero elusi i termini previsti per le impugnazioni (v. in questo senso Cass., sez. 6, 20 maggio 2008 n. 27325, D’Antino, rv. 240367; sez. 1, 9 maggio 2007 n. 33662, Ballacchino, rv. 232406; sez. 5, 22 settembre 2005 n. 45725, Capacchione, rv. 233210; sez. 3, 22 gennaio 2004 n. 14776, Sbragi, rv. 228525; sez. 2, 4 novembre 2003 n. 45739, Marzullo, rv.

226977; Cass., sez. 5, 14 dicembre 1999 n. 1070, Tonduti, rv. 215669;

sez. 1, 7 maggio 1998 n. 2559, Lauro, rv. 210787; sez. un. 25 febbraio 1998 n. 4683, Bono, rv. 210259).

La Corte di merito non era quindi tenuta a rispondere alle censure contenute in questi due motivi nuovi mentre a quello riguardante la responsabilità dell’imputato ha correttamente fornito risposta come si dirà più avanti.

3) Le conclusioni di cui sopra devono naturalmente essere correlate alla natura della violazione nel senso che se si trattasse di casi di inutilizzabilità, o di nullità assolute e insanabili, il giudice dell’impugnazione sarebbe comunque tenuto ad esaminare il motivo nuovo pur avulso dai motivi originari.

Nel caso in esame non ci troviamo in presenza di alcuna di queste ipotesi. Quanto alla genericità dell’imputazione la nullità è di ordine generale (o a regime intermedio) e dunque doveva essere dedotta, come termine teorico ultimo, quanto meno nei limiti temporali di cui all’art. 180 c.p.p.; va anzi osservato che, nel procedimento davanti al giudice di pace, la nullità è stata ritenuta di natura relativa (v. Cass., sez. 5, 16 giugno 2006 n. 29933, Diano, rv. 235150).

Quanto all’altra nullità dedotta con i motivi aggiunti di appello va premesso che effettivamente ancor oggi, come questa Corte ha verificato, la sentenza di primo grado è priva della firma del giudice che l’ha pronunziata.

La giurisprudenza di legittimità, nel caso di mancanza di sottoscrizione nella sentenza, ha fornito risposte non sempre uniformi.

Nel caso di giudice collegiale si è ritenuto, in alcune decisioni, che l’omissione costituisca una mera irregolarità suscettibile di correzione dell’errore materiale ai sensi dell’art. 130 c.p.p., nel caso in cui la sentenza sia firmata dall’estensore ma non dal presidente (v. Cass., sez. 6, 9 dicembre 2009 n. 49886, Legname, rv.

245544; sez. 6, 12 maggio 2008 n. 36148, Campolo, rv. 241645; sez. 5, 28 aprile 2006 n. 19506, Guggiari, rv. 234389) ma è stato anche ritenuto che l’omissione costituisca una nullità relativa (in questo senso Cass., sez. 1, 14 ottobre 2008 n. 41000, Ruà, rv. 241432).

Nel caso opposto (firma del presidente ma non dell’estensore) è stato invece ritenuto che si verifichi una nullità insanabile (v.

Cass., sez. 5, 18 febbraio 2009 n. 17188, D’Andrea, rv. 243613) o addirittura che ci si trovi in un caso di inesistenza (v. Cass., sez. 2, 17 ottobre 2000 n. 5223, Pavani, rv. 217888).

Nel caso di provvedimenti del giudice monocratico appare invece prevalente l’orientamento che ritiene trattarsi di nullità relativa (in questo senso v. Cass., sez. 6, 19 marzo 2010 n. 23738, Cascino, rv. 247298; sez. 4, 20 maggio 2010 n. 23946, Frati, rv. 247821; sez. 1, 8 febbraio 2005 n. 9759, Gagliardi, rv. 231160) e questa sezione ritiene corretto questo orientamento, perchè la nullità in esame – pur espressamente prevista come tale (il che vale ad escludere che si tratti di inesistenza) dall’art. 546, comma 3 – non rientra in alcuna delle ipotesi di nullità di ordine generale previste dall’art. 182 c.p.p..

Ne consegue che la nullità doveva essere eccepita con l’impugnazione della sentenza che invece non affronta il tema; il che, per quanto si è già detto, precludeva anche l’esame del motivo contenuto nei motivi nuovi il cui mancato esame è dunque da ritenere legittimo.

4. Il terzo motivo di ricorso – che pure poteva essere proposto in appello con i motivi nuovi perchè ampliava un tema già proposto con l’appello originario – deve invece essere dichiarato inammissibile perchè proposto per motivi non consentiti.

Malgrado il motivi sia, nel ricorso, qualificato con il richiamo a quelli previsti dall’art. 606 c.p.p. nella sostanza le censure proposte attengono essenzialmente alla ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito laddove hanno accertato che i Carabinieri avevano visto distintamente C. mentre consegnava a due giovani due involucri poi risultati contenere sostanza stupefacente. Prive di rilievo sono dunque le censure fondate sulle dichiarazioni dei due giovani e quelle che riguardano la diversa natura delle sostanze sequestrate.

Con il ricorso si chiede, in buona sostanza, che la Corte intervenga sui criteri di valutazione della prova utilizzati dal giudice di merito; il che non è consentito al giudice di legittimità. 5) Alle considerazioni in precedenza svolte consegue il rigetto del ricorso con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Sezione Quarta Penale, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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