Cass. civ. Sez. I, Sent., 21-01-2011, n. 1489

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Svolgimento del processo

Con il decreto impugnato, depositato il 14 giugno 2007, la corte d’appello di Salerno ha rigettato la domanda di equa riparazione proposta da M.E., in relazione alla durata irragionevole del giudizio civile promosso avanti al Tribunale di Lamezia Terme, iniziato con atto di citazione notificato il 19/10/83, con prima udienza al 17/1/84, e deciso con sentenza depositata il 2/7/05, e quindi durato anni 21 mesi 8 e gg. 13, rilevando che vi erano stati gli intervalli specificati, su rinvio delle parti oppure di una sola parte, con la piena adesione dell’altra ovvero con mancata espressa opposizione dell’una o dell’altra parte all’entità del rinvio, per un totale di 3485 gg, pari ad anni 9, mesi 8 e gg.

20, così riducendosi la durata attribuibile all’Amministrazione, ad anni 1, mesi 8 e gg. 23; per cui, detratto il periodo di ragionevole durata di anni 3, il ritardo era quantificabile in anni 8, mesi 11 e gg. 23, come tale inferiore alla durata determinata dalla condotta processuale diretta della parte ricorrente, per cui, in una valutazione complessiva, la corte territoriale ha concluso per la insussistenza nel caso della violazione dell’art. 6 della CEDU, risultando imputabile alla parte, e soprattutto alle scelte processuali della stessa, di richieste di rinvii, spesso motivate dalla finalità di compiere attività manifestamente inutili, un lasso temporale maggiore di quello attribuibile all’Amministrazione.

La corte territoriale ha ulteriormente aggiunto che gli anni necessari per produrre documentazione a sostegno dell’opposizione a decreto ingiuntivo, e che quindi integrava eccezione in senso stretto, erano stati impiegati per depositare uno scritto non riconducibile alla fattispecie di prova della transazione asseritamente intervenuta e comunque non rispettata, con ciò denotandosi un atteggiamento complessivo di disinteresse, idoneo ad escludere la stessa possibilità della sofferenza della parte.

Propone ricorso per cassazione la M., sulla base di un solo motivo.

Il Ministero resiste con controricorso.

Motivi della decisione

1.1. Con l’unico motivo di ricorso, la ricorrente sostiene la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione alla L. n. 89 del 1991, art. 2 ed agli artt. 1226, 2056 e 2059 c.c., ed all’art. 6, par. 1 e art. 13 della CEDU, per avere la corte territoriale ignorato i principi ed i parametri dettati dalla giurisprudenza comunitaria e del S.C., ponendo a base della decisione "una motivazione del tutto tautologica ed assiomatica", detraendo del tutto illegittimamente dal calcolo risarcitorio il periodo attribuibile alla volontà delle parti e comunque non valutando ai fini risarcitori il periodo considerevole di quasi nove anni.

1.2 – Il Ministero ha opposto l’inammissibilità del ricorso perchè tendente a far valere censure di merito, e per genericità del motivo; in sede di conclusioni, il P.G., ha sollevato una duplice questione di legittimità costituzionale e nel merito, ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

2.1.- Devono essere in primis valutate l’ammissibilità e la fondatezza del ricorso, potendo rilevare la valutazione delle questioni di costituzionalità sotto il profilo della non manifesta infondatezza, solo ove avesse esito positivo la prima verifica sopra indicata, per l’evidente irrilevanza della questione di costituzionalità nel caso di inammissibilità o rigetto del ricorso nel merito.

2.2.- Tanto premesso, si deve evidenziare la palese carenza di collegamento in senso logico-giuridico, tra la motivazione del decreto reiettivo emesso dalla corte d’appello di Salerno e le censure fatte valere dalla ricorrente nel motivo, nonchè tra le censure ed il quesito di diritto articolato in una veste di carattere generale ed in particolare.

Ed invero, la corte territoriale, avuto riguardo alla durata del giudizio eccedente il termine ragionevole di tre anni, ha posto a fondamento della decisione reiettiva della domanda della M. l’addebitabilità alla stessa, ed in particolare alla scelta processuale di richiesta di rinvii spesso motivate dalla finalità di compiere attività manifestamente inutili, di periodo nel complesso maggiore di quello addebitabile all’Amministrazione; ha altresì evidenziato che erano stati impiegati anni per produrre documentazione non integrante prova della transazione, per concludere nel senso che la condotta tenuta dalla parte induceva a ritenere che la stessa si fosse disinteressata del giudizio, tanto da escludere la stessa possibilità che la parte avesse potuto provare sofferenza a ragione della durata irragionevole del processo.

Nel motivo fatto valere, la M. si duole del mancato rispetto da parte della corte territoriale della liquidazione del quantum secondo i parametri della CEDU e le sentenze del S.C., per poi dolersi della esclusione dal calcolo risarcitorio del periodo addebitabile alla parte e concludere che, anche ad operare detta detrazione, la corte d’appello ha finito per non considerare il periodo di quasi nove anni: orbene, le censure non sono indirizzate nei confronti della ratio decidendi addotta dalla corte d’appello addirittura i rilievi di cui alle pagine 2-5 del ricorso sono completamente disancorati dalla decisione del giudice a quo; inoltre, il quesito di diritto, nelle due articolazioni fatte valere, è conferente rispetto alla prima argomentazione della parte, che si è visto essere estranea alla "ratio decidendi" del decreto impugnato, e del tutto inconferente rispetto alla seconda prospettazione, che a sua volta peraltro non coglie nel segno della specifica motivazione del decreto (sull’onere della parte di formulare,ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile "ratione temporis", a pena di inammissibilità, il quesito di diritto, che deve consistere in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in modo tale per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame, si richiamano Cass. S.U., 20360/2007, e la successiva ordinanza 2658 del 2008, nonchè la sentenza 20360/2007).

Va pertanto dichiarata l’inammissibilità del ricorso; le questioni di costituzionalità sono da ritenersi pertanto prive di rilevanza.

Le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente in favore del Ministero alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1500,00, oltre le spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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