Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 26-10-2010) 04-01-2011, n. 60 Indulto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1. Con ordinanza emessa il 13 gennaio 2009, la Corte di Appello di Palermo, in funzione di giudice dell’esecuzione, pronunciandosi sull’opposizione proposta da B.S. avverso l’ordinanza della stessa Corte che aveva respinto la sua domanda di applicazione dell’indulto sulla pena residua di anni uno, mesi tre e giorni venticinque, non compresa in precedente provvedimento che parzialmente aveva dato ingresso alla sua domanda, la rigettava.

A sostegno della decisione il giudice a quo argomentava che:

– l’istanza rigettata riguarda il residuo pena (anni uno, mesi tre e giorni venticinque di cui innanzi) da eseguire sulla complessiva sanzione inflitta dalla Corte di appello di Palermo il 4.5.2005, con sentenza divenuta irrevocabile il dì 11.4.2006, in relazione ai reati fallimentari di cui agli artt. 216, 222 e 223 commessi il (OMISSIS), epoca in cui fu dichiarato il fallimento dell’imputato;

– la stessa Corte palermitana in data 29.1.2001 ebbe a condannare il ricorrente per fatti commessi nel (OMISSIS), quindi in epoca successiva al 24.10.1989, termine ultimo fissato dal D.P.R. n. 304 del 1990 per poter godere del condono ivi previsto;

– la pena inflitta con tale ultima sentenza risulta già estinta per il positivo esperimento dell’affidamento ai servizi sociali, come da pronuncia del Tribunale di Sorveglianza del 20.2.2008, di guisa che non può allo stato dichiararsi altra estinzione di ciò che è stato dichiarato estinto non ricorrendovi interesse apprezzabile;

– rimane pertanto la pena inflitta con la sentenza della Corte di Appello di Palermo del 4.5.2005, rispetto alla quale non può provvedersi nel senso invocato dall’istante, dappoichè sussistenti, attualmente, i presupposti della revoca dell’indulto, in quanto, nel quinquennio successivo al 18.11.1988 (epoca di commissione dei delitti fallimentari) l’istante ha riportato altra condanna (quella del 20.1.2001 pronunciata sempre dalla Corte distrettuale palermitana);

– l’inclusione della pena inflitta con tale ultima sentenza di condanna nel provvedimento di cumulo reso dal Procuratore della Repubblica di Agrigento non fa venir meno il suo effetto ostativo alla concessione dell’indulto come innanzi illustrato.

2. Ricorre avverso l’ordinanza del giudice dell’esecuzione il B., con l’assistenza del suo difensore di fiducia, illustrando due motivi di impugnazione.

2.1 Col primo di essi lamenta la difesa ricorrente difetto di motivazione del gravato provvedimento, sul rilievo che l’argomentare del giudice a quo non consentirebbe la comprensione delle ragioni della decisione.

2.2 Col secondo motivo di doglianza invece denuncia la difesa istante violazione del D.P.R. 22 dicembre 1990, assumendo che:

– la sentenza di condanna alla pena di anni due e mesi sei di reclusione divenuta irrevocabile il 1.2.2002 "è stata assorbita nel provvedimento di determinazione delle pene concorrenti emesso dalla Procura della Repubblica di Agrigento il 26.6.2007, con il quale è stata rideterminata la pena complessiva di anni 4, mesi 3 e giorni 25 di reclusione ed Euro 206,58 di multa;

– la condanna ritenuta ostativa dal giudice dell’esecuzione è pertanto relativa a reato continuato, che ostativo non è se posto in relazione alla disciplina di esso (reato continuato) che impone alla Corte distrettuale di accertare il reato più grave commesso il 18.11.1988 in relazione alle successive condanne per condotte criminose meno gravi;

– la disciplina in materia di indulto non contempla alcuna ipotesi di indulto condizionato alla non commissione nel quinquennio, a far tempo dall’entrata in vigore della legge, di altro reato.

3. Il P.G. in sede ha depositato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.

4. L’impugnazione è fondata nei limiti che si passa ad esporre.

4.1 Cercando di enucleare le questioni di diritto poste dal ricorso in esame, non sempre di esemplare chiarezza espositiva, osserva la Corte che il primo motivo di ricorso si appalesa del tutto generico, dappoichè il lamentato difetto di motivazione risulta illustrato attraverso apodittiche affermazioni dei principi giurisprudenziali in materia, ma senza alcun riferimento specifico dei medesimi alla concreta fattispecie in esame.

4.2 Col secondo motivo di ricorso, viceversa, la difesa ricorrente pone due questioni giuridiche, la prima data dal rapporto tra la disciplina positiva in tema di indulto ed il provvedimento del P.M. che ha rideterminato le pene concorrenti e la seconda data dalla concedibilità o meno del beneficio dell’indulto in costanza di una causa di revoca del medesimo, nella fattispecie individuata dal giudice a quo nella condanna subita dall’istante nel quinquennio successivo alla condotta criminosa del 18.11.1988. Ciò posto la Corte osserva, quanto alla prima questione, che il provvedimento di cumulo del P.M. non ha incidenza alcuna sull’applicazione della normativa di favore e sulla individuazione di eventuali requisiti negativi alla sua applicazione, dappoichè, come da costante insegnamento di questo giudice di legittimità, là dove necessario ai fini della indicazione dei reati condonabili concorrenti con altri dalla legge dichiarati non condonabili, ovvero là dove necessario per la individuazione di requisiti ostativi all’applicazione del beneficio di legge, il cumulo va sciolto per consentire la corretta applicazione dei principi normativi (Cass., Sez. 1^, 30.4.2003, n. 35718).

Quanto, invece, alla possibilità o meno di negare l’applicazione dell’indulto in costanza di condanne intervenute successivamente a quella oggetto della normativa di favore ed integranti condizioni di revoca del beneficio stesso, osserva la Corte che non ha il giudice dell’esecuzione tenuto conto della disciplina applicabile alla fattispecie ed in particolare del D.P.R. 22 dicembre 1990, n. 394, art. 4 recante "concessione di indulto", il quale testualmente recita "Il beneficio dell’indulto è revocato di diritto se chi ne ha usufruito commette, entro cinque anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, un delitto non colposo per il quale riporti condanna a pena detentiva non inferiore a due anni". L’esplicito dettato normativo, pertanto, comporta che, in relazione alla sentenza ritenuta ostativa da parte del giudice dell’esecuzione, vada accertato se per almeno uno dei reati ivi giudicati in continuazione, vi sia stata condanna a pena superiore ad anni due, requisito questo richiesto dalla norma di riferimento per il legittimo esperimento del potere di revoca.

5. L’ordinanza impugnata va pertanto cassata al fine di rendere possibile l’esposto accertamento e la puntuale applicazione della norma innanzi citata.

P.Q.M.

la Corte annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Palermo per nuovo esame.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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