Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 03-11-2010) 04-01-2011, n. 13

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 16.2.2010 la Corte di appello di Torino confermava la sentenza emessa dal GIP di Torino in data 29.5.2009 di condanna del ricorrente alla pena di anni due e mesi otto di reclusione ed Euro 458,66 di multa per tentativo di rapina e furto di due autovetture. Si tratta del tentativo di una rapina in un Istituto bancario, in vista della quale erano state sottratte due vetture.

La Corte escludeva la chiesta desistenza in quanto uno dei rapinatori era già entrato nella Banca mascherato e si era ritenuto da parte degli stessi di non insistere in quanto una donna, la B.M. G., era entrata proprio in quel momento nell’Istituto vedendo l’uomo e quindi accorgendosi di ciò che stava accadendo. I rapinatori, professionisti, non avevano insistito perchè si erano accorti che la rapina avrebbe comportato ben altre conseguenze rispetto a quelle preventivate come l’intervento delle forze di polizia.

Ricorre l’imputato che con il primo motivo ribadisce la sussistenza della chiesta desistenza: gli imputati avevano volontariamente e consapevolmente deciso di non proseguire nell’azione programmata;

volontarietà non significa necessariamente spontaneità e pertanto la circostanza addotta dalla Corte per cui la rapina si sarebbe profilata più complessa dopo l’avvistamento della donna del primo rapinatore non escludeva l’applicabilità dell’art. 56, comma 3, alla fattispecie.

Inoltre (secondo motivo) la sentenza impugnata era immotivata circa la mancata esclusione della contestata recidiva, anche ai fini della comminazione di una pena correlata alla reale entità del fatto.

Motivi della decisione

Il ricorso, stante la sua manifesta infondatezza, va dichiarato inammissibile.

Circa il primo motivo la Corte Territoriale ha già ampiamente motivato sul punto ricordando che era emerso che uno dei rapinatori era già entrato nella Banca mascherato e si era ritenuto, da parte degli stessi, di non insistere in quanto una donna, la B.M. G., era entrata proprio in quel momento nell’Istituto vedendo l’uomo e quindi accorgendosi di ciò che stava accadendo. I rapinatori, professionisti, non avevano insistito perchè si erano accorti che la rapina avrebbe comportato ben altre conseguenze rispetto a quelle preventivate, come l’arrivo delle forze di polizia.

La motivazione appare del tutto congrua e logicamente coerente, richiamando l’orientamento di questa Corte secondo cui nella desistenza l’atteggiamento del soggetto di non proseguire nella commissione del reato deve essere indipendente da cause esterne che impediscano la prosecuzione dell’azione o, come nel caso in esame, la rendano molto più difficile del previsto (Cass. n. 43255/2009, Cass. n. 11865/2009, Cass. n. 46179/2005).

Per quanto riguarda il secondo motivo si è applicata la recidiva in quanto non solo il ricorrente risulta gravato da precedenti penali anche se risalenti, ma tenuto in considerazione le modalità "professionali" nella commissione del fatto di cui è processo e la commissione il 31.3.2008 di altri gravi reati, tra cui una rapina aggravata. Pertanto, anche su tale punto la motivazione della sentenza impugnata appare congrua e logicamente coerente, mentre le censure sono di merito.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle Ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di Euro mille alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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