Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 20-10-2010) 04-01-2011, n. 59

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe pronunziata, con motivazione contestuale, ai sensi dell’art. 491 cod. proc. pen. prima dell’apertura del dibattimento, la Corte d’assise di Messina dichiarava la propria incompetenza per materia a conoscere del reato di promozione, direzione e organizzazione di associazione mafiosa pluriaggravata (anche dall’essere l’associazione armata), nonchè dei reati di partecipazione alla medesima organizzazione e degli ulteriori reati connessi, variamente ascritti a trentotto imputati, tra i quali Z.A.C. (imputato di partecipazione all’associazione).

Il procedimento era pervenuto alla Corte d’assise, a seguito di sentenza in data 2 febbraio 2010 del Tribunale di Patti che s’era dichiarato incompetente, in base al disposto dell’art. 5 c.p.p., lett. a).

A ragione della decisione, la Corte d’assise rilevava che nelle more, e anteriormente alla prima udienza dibattimentale, era però intervenuto il D.L. 12 febbraio 2010, n. 10, convertito con modificazioni con L. 6 aprile 2010, n. 52, prevedendo che la competenza in relazione al reato di cui all’art. 416-bis cpv. cod. pen., comunque aggravato, spettava al Tribunale e che detta disciplina si applicava anche ai procedimenti pendenti presso la Corte d’assise purchè non risultasse aperto il dibattimento.

Lo ius superveniens, espressamente attributivo di competenza, rendeva d’altro canto non esperibile, ad avviso della Corte d’assise, la procedura del conflitto giacchè questo presupponeva una situazione di "contemporaneità" che presupponeva una situazione, anche normativa, identica rispetto a quella posta a base del provvedimento declinatorio della competenza dell’altro giudice.

2. Ricorre Z.A.C. a mezzo del difensore avvocato Enzo Di Carlo.

2.1. Con il primo denunzia l’abnormità del provvedimento, affermando che la Corte d’assise di Messina non aveva il potere di dichiarare con sentenza la propria incompetenza ritenendo la competenza del Tribunale di Patti, giacchè questo con sentenza del 2.2.2010 s’era a sua volta già dichiarato incompetente indicando come competente la Corte d’assise di Messina. La Corte d’assise avrebbe dovuto semmai sollevare conflitto negativo di competenza ai sensi degli artt. 23, 28 e 29 cod. proc. pen..

2.2. Con il secondo motivo eccepisce l’illegittimità costituzionale, in riferimento all’art. 25 Cost., comma 1, del D.L. n. 10 del 2010, art. 2 conv. in L. n. 54 del 2010.

Richiamata la distinzione tra giudice naturale e giudice precostituito per legge, afferma che con la previsione denunziata nessun "nuovo" giudice naturale era stato istituito, ma il Governo aveva semplicemente distolto gli imputati dal loro giudice naturale:

in pendenza di processo e con provvedimento che non aveva natura di legge generale, risultando emesso in vista e in funzione di una serie ben determinata di processi.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile.

A norma dell’art. 568 c.p.p., comma 3, avverso le sentenze che dichiarano l’incompetenza non è ammesso ricorso, potendo le stesse dare luogo soltanto a conflitto a mente degli artt. 28 e ss. cod. proc. pen..

Il ricorso non può d’altra parte certamente essere equiparato ad una denuncia di conflitto, perchè di essa non ha alcun requisito e perchè risulta proposto quando la Corte d’assise aveva già emesso sentenza d’incompetenza, spogliandosi del processo e d’ogni potere giurisdizionale in merito, ivi compreso quello di adottare i provvedimenti di cui agli artt. 30 e 31 cod. proc. pen..

Anche la questione di legittimità costituzionale prospettata è dunque – e a prescindere da ogni rilievo sulla sua fondatezza – manifestamente inammissibile per irrilevanza, perchè ha ad oggetto norma della quale è stata fatta applicazione non sindacabile con lo strumento attivato.

Può solo aggiungersi che il provvedimento impugnato non è in alcun modo qualificabile come abnorme, giacchè al contrario correttamente considera la modifica legislativa sopravvenuta, intervenuta prima che il giudizio fosse incardinato, alla stregua di fatto nuovo capace di incidere sulla competenza. Pacifico essendo il principio che perchè possa ritenersi applicabile, a fronte dello ius superveniens modificativo della competenza, la regola della perpetuano iurisdictionis è necessario che il giudice al quale una domanda è rivolta "ne abbia iniziato concretamente la trattazione prima dell’entrata in vigore delle nuove norme" (come ricordato tra l’altro da C. cost. n. 311 del 1991).

2. All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e -per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione (C. cost. n. 186 del 2000) – di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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