Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 08-10-2010) 04-01-2011, n. 29; Revoca e sostituzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con ordinanza in data 16 aprile 2010 il Tribunale di Milano confermava in sede di appello le ordinanze in data 1 marzo 2010 del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano con le quali erano state rigettate le istanze di S.E. e S.L. tendenti ad ottenere la revoca o sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari. I due istanti erano sottoposti ad indagini in ordine a due distinti delitti di ricettazione di monili di provenienza delittuosa, commessi il primo da S.L. in concorso con S.A. e il secondo da S.E. in concorso con B.V..

Avverso la predetta ordinanza gli indagati hanno proposto, tramite il loro difensore, ricorso per cassazione deducendo la violazione di legge e il vizio della motivazione in riferimento agli artt. 274 e 275 c.p.p. nonchè all’art. 275 bis c.p.p., comma 2. In particolare i ricorrenti si dolgono che il Tribunale di Milano, nel motivare il rigetto delle istanze di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari, non abbia tenuto conto dell’accordo intervenuto tra le parti per l’applicazione di pena ex art. 444 c.p.p., subordinata alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, ritenendo di non poter prendere in considerazione fatti sopravvenuti come la richiesta di pena concordata e prevedendo invece, senza avere peraltro a disposizione tutti gli atti del processo, il rigetto dell’istanza da parte del giudice della sospensione condizionale.

Il ricorso è inammissibile perchè manifestamente infondato.

Nell’ordinanza impugnata si è dato adeguato conto dell’infondatezza delle doglianze difensive, alle quali è stata data ampia e articolata risposta. Il Tribunale ha infatti manifestato, con argomentazioni del tutto logiche, di condividere le valutazioni del giudice per le indagini preliminari il quale nel rigettare le istanze difensive aveva richiamato espressamente l’ordinanza custodiale, rispetto alla quale nessuna nuova circostanza era intervenuta a modificare il quadro cautelare, ed ha motivatamente affermato la persistenza nel caso concreto di un intenso pericolo di reiterazione della condotta criminosa, tutelabile solo con la misura carceraria.

In particolare il Tribunale ha ripercorso le indagini svolte in ordine ad una serie di furti e rapine commessi in abitazioni in cui erano coinvolti nomadi di origine slava facenti capo a S. A. (padre dei ricorrenti) e posto in rilievo l’esito delle perquisizioni da cui emergeva che i due indagati, i quali agivano nel contesto di un’attività professionalmente organizzata e altamente remunerativa, erano dediti alla compravendita di una rilevante quantità di gioielli rubati, che avevano abilmente occultato all’interno delle loro abitazioni. Nonostante la formale incensuratezza degli indagati, le allarmanti modalità del fatto così evidenziate, secondo il Tribunale, erano tali da "descrivere in termini di forte concretezza il pericolo di reiterazione del reato, amplificato dall’assenza di lecite fonti di reddito", pericolo salvaguardabile solo attraverso la misura carceraria in quanto anche la misura degli arresti domiciliari non avrebbe consentito di escludere il ripristino delle condizioni logistiche e relazionali per reiterare le condotte delittuose.

Nell’ordinanza impugnata inoltre – con riferimento alla specifica doglianza relativa al fatto sopravvenuto costituito dalla richiesta degli indagati di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p., subordinata al beneficio della sospensione condizionale, cui il pubblico ministero in data 23 marzo 2010 aveva prestato il consenso – correttamente si afferma che si tratta di circostanza del tutto nuova intervenuta successivamente all’istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere, sulla quale il giudice per le indagini preliminari si era pronunciato il 1 marzo 2010. In sede di giudizio di appello avverso provvedimenti in materia di misure cautelari personali, infatti, l’oggetto della cognizione è delimitato dai motivi e dagli elementi su cui è fondata la richiesta al giudice di prime cure e su cui questi ha deciso, sicchè il giudice di appello non può assumere a sostegno della decisione elementi acquisiti dalle parti successivamente all’adozione del provvedimento coercitivo, fatta eccezione del caso in cui l’appello sia stato proposto dal pubblico ministero avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di applicazione di una misura cautelare, atteso il mancato richiamo nell’art. 310 c.p.p. dell’art. 309 c.p.p., comma 9, che consente l’annullamento e la riforma in melius del provvedimento impugnato anche per motivi diversi da quelli enunciati – e dovendo escludersi l’applicazione analogica dell’art. 603 c.p.p. sulla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale (Cass. sez. 6^ 6 maggio 2003 n. 31477, Isola; sez. 5^ 17 maggio 2006 n. 25595, Rotolo). Peraltro nel caso di specie il Tribunale ha legittimamente osservato che allo stato, con riferimento ai presupposti per il mantenimento della misura ai sensi dell’art. 275 c.p.p., comma 2 bis, non era presumibile il riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena che postula non solo la concreta determinazione della pena nei limiti previsti dall’art. 163 c.p. ma anche una prognosi favorevole sul futuro comportamento dell’imputato, prognosi che per gli indagati non poteva esprimersi per tutti i motivi in precedenza esposti. Detta affermazione appare immune da vizi logici e giuridici in quanto la mera richiesta di applicazione di pena subordinata al beneficio della sospensione condizionale della pena, formulata dalle parti ai sensi dell’art. 444 c.p.p., non comporta il venir meno dell’esigenza cautelare, nel caso concreto ravvisata sia dal giudice per le indagini preliminari che dal Tribunale in sede di appello di appello, dovendo comunque la richiesta essere valutata dal giudice competente per il merito sia con riferimento all’entità della pena in concreto concordata, che potrebbe essere ritenuta non congrua o superare il limite previsto dall’art. 163 c.p., sia sotto il profilo dell’esito del giudizio prognostico sulla futura condotta dell’imputato.

Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno di una somma in favore della Cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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