Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 08-10-2010) 04-01-2011, n. 28; Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con ordinanza in data 15 aprile 2010 il Tribunale di Milano confermava in sede di appello l’ordinanza in data 9 marzo 2010 del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano con la quale era stata rigettata l’istanza di C.A. tendente ad ottenere la sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari. Il C. era sottoposto ad indagini in ordine ai delitti di ricettazione di un’autovettura (capo 1), di ricettazione di una carta d’identità rubata in bianco compilata con dati di una persona inesistente (capo 11) nonchè del reato continuato di ricettazione e indebito uso di carte di credito (artt. 81 , 648 c.p. e D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 55, comma 9) in relazione alle immagini "scannerizzate" di una postpay – Visa, di una carta di credito American Express risultata inesistente e di due di carte d’identità rubate in bianco (capo 12).

I reati in questione erano stati accertati nell’ambito di indagini svolte a carico del C., assistente della Polizia di Stato, a seguito della denuncia presentata dalla sua convivente per il mancato sostentamento economico e per comportamenti violenti e vessatori.

L’uomo era risultato coinvolto in una serie di condotte criminali concernenti principalmente carte di credito donate.

Avverso la predetta ordinanza il C. ha proposto, tramite il suo difensore, ricorso per cassazione deducendo l’inosservanza dell’art. 274 c.p.p. e la mancanza o illogicità della motivazione per avere il Tribunale di Milano omesso di valutare, per dar conto della persistenza di esigenze cautelari che giustificassero la misura cautelare più affittiva, la situazione attuale e concreta. In particolare nel ricorso si evidenzia che, trovandosi il C. in stato di custodia cautelare dal 12 novembre 2009 e in attesa del giudizio abbreviato (udienza fissata per l’11 maggio 2010), il pericolo per la genuinità delle indagini doveva ritenersi superato, essendo ormai concluse le indagini preliminari e non risultando che l’imputato, sospeso dal servizio e quindi impossibilitato ad accedere agli uffici o ai terminali del reparto di appartenenza, tra la (OMISSIS) (epoca cui risalivano i fatti) e il 12 novembre 2009 (inizio della custodia cautelare in carcere) avesse proseguito l’attività criminosa. Anche il pericolo di reiterazione della commissione di reati della stessa specie non poteva ritenersi fondato su elementi concreti poichè il C., il quale aveva nel frattempo ripreso la convivenza con la moglie, aveva dato segni di ravvedimento ammettendo la propria responsabilità in ordine alla ricettazione dell’autovettura.

Il ricorso è inammissibile perchè manifestamente infondato.

Va premesso che in tema di misure cautelari personali, con particolare riguardo alla applicazione con modalità meno gravose per l’interessato o alla sostituzione con altra meno grave, l’attenuazione delle esigenze cautelari non può essere desunta dal solo decorso del tempo di esecuzione della misura o dall’osservanza puntuale delle relative prescrizioni, dovendosi valutare ulteriori elementi di sicura valenza sintomatica in ordine al mutamento della situazione apprezzata all’inizio del trattamento cautelare (Cass. sez. 5^ 2 febbraio 2010 n. 16425, Iurato; sez. 2^ 8 novembre 2007 n. 45213, Lombardo; sez. 2^ 26 settembre 2007 n. 39785, Poropat; sez. 4^ 17 ottobre 2006 n. 39531, De Los Reyes; sez. 6^ 24 novembre 2003 n. 47819, Camilleri).

Nel caso in esame il giudice di merito, con argomentazioni logicamente coerenti, ha escluso la ricorrenza di significativi elementi sopravvenuti, tali da far ritenere l’attenuazione delle esigenze cautelari previste dall’art. 274 c.p.p., lett. a) e c) originariamente ravvisate nell’ordinanza applicativa della misura custodiale.

Quanto all’esigenza cautelare del pericolo di inquinamento probatorio, correttamente il giudice di merito ha infatti affermato che le esigenze connesse alla genuinità della prova permangono durante tutte le fasi del processo di merito, aggiungendo che le ammissioni, peraltro solo parziali, fatte dal C. nel corso dell’interrogatorio di garanzia non valevano ad attenuare il pericolo di inquinamento probatorio evidenziato nell’ordinanza applicativa della misura cautelare, connesso alla posizione professionale della persona sottoposta ad indagini e alle conseguenti frequentazioni che evidentemente si riteneva non escluse dalla sospensione dal servizio (il giudice per le indagini preliminari aveva posto in particolare rilievo che l’indagato, come risultava dall’annotazione di servizio in data 8 ottobre 2009, aveva chiesto ai colleghi di lavoro spiegazioni sulle indagini in corso). Il Tribunale si è quindi adeguato al consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte in tema di misure cautelari personali (Cass. sez. 6^ 11 febbraio 2010 n. 13896, Cipriani; sez. 1^ 20 gennaio 2004 n. 10347, Catanzaro) secondo il quale la valutazione del pericolo di inquinamento probatorio va effettuata con riferimento sia alle prove da acquisire, sia alle fonti di prova già individuate, a nulla rilevando il fatto che le indagini siano in stato avanzato ovvero risultino già concluse, atteso che l’esigenza di salvaguardare la genuinità della prova non si esaurisce all’atto della chiusura delle indagini preliminari.

Quanto al pericolo di reiterazione della condotta criminosa (art. 274 c.p.p., lett. c), il giudice di merito ha osservato, con argomentazione del tutto logica, che la ripresa della convivenza familiare costituiva un elemento sopravvenuto ininfluente poichè i fatti contestati non riguardavano i rapporti familiari del C., ma avevano ad oggetto "un’estesissima rete di comportamenti illegali che evidenziano la sua forte propensione all’illegalità", aggiungendo che – non risultando che il C. avesse troncato i rapporti con l’ambiente criminale nel quale, nonostante la sua qualifica professionale, aveva vissuto per anni e che avrebbero potuto spingerlo a reiterare la condotta criminosa – la misura degli arresti domiciliari, comportando solo sporadici controlli, sarebbe stata inadeguata a fronteggiare detta esigenza cautelare. Si tratta di una motivazione esauriente, che il ricorrente peraltro si limita a contestare solo genericamente.

Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000,00.

A norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, copia del presente provvedimento va trasmesso al Direttore dell’istituto penitenziario in cui il ricorrente è ristretto.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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