Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 28-09-2010) 04-01-2011, n. 143; Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1 – B.A. propone, per il tramite del difensore, ricorso avverso l’ordinanza della Corte d’Appello di Ancona, del 18 dicembre 2007, che ha respinto l’istanza, dallo stesso proposta, di riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta dal 3.8.1994 al 14.3.1996 (dal 29.6.1995 in regime di arresti domiciliari) nell’ambito di procedimento penale che lo ha visto destinatario di ordinanza restrittiva in quanto imputato di plurime condotte ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73. Fatti per i quali è intervenuta sentenza assolutoria del Tribunale di Fermo.

I giudici della riparazione sono pervenuti alla decisione di rigetto dell’istanza riparatoria, avendo ravvisato profili di colpa grave nella condotta dell’istante in relazione al ritenuto inserimento dello stesso "nel contesto ambientale facente capo al circuito distributivo degli stupefacenti", tanto da apparire quale soggetto referente di tale circuito, ad esso collaterale o, quantomeno, connivente. In considerazione di tali emergenze, dunque, la Corte territoriale ha ritenuto che l’odierno ricorrente, con la richiamata condotta, avesse concorso a dar causa alla misura custodiale per colpa grave, costituente causa impeditiva al riconoscimento del diritto all’indennizzo.

Avverso tale decisione ricorre, dunque, il B. che deduce violazione dell’art. 314 c.p.p. e vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata in ordine alla ritenuta sussistenza di detto presupposto.

L’Avvocatura Generale dello Stato, ritualmente costituitasi per il Ministero dell’Economia e delle Finanze, chiede dichiararsi inammissibile, ovvero rigettarsi il ricorso.

2 – Il ricorso è fondato.

In tema di riparazione per ingiusta detenzione, con riguardo all’an debeatur, questa Corte ha affermato che il giudice di merito deve verificare se chi l’ha patita vi abbia dato causa, ovvero vi abbia concorso, con dolo o colpa grave. A tal fine egli deve prendere in esame tutti gli elementi probatori disponibili, relativi alla condotta del soggetto, sia precedente che successiva alla perdita della libertà, al fine di stabilire se tale condotta abbia, o meno, determinato, ovvero anche contribuito alla formazione di un quadro indiziario che ha provocato l’adozione o la conferma del provvedimento restrittivo. Di guisa che non ha diritto all’equa riparazione per la custodia cautelare sofferta chi, con il proprio comportamento, anteriore o successivo alla privazione della libertà personale (o, in generale, a quello della legale conoscenza di un procedimento penale a suo carico), abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave. Viceversa, l’indennizzo deve essere accordato a chi, ingiustamente sottoposto a provvedimento restrittivo, non sia stato colto in comportamenti di tal genere.

Ovviamente, nell’un caso e nell’altro, il giudice deve valutare attentamente la condotta del soggetto, indicare i comportamenti esaminati e dare congrua e coerente motivazione delle ragioni per le quali egli ha ritenuto che essi debbano, ovvero non debbano, ritenersi come fattori condizionanti e sinergici rispetto all’adozione del provvedimento restrittivo. Condotte di tal genere possono essere di tipo extra processuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione del provvedimento restrittivo) o di tipo processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal giudice della cognizione.

Orbene, nel caso di specie la Corte distrettuale non si è attenuta a tali principi, avendo, con motivazione inadeguata e logicamente censurabile, individuato la colpa grave del ricorrente, ostativa all’accoglimento dell’istanza di indennizzo, in comportamenti che tuttavia, nei termini in cui sono stati illustrati, non si presentano significativi.

In particolare, la circostanza che, secondo i giudici della riparazione, indicherebbe l’inserimento del B. nel "circuito distributivo degli stupefacenti", e quindi la sua connivenza e collateralità a tale circuito – cioè, il ripetuto rifiuto dell’odierno ricorrente di accedere alle richieste di tale T. di cedergli dosi di stupefacente – si presenta, nei termini in cui è stato richiamato, del tutto privo di rilievo nei termini ritenuti dalla Corte territoriale; se non addirittura in contrasto con la tesi della collateralità o connivenza, ove si consideri che l’inserimento del B. nel richiamato circuito e la ritenuta sua posizione di referente di tale contesto criminale, non lo avrebbe certo indotto a respingere, bensì ad accogliere, le richieste del T.. I giudici della riparazione, peraltro, non hanno valutato la condotta, ritenuta gravemente colpevole del B., alla luce della condizione dello stesso di tossicodipendente che potrebbe, in ipotesi, anche giustificare quelle condotte, interpretate come manifestazioni di collateralità e connivenza rispetto al richiamato circuito distributivo.

L’ordinanza impugnata, dunque, presenta una motivazione illogica e non in linea con i principi di diritto elaborati da questa Corte, di guisa che essa deve essere annullata, con rinvio, per nuovo esame, alla Corte d’Appello di Ancona.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata, con rinvio alla Corte d’Appello di Ancona.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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