Corte Costituzionale, Sentenza n. 21 del 2012, In materia di confisca dei beni dell’indiziato di reato di associazione di stampo mafioso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 7 del 15-2-2012

Sentenza

nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’articolo 2-ter,
undicesimo comma, della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni
contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere),
promosso dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nel procedimento
penale a carico di D.M.T. ed altri con ordinanza del 3 marzo 2011,
iscritta al n. 178 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale,
dell’anno 2011.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri.
Udito nella camera di consiglio del 14 dicembre 2011 il Giudice
relatore Giorgio Lattanzi.

Ritenuto in fatto

1. – Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, seconda sezione
penale, con ordinanza del 3 marzo 2011 (r.o. n. 178 del 2011) ha
sollevato, per violazione degli articoli 24, primo e secondo comma, e
111 della Costituzione, questione di legittimita’ costituzionale
dell’articolo 2-ter, undicesimo comma, della legge 31 maggio 1965, n.
575 (Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso,
anche straniere).
1.1. – Il Tribunale rimettente premette di essere stato investito
della proposta depositata il 30 settembre 2009 con la quale il
pubblico ministero presso il Tribunale di Napoli – Direzione
distrettuale antimafia faceva istanza di sequestro e di successiva
confisca, a norma dell’art. 2-ter, undicesimo comma, della legge n.
575 del 1965, dei beni nella disponibilita’ di una persona deceduta
il 3 novembre 2004. Il pubblico ministero aveva individuato, quali
soggetti nei cui confronti avanzare la proposta, i successori a
titolo universale del defunto, avverso il quale si era proceduto
dinanzi alla Corte di assise del Tribunale di Santa Maria Capua
Vetere per il delitto previsto dall’art. 416-bis del codice penale;
il procedimento era stato definito con sentenza di estinzione del
reato per morte del reo, pronunciata il 15 settembre 2005. La Corte
di assise aveva rilevato che il decesso si era verificato dopo la
formulazione delle conclusioni da parte del pubblico ministero e che
non poteva trovare applicazione la previsione dell’art. 129, comma 2,
del codice di procedura penale, non essendo emersa dagli atti
l’evidenza di una situazione probatoria idonea a giustificare un
proscioglimento nel merito; l’istruttoria aveva raffigurato,
attraverso numerose dichiarazioni provenienti da collaboratori,
verifiche documentali ed intercettazioni telefoniche, l’esistenza di
uno stabile rapporto tra l’imputato e l’organizzazione criminale,
specie nel reimpiego di capitali di provenienza illecita. Nell’ottica
del pubblico ministero proponente, gli elementi emersi nel corso del
dibattimento svoltosi dinanzi alla corte di assise consentivano
l’attivazione del procedimento di prevenzione patrimoniale,
trattandosi di nuovi elementi non valutati in un precedente
procedimento definito con decreto della Corte di appello di Napoli
del 24 ottobre 2001 (confermato dalla Corte di cassazione), che aveva
rigettato la proposta per carenza del presupposto soggettivo di cui
all’art. 1 della legge n. 575 del 1965. Quanto al profilo
patrimoniale, il pubblico ministero aveva rilevato un’evidente
sproporzione tra il reddito dichiarato e l’attivita’ economica
svolta, da un lato, e gli ingenti investimenti realizzati in vita,
dall’altro; sproporzione gia’ compiutamente riscontrata, nel processo
penale, in sede di sequestro preventivo dei beni ex art. 12-sexies
del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con
modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, nonche’ attraverso
le perizie disposte dalla corte di assise, che avevano consentito di
individuare e stimare lo stato patrimoniale dell’imputato e di
verificarne l’incompatibilita’ con la capacita’ reddituale.
1.2. – Il tribunale rimettente da’ quindi atto di avere disposto
il sequestro anticipato dei beni gia’ nella disponibilita’ del
defunto e di avere fissato l’udienza per la trattazione in camera di
consiglio, integrando il contraddittorio con i successori dello
stesso a titolo universale. I difensori di costoro avevano contestato
la sussistenza dei presupposti normativi posti a base del sequestro
e, richiamate alcune pronunce della Corte di cassazione e della Corte
europea dei diritti dell’uomo, avevano dedotto «il contrasto della
procedura con il principio costituzionale del "giusto processo", in
quanto implicante un accertamento incidentale della "responsabilita’
di prevenzione di un soggetto deceduto impossibilitato a difendersi
rispetto alle accuse che gli verrebbero mosse", sia per la ontologica
inesistenza del soggetto stesso, sia per la carenza di un sistema di
rappresentanza che sia effettivo e plausibile».
1.3. – Anche alla luce delle argomentazioni difensive, il
Tribunale ritiene che la disciplina dettata dall’art. 2-ter,
undicesimo comma, della legge n. 575 del 1965 presenti profili di
contrasto con i principi costituzionali del diritto di difesa e del
giusto processo.
Il rimettente ripercorre l’evoluzione normativa e
giurisprudenziale sul rapporto tra misure di prevenzione personali e
patrimoniali, prendendo le mosse dalla precedente formulazione
dell’art. 2-ter citato, che contemplava un rapporto di
pregiudizialita’ tra le prime e le seconde, e ricorda che l’esigenza
di attenuare il vincolo di stretta pregiudizialita’ tra la misura di
prevenzione personale e quella patrimoniale e’ stata avvertita dalla
giurisprudenza di legittimita’ in relazione alle ipotesi di
sopravvenuta morte della persona pericolosa o di cessazione della
preesistente pericolosita’ sociale. Il rimettente richiama, in
particolare, l’orientamento espresso dalla sentenza delle sezioni
unite della Corte di cassazione n. 18 del 3 luglio 1996, secondo cui
la confisca dei beni rientranti nella disponibilita’ di una persona
proposta per l’applicazione di una misura di prevenzione personale,
una volta che siano rimasti accertati i presupposti di pericolosita’
qualificata della stessa, nel senso della sua appartenenza a
un’associazione di tipo mafioso, e di indimostrata provenienza
legittima dei beni confiscati, non viene meno a seguito della morte
del proposto, intervenuta prima della definitivita’ del provvedimento
di prevenzione. In tale prospettiva, osserva ancora il rimettente, la
giurisprudenza di legittimita’ ha ritenuto che il procedimento di
prevenzione patrimoniale possa essere anche iniziato in seguito alla
cessazione degli effetti dell’applicazione della misura di
prevenzione personale.
L’elaborazione giurisprudenziale richiamata avrebbe trovato
l’avallo della disciplina positiva, visto che «non sempre la misura
patrimoniale seguiva o affiancava quella personale» (art. 2-ter,
settimo e ottavo comma, della legge n. 575 del 1965) e la prospettiva
tesa all’attenuazione del vincolo di pregiudizialita’ tra misura di
prevenzione personale e patrimoniale sarebbe stata recepita dal
legislatore con l’introduzione del comma 6-bis dell’art. 2-bis e
dell’undicesimo comma dell’art. 2-ter della legge n. 575 del 1965,
previsioni queste che hanno accentuato «la tendenza alla
oggettivizzazione del procedimento patrimoniale antimafia».
Nonostante tale tendenza, sottolinea il rimettente, «il vigente
sistema legislativo postula pur sempre un indefettibile collegamento
con il profilo personale del soggetto cui e’ riferibile la proposta
di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale, nel senso
che l’ambito di applicazione del sequestro e della confisca di
prevenzione deve intendersi limitato solo nei confronti del
patrimonio dei soggetti indiziati di cui all’art. 1 della l. 575/65»;
l’accertamento del presupposto soggettivo rappresenterebbe un
passaggio obbligato per disporre la confisca prevista dall’art. 2-ter
e «tale preventiva valutazione, sia pure in via incidentale, si
impone – alla luce del vigente sistema legislativo – pur nella
ipotesi prevista dall’art. 2-ter, undicesimo comma, in cui la
proposta di confisca venga formulata nei confronti di un soggetto
gia’ deceduto (entro il limite di cinque anni dal decesso)». Con la
possibilita’ di attivare la procedura prevista dall’art. 2-ter della
legge n. 575 del 1965 anche nelle ipotesi in cui nei confronti del
soggetto deceduto non vi sia stato, in costanza di vita, «un
accertamento definitivo – in sede di prevenzione ovvero in sede
penale – della pericolosita’ sociale derivante dalla appartenenza ad
un sodalizio mafioso», si determinerebbe, ad avviso del rimettente,
«una concreta lesione del diritto di difesa e del principio del
giusto processo, apparendo evidente che nell’ipotesi di soggetto gia’
deceduto la valutazione del presupposto soggettivo di cui all’art. 1
della legge 575/1965 verrebbe di fatto operata senza che sia
possibile instaurare il contraddittorio con il soggetto cui tale
qualifica e’ attribuita».
1.4. – Richiamata la giurisprudenza costituzionale che ha
chiarito alcuni concetti essenziali del sistema delle misure di
prevenzione, quali quello di pericolosita’ sociale, il rimettente si
sofferma sulla sentenza n. 335 del 1996 di questa Corte, che ha
ribadito la compatibilita’ con gli artt. 3, 42 e 112 Cost. del
sistema delle misure di prevenzione (all’epoca connotato da una
scelta normativa radicalmente opposta a quella perseguita nel 2008)
proprio in quanto «il legislatore era rimasto fermo nel richiedere,
per l’emanazione dei provvedimenti di sequestro e confisca, un
collegamento tra la cautela patrimoniale e l’esistenza di soggetti
individuati, da ritenere pericolosi»; aggiunge che il tema era stato
nuovamente preso in esame dall’ordinanza n. 368 del 2004, con la
precisazione che «il sistema rimaneva ancorato al principio per cui
le misure patrimoniali presuppongono necessariamente un rapporto tra
beni di cui non sia provata la legittima provenienza e soggetti
portatori di pericolosita’ sociale che ne dispongano».
Richiamata la configurazione della confisca dei beni rientranti
nella disponibilita’ di un soggetto proposto per l’applicazione di
una misura di prevenzione personale delineata dalla sentenza delle
Sezioni unite della Corte di cassazione n. 18 del 1996, il rimettente
sottolinea che la tesi della natura autonoma della confisca avrebbe
poi trovato un preciso riscontro nelle modificazioni introdotte dalla
legge 19 marzo 1990, n. 55, che ha sancito l’autonomia del
procedimento penale e del procedimento di prevenzione e
l’applicabilita’ della confisca anche in caso di assenza, residenza o
dimora all’estero della persona alla quale potrebbe applicarsi la
misura di prevenzione, ancorche’ il relativo procedimento di
prevenzione non sia ancora iniziato. Con la sentenza n. 335 del 1996
la Corte costituzionale aveva gia’ rilevato che «nel caso
dell’assenza e della residenza o della dimora all’estero, la
pronuncia della misura patrimoniale presuppone comunque una
valutazione di pericolosita’ della persona», mentre in altri casi «la
misura di prevenzione personale e’, per cosi’ dire, resa superflua o
assorbita da altre misure gia’ in atto, come le misure di sicurezza,
che presuppongono anch’esse una valutazione di pericolosita’ della
persona. In altri ancora, la pericolosita’ viene dalla legge desunta
dall’esistenza di indizi di situazioni personali, anche penalmente
rilevanti, di particolare gravita’. E, infine, vi sono ipotesi in cui
la rilevanza della pericolosita’ soggettiva e’ non abolita ma, per
cosi’ dire, spostata da chi ha la disponibilita’ economica dei beni a
chi dal loro impiego viene avvantaggiato nella propria attivita’
criminosa». In nessuna di tali fattispecie, osserva il rimettente, si
rileva la «pretermissione, originaria e presupposta, del
contraddittorio con il proposto sia in ordine ai profili personali
che patrimoniali del giudizio»; in tutti i casi indicati, infatti, e
a differenza del caso oggetto del giudizio a quo, «il proposto e’
messo nella condizione di scegliere liberamente se e come difendersi
(partecipando personalmente, nelle forme del rito di prevenzione,
ovvero a mezzo di difensore di fiducia o di ufficio) e fruisce
comunque della garanzia dell’assistenza tecnica, anche qualora non
possa o non voglia essere presente alle udienze».
La citata pronuncia delle sezioni unite della Corte di cassazione
n. 18 del 1996, ad avviso del rimettente, da un lato, non avrebbe
considerato le eventuali problematiche, relative alla corretta
instaurazione del contraddittorio e alla tutela del diritto di
difesa, originate dal decesso del proposto e, dall’altro, avrebbe
continuato a pretendere, ai fini della confisca, un vero e proprio
accertamento dei presupposti personali e patrimoniali richiesti dalla
legge antimafia e, parallelamente, la mancata dimostrazione della
legittima provenienza dei beni.
Proseguendo nella ricostruzione del quadro normativo e
giurisprudenziale, il rimettente richiama la sentenza n. 368 del 2004
di questa Corte, che, pronunciandosi sulla questione relativa al
rapporto tra misure di prevenzione personali e misure di prevenzione
patrimoniali, avrebbe escluso un rapporto di completa autonomia tra
le stesse, affermando che un intervento volto a rendere possibile
l’applicazione della confisca in caso di contestuale rigetto della
richiesta di una misura di prevenzione personale per mancanza del
requisito della pericolosita’ sociale si tradurrebbe in una
innovazione conseguente a una scelta di politica criminale di
esclusiva spettanza del legislatore.
In questo quadro sono intervenute le riforme di cui al
decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni,
dalla legge 24 luglio 2008, n. 125 e, successivamente, alla legge 15
luglio 2009, n. 94. Quanto alla riforma del 2008, la seconda parte
del novellato comma 6-bis dell’art. 2-bis della legge n. 575 del 1965
va coordinata con la previsione contenuta nel nuovo comma undicesimo
dell’art. 2-ter della medesima legge, che stabilisce un limite
temporale massimo di cinque anni, decorrente dal decesso, entro il
quale e’ possibile attivare il procedimento per l’applicazione della
misura patrimoniale nei confronti dei successori a titolo universale
o particolare. Osserva al riguardo il rimettente che «il ricorso
sempre piu’ incisivo agli strumenti di ablazione patrimoniale, li ha
resi progressivamente assimilabili all’actio in rem ispirata ad un
concetto di pericolosita’ in se’ del bene, in quanto proveniente da
delitto, piuttosto che di pericolosita’ della persona, potendosi
anche prescindere – alla stregua delle evoluzioni giurisprudenziali
poi consacrate in norma di legge – dall’esistenza in vita del
soggetto attinto dalla misura prima della conclusione del
procedimento prevenzionale, che potra’ spiegare i suoi effetti anche
in danno degli eredi». La legge n. 94 del 2009, continua il
rimettente, e’ intervenuta nuovamente sull’art. 2-bis della legge n.
575 del 1965 al fine di prevedere che le misure di prevenzione
patrimoniali possano essere richieste e applicate «indipendentemente
dalla pericolosita’ sociale del soggetto proposto per la loro
applicazione al momento della richiesta della misura di prevenzione».
Ad avviso del rimettente, un’interpretazione letterale di tale inciso
potrebbe indurre a ritenere che il legislatore abbia inteso
prescindere dall’accertamento della pericolosita’ sociale del
soggetto attinto dalla confisca, il che porrebbe rilevanti problemi
di compatibilita’ con i principi costituzionali di cui agli artt. 27,
41 e 42 Cost.; si e’ pertanto proposta una lettura costituzionalmente
orientata della norma, per cui «la misura di prevenzione patrimoniale
deve ritenersi applicabile non soltanto nei casi normativamente
previsti, ma pure in ulteriori ipotesi in cui la misura personale,
pur in presenza di un individuo pericoloso, o che e’ stato a suo
tempo pericoloso, non puo’ essere irrogata, per il ravvisato difetto
di attualita’ della pericolosita’ sociale ovvero perche’ sia cessata
l’esecuzione della misura personale medesima». Se, dunque, secondo
l’elaborazione giurisprudenziale prevalente, nel giudizio finalizzato
alla confisca di prevenzione non si puo’ prescindere da un vaglio –
sia pure incidentale – sulla pericolosita’ del soggetto proposto, si
pone, ad avviso del rimettente, un problema di compatibilita’ delle
moderne sanzioni patrimoniali con alcuni fondamentali principi
costituzionali, soprattutto in considerazione del "nuovo" art. 111
Cost., che ha cristallizzato i principi del giusto processo, tra i
quali il contraddittorio e la parita’ delle armi tra le parti. Ad
avviso del rimettente, la sopravvenienza della fondamentale
disposizione dell’art. 111 Cost. e della possibilita’ di agire con le
misure di prevenzione patrimoniali nei confronti dei successori del
de cuius pericoloso impone un vaglio sulla compatibilita’ del nuovo
assetto della prevenzione patrimoniale disciplinato dal legislatore
del 2008 e del 2009 con i principi costituzionali indicati, un vaglio
da effettuare anche alla luce della giurisprudenza della Corte
europea dei diritti dell’uomo, che ha riconosciuto la conformita’
della confisca antimafia prevista dalla legislazione italiana in
quanto disposta sulla base di un procedimento qualificabile come
pienamente giurisdizionale.
La possibilita’ di assicurare la partecipazione personale
dell’interessato al giudizio riveste, secondo il tribunale
rimettente, un’indiscutibile importanza, sia dal punto di vista della
salvaguardia dei diritti della persona da giudicare, sia da quello,
oggettivo, della legalita’ della procedura rispetto alle posizioni
delle parti: sotto il primo profilo, la partecipazione costituisce
«una condizione essenziale per l’esplicazione dei diritti che
competono al soggetto in quanto contraddittore», mentre sotto il
secondo profilo «puo’ dirsi che sia la stessa definizione
costituzionale del processo (di qualsiasi processo, alla stregua del
dato testuale dell’articolo 111 della Costituzione) come
contraddittorio a determinare l’essenzialita’ della possibile
partecipazione del soggetto in ipotesi qualificabile come portatore
di pericolosita’ personale in quanto momento di realizzazione di una
situazione processuale giuridicamente rilevante». Ribadito che in
ogni processo la presenza fisica dell’interessato (o almeno la
possibilita’ astratta di partecipare) costituisce momento
fondamentale del rapporto processuale, che condiziona la correttezza
del giudizio, il rimettente richiama l’orientamento della Corte
europea dei diritti dell’uomo secondo cui il principio della parita’
delle armi postula la possibilita’ per ciascuna parte di presentare
la sua causa in condizioni tali da non trovarsi in posizione di
svantaggio rispetto all’altra parte.
Anche alla luce dell’art. 14, comma 3, lettera d), del Patto
internazionale relativo ai diritti civili e politici adottato a New
York il 16 dicembre 1966 (ratificato e reso esecutivo con legge del
25 ottobre 1977, n. 881) e della Raccomandazione n. 11 adottata il 21
maggio 1975 dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, il
rimettente ritiene evidente, nel caso in esame, l’inosservanza dei
principi indicati, atteso che «il legislatore ha costruito la
fattispecie prescindendo dalla posizione del de cuius pericoloso e
ritenendo integrato il contraddittorio formale nei confronti dei suoi
successori a titolo universale o particolare»; al contrario, «posta
la correlazione tra presenza nel giudizio e possibilita’ di
autodifesa, la compressione di tale modalita’ difensiva determinata
dall’impossibilita’ oggettiva dell’imputato di partecipazione al
giudizio presenta profili di incompatibilita’ con i principi minimi
del contraddittorio, dal momento che – libero il proposto in vita di
difendersi avvalendosi dell’attivita’ tecnica di un difensore o di
non difendersi affatto – tale liberta’ risulta vistosamente compressa
nel caso della impossibilita’ materiale di essere presente».
Richiamate alcune decisioni della Corte EDU sull’art. 6 della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
liberta’ fondamentali (ratificata e resa esecutiva con la legge 4
agosto 1955, n. 848), nonche’ la sentenza n. 93 del 2010 di questa
Corte e la sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione n.
13426 del 25 marzo 2010 sulla inutilizzabilita’, nel giudizio di
prevenzione, delle intercettazioni dichiarate inutilizzabili nel
giudizio penale di cognizione, il rimettente osserva che nel caso in
esame, esclusa la possibilita’ di una partecipazione personale del
soggetto qualificabile come portatore di pericolosita’ ai sensi
dell’art. 1 della legge n. 575 del 1965, neppure sarebbe ipotizzabile
un contraddittorio con un eventuale difensore del de cuius, in
quanto, da una parte, l’art. 2-ter, undicesimo comma, della legge
citata contempla solo i successori come soggetti nei cui confronti
avanzare la proposta di confisca di prevenzione e, dall’altra,
l’ordinamento non prevede tale evenienza, comportando la morte
dell’interessato l’immediata estinzione del rapporto processuale. Ne’
sarebbe praticabile una via alternativa alla questione di
legittimita’ costituzionale, ritenendo sufficiente, ai fini del
vaglio incidentale sulla pericolosita’ del de cuius, il «materiale
istruttorio» raccolto, in contraddittorio, nell’ambito di un
procedimento gia’ svoltosi nei confronti del proposto, poi deceduto,
per reati dai quali sia possibile desumere la sua qualita’ di
indiziato ai sensi dell’art. 1 della legge n. 575 del 1965: tale
soluzione, «soprattutto nelle ipotesi, come quella in esame, in cui
non si sia formato un accertamento di merito sulla pericolosita’ del
soggetto, non appare soddisfacente proprio sotto il profilo del
diritto di difesa e del principio del contraddittorio e della parita’
delle armi, sanciti dagli articoli 24 e 111 della Costituzione». La
soluzione prospettata, infatti, prescinde dalla «possibilita’ che il
soggetto nei cui confronti si formula pur sempre un giudizio di
pericolosita’ (ma anche di disponibilita’, sproporzione ed illecita
provenienza dei beni) si difenda sul punto in quella che e’ la sede
propria dell’accertamento», ossia nel procedimento di prevenzione
instaurato dopo la morte e in relazione alle sue finalita’
specifiche. L’esigenza di difesa non sarebbe adeguatamente
soddisfatta dall’instaurazione del contraddittorio con i successori a
titolo universale o particolare, apparendo la norma censurata dettata
piu’ al fine di consentire l’instaurazione del procedimento, che non
a quello di assicurare un valido ed effettivo contraddittorio su
ciascuna delle valutazioni demandate al giudice. Ad avviso del
rimettente, infatti, «mal si comprende come potrebbero i successori
difendersi efficacemente (e non ricoprire soltanto un ruolo formale
di parte processuale) su vicende che hanno coinvolto il loro
ascendente e delle quali potrebbero non essere a conoscenza». In
secondo luogo, «non appare convincente utilizzare, in assenza di
reale contraddittorio, gli esiti probatori di un diverso
procedimento, svoltosi in costanza di vita del soggetto, nel giudizio
di prevenzione instaurato post mortem»: osserva al riguardo il
rimettente che nel processo penale e’ possibile acquisire e valutare,
entro i limiti dell’art. 192 cod. proc. pen., le sentenze
irrevocabili rese in altro giudizio e i verbali di prove di altro
procedimento penale, ma cio’ avviene «nell’ambito di due giudizi
omogenei» e l’acquisizione e l’utilizzabilita’ sono valutate nel
pieno contraddittorio tra le parti e, quindi, nel rispetto dei
diritti di difesa e del principio del contraddittorio e del giusto
processo.
2. – E’ intervenuto nel giudizio di costituzionalita’ il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto la declaratoria
di infondatezza della questione, osservando che con il principio
dell’applicazione disgiunta delle misure di prevenzione introdotto
dal decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con
modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125 e successivamente
rafforzato dalla legge 15 luglio 2009, n. 94, il legislatore ha
riconosciuto la reciproca autonomia tra misure di prevenzione
personali e patrimoniali: di conseguenza, «il sopravvenuto decesso
del prevenuto – una volta che siano rimasti accertati i due
presupposti della pericolosita’ qualificata e dell’indimostrata
provenienza legittima dei beni oggetto di confisca – non fa venir
meno la misura patrimoniale che risponde all’esigenza di scongiurare
il rischio che i suddetti beni, lasciati nella libera disponibilita’
degli eredi, possano divenire fonte potenziale di ulteriori attivita’
illecite». Richiamata la sentenza delle sezioni unite della Corte di
cassazione n. 18 del 1996, l’Avvocatura dello Stato rileva che il
nuovo assetto della prevenzione patrimoniale disciplinato dal
legislatore del 2008 e del 2009 non e’ lesivo del principio del
giusto processo, in quanto, nel caso in cui la misura venga proposta
entro cinque anni dal decesso del de cuius, consente l’instaurazione
del contraddittorio nei confronti dei suoi successori a titolo
universale o particolare, che potranno far valere nel processo di
prevenzione gli eventuali elementi di difesa volti a contestare la
sussistenza dei requisiti necessari per l’adozione della confisca
(sproporzione tra reddito e investimenti realizzati, illegittima
provenienza dei beni).
Circa i profili di presunta incompatibilita’ della norma
censurata con i principi fissati dalla giurisprudenza della Corte EDU
richiamata dal rimettente, l’Avvocatura dello Stato osserva che le
motivate scelte di politica criminale del legislatore del 2008 e del
2009 non incidono sui diritti di liberta’ (relativi alle misure di
prevenzione personale), ma sul diritto di proprieta’ e di iniziativa
economica, che possono essere sacrificati nell’interesse delle
esigenze di sicurezza e dell’utilita’ generale (art. 41, secondo
comma, Cost.), nonche’ della funzione sociale della proprieta’ (art.
42, secondo comma, Cost.). Tali scelte rientrerebbero pertanto
nell’ambito della discrezionalita’ riservata al legislatore e
risulterebbero «supportate dall’esigenza di sottrarre i patrimoni
accumulati illecitamente alla disponibilita’ dei soggetti che non
possono dimostrarne la legittima provenienza», come ha chiarito la
giurisprudenza della Corte di cassazione.
3. – Con successiva memoria illustrativa, l’Avvocatura generale
dello Stato ha insistito per il rigetto della questione di
legittimita’ costituzionale. Ricostruito il contesto normativo alla
base della questione stessa, l’Avvocatura dello Stato rileva che i
piu’ recenti innesti normativi sono stati operati all’esito di «un
diuturno e costante confronto con "il diritto vivente" nell’intento
di recepire le opzioni ermeneutiche, costituzionalmente orientate,
fornite a piu’ riprese dalla Suprema Corte e dalla Corte
costituzionale». La soluzione di rendere l’applicazione delle misure
di prevenzione patrimoniale indipendente da quella delle misure
personali sarebbe sintomatica di un nuovo modo di intendere
l’intervento ablativo patrimoniale, basato sulla «intrinseca
pericolosita’ dei beni utilizzabili per la proliferazione del
fenomeno mafioso piu’ che sulla pericolosita’ sociale di un
determinato soggetto (in sintonia, del resto, con la funzione sociale
della proprieta’ sancita dall’art. 42 della Costituzione)»: si
tratterebbe dunque di un’opzione di politica criminale non opinabile
in sede di giudizio di costituzionalita’.
Secondo l’Avvocatura dello Stato, inoltre, al superamento della
pregiudizialita’ delle misure preventive personali rispetto
all’applicazione delle misure patrimoniali consegue la
"sopravvivenza" della confisca alla morte del sottoposto, una volta
che siano stati accertati i presupposti previsti dalla legge, secondo
l’orientamento accolto dalla Corte di cassazione e condiviso dalla
sentenza n. 335 del 1996 della Corte costituzionale.
Il nostro legislatore avrebbe introdotto nell’ordinamento
un’ipotesi di "confisca antimafia" di portata allargata rispetto al
tradizionale istituto della confisca, nella quale non viene piu’
sottratto uno specifico bene, provento di uno specifico reato, bensi’
tutti i beni che si ritengono di origine illecita per il loro valore
sproporzionato rispetto al reddito di chi ne dispone: questo
principio «risponde ad una valutazione di politica legislativa che
fuoriesce dal campo di applicazione della Cedu, poiche’ involgente
una materia che costituisce uno dei terreni riservati alla sovranita’
degli Stati» firmatari della Convenzione. Nel caso in cui la misura
patrimoniale sia proposta entro cinque anni dal decesso del de cuius,
il contraddittorio deve essere instaurato nei confronti dei
successori a titolo universale o particolare della persona proposta,
che potranno far valere tutti gli elementi utili a contestare la
sussistenza dei requisiti necessari per l’adozione della confisca. La
disciplina della confisca tiene conto, ad avviso dell’Avvocatura
dello Stato, della giurisprudenza della Corte EDU, che ha
espressamente enunciato il principio secondo cui «e’ compito della
Corte europea, chiamata a pronunciarsi sui singoli casi, stabilire se
nella disciplina sub iudice e’ stato conservato il giusto equilibrio
tra le esigenze di ordine generale (in questo caso la prevenzione
sociale) e la tutela dei diritti fondamentali dell’individuo (il
diritto di proprieta’), tenendo conto del margine insindacabile di
valutazione (discrezionale) riconosciuto a ciascuno Stato (…)».

Considerato in diritto

1. – Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, seconda sezione
penale, con ordinanza del 3 marzo 2011 (r.o. n. 178 del 2011) ha
sollevato, per violazione degli articoli 24, primo e secondo comma, e
111 della Costituzione, questione di legittimita’ costituzionale
dell’articolo 2-ter, undicesimo comma, della legge 31 maggio 1965, n.
575 (Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso,
anche straniere). In forza di tale comma, aggiunto dall’art. 10,
comma 1, lettera d), numero 4, del decreto-legge 23 maggio 2008, n.
92, come sostituito dalla legge di conversione 24 luglio 2008, n.
125, «la confisca puo’ essere proposta, in caso di morte del soggetto
nei confronti del quale potrebbe essere disposta, nei riguardi dei
successori a titolo universale o particolare, entro il termine di
cinque anni dal decesso». Il rimettente censura la disposizione
indicata sviluppando le sue argomentazioni su un duplice piano.
1.1. – Sotto un primo aspetto, l’ordinanza di rimessione deduce
la violazione delle garanzie processuali, facendo riferimento al
soggetto nei confronti del quale la confisca avrebbe dovuto essere
disposta, ossia al soggetto deceduto: il rimettente, tra l’altro,
rileva che «neppure sarebbe ipotizzabile immaginare un
contraddittorio instaurato validamente con un eventuale difensore del
de cuius (che si facesse carico di difendere la sua posizione sia in
ordine ai profili personali che patrimoniali della procedura)» e cio’
in quanto, da una parte, l’art. 2-ter, undicesimo comma, della legge
n. 575 del 1965 contempla solo i successori come soggetti nei cui
confronti avanzare la proposta di confisca di prevenzione e,
dall’altra, l’ordinamento non prevede tale evenienza, comportando la
morte dell’interessato l’immediata estinzione del rapporto
processuale.
1.2. – Sotto un secondo aspetto, il rimettente mette in evidenza
che «il legislatore ha costruito la fattispecie prescindendo dalla
posizione del de cuius pericoloso e ritenendo integrato il
contraddittorio formale nei confronti dei suoi successori a titolo
universale o particolare». Da questo punto di vista, il rimettente
esclude la praticabilita’ di una via, alternativa alla questione di
legittimita’ costituzionale, che valorizzi, ai fini del vaglio
incidentale sulla pericolosita’ del de cuius, il «materiale
istruttorio» raccolto, in contraddittorio, nell’ambito di un
procedimento gia’ svoltosi nei confronti del proposto poi deceduto
per reati dai quali sia possibile desumere la sua qualita’ di
indiziato ai sensi dell’art. 1 della legge n. 575 del 1965: tale
soluzione a suo avviso «non appare soddisfacente proprio sotto il
profilo del diritto di difesa e del principio del contraddittorio e
della parita’ delle armi, sanciti dagli articoli 24 e 111 della
Costituzione», in quanto prescinde dalla «possibilita’ che il
soggetto nei cui confronti si formula pur sempre un giudizio di
pericolosita’ (ma anche di disponibilita’, sproporzione ed illecita
provenienza dei beni) si difenda sul punto in quella che e’ la sede
propria dell’accertamento», ossia nel procedimento di prevenzione
instaurato dopo la morte e in relazione alle sue finalita’
specifiche. Secondo il rimettente, in tale procedimento l’esigenza di
difesa «non appare adeguatamente soddisfatta dal meccanismo
contemplato dal legislatore, ossia quello dell’instaurazione del
contraddittorio con i successori a titolo universale o particolare,
con una previsione che appare dettata piu’ al fine di consentire
l’instaurazione del procedimento, che non un valido ed effettivo
contraddittorio su ciascuna delle valutazioni demandate al giudice
(sussistenza degli indizi di appartenenza del proposto deceduto ad
associazioni mafiose; verifica della disponibilita’ da parte di
quest’ultimo di beni; verifica dei presupposti di sproporzione ed
illecita provenienza)». Ad avviso del rimettente, infatti, «mal si
comprende come potrebbero i successori difendersi efficacemente (e
non ricoprire soltanto un ruolo formale di parte processuale) su
vicende che hanno coinvolto il loro ascendente e delle quali
potrebbero non essere a conoscenza».
2. – Preliminarmente deve rilevarsi che, successivamente
all’ordinanza di rimessione, e’ stato emanato il decreto legislativo
6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure
di prevenzione, nonche’ nuove disposizioni in materia di
documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13
agosto 2010, n. 136), che all’art. 18 – inserito nel Titolo II (Le
misure di prevenzione patrimoniali) del Libro I (Le misure di
prevenzione) – riproduce, con alcune variazioni lessicali, la
disposizione censurata; infatti, il terzo comma dell’art. 18 e’ cosi’
formulato: «Il procedimento di prevenzione patrimoniale puo’ essere
iniziato anche in caso di morte del soggetto nei confronti del quale
potrebbe essere disposta la confisca; in tal caso la richiesta di
applicazione della misura di prevenzione puo’ essere proposta nei
riguardi dei successori a titolo universale o particolare entro il
termine di cinque anni dal decesso». La nuova disposizione, tuttavia,
non trova applicazione al caso in esame, in forza dell’art. 117,
comma 1, dello stesso d.lgs. n. 159 del 2011, a norma del quale: «Le
disposizioni contenute nel libro I non si applicano ai procedimenti
nei quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto, sia
gia’ stata formulata proposta di applicazione della misura di
prevenzione. In tali casi, continuano ad applicarsi le norme
previgenti». Nel giudizio a quo, come risulta dall’ordinanza di
rimessione, la richiesta di sequestro e di successiva confisca, ai
sensi dell’art. 2-ter della legge n. 575 del 1965, e’ stata avanzata
con proposta depositata il 30 settembre 2009.
3. – Sempre in via preliminare, deve rilevarsi che il dispositivo
dell’ordinanza di rimessione fa riferimento alla violazione – oltre
che dell’art. 24, secondo comma, e dell’art. 111 Cost. – dell’art.
24, primo comma, Cost.: quest’ultimo riferimento, tuttavia, non e’
accompagnato da alcuna motivazione sulla non manifesta infondatezza
della questione. La censura relativa al primo comma dell’art. 24
Cost. e’, pertanto, inammissibile.
4. – La questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 2-ter,
undicesimo comma, della legge n. 575 del 1965, sollevata in
riferimento al diritto di difesa garantito dall’art. 24, secondo
comma, e al principio del contraddittorio sancito dall’art. 111
Cost., non e’ fondata.
5. – Per quanto riguarda la prima delle due prospettive
argomentative sviluppate dal rimettente, e’ sufficiente osservare
che, nel procedimento delineato dalla disposizione censurata, parti
sono i «successori a titolo universale o particolare» del «soggetto
nei confronti del quale [la confisca] potrebbe essere disposta» e non
quest’ultimo: sono dunque del tutto prive di fondamento le
argomentazioni volte a riferire le ipotizzate violazioni del diritto
di difesa e del principio del contraddittorio al soggetto deceduto e
non ai suoi successori, senza dire dell’erroneita’ dell’attribuzione
ad una persona defunta della titolarita’ di una posizione processuale
propria.
6. – La questione non e’ fondata anche con riguardo alla seconda
prospettiva argomentativa, tesa a censurare in radice, con riguardo
al diritto di difesa e al principio del contraddittorio, la
legittimita’ costituzionale del procedimento per l’applicazione della
misura di prevenzione patrimoniale a carico dei successori del
«soggetto nei confronti del quale [la confisca] potrebbe essere
disposta». La questione sollevata investe l’ipotizzata lesione delle
garanzie processuali delle parti connessa alla possibilita’ generale
di procedere, in sede di applicazione della confisca quale misura di
prevenzione patrimoniale, a carico di soggetti diversi da quello «nei
confronti del quale [la confisca] potrebbe essere disposta», ossia
dei suoi successori.
Il nucleo essenziale delle censure mosse all’art. 2-ter,
undicesimo comma, della legge n. 575 del 1965 consiste dunque in un
asserito vulnus al diritto di difesa e al principio del
contraddittorio che il rimettente ritiene inevitabilmente collegato
alla configurazione normativa del procedimento in esame, effettuata
dal legislatore «prescindendo dalla posizione del de cuius
pericoloso».
Al riguardo, deve rilevarsi che al successore sono assicurati,
nel procedimento in questione, i mezzi probatori e i rimedi
impugnatori previsti per il de cuius, sicche’ cio’ che puo’ mutare e’
solo il rapporto di conoscenza che lega il successore stesso ai fatti
oggetto del giudizio e in particolare, nella specie, a quelli
integranti i presupposti della confisca. Tale circostanza, tuttavia,
potrebbe, in linea astratta, incidere sugli specifici profili del
procedimento relativi – per riprendere le espressioni del rimettente
– alle varie «valutazioni demandate al giudice (sussistenza degli
indizi di appartenenza del proposto deceduto ad associazioni mafiose;
verifica della disponibilita’ da parte di quest’ultimo di beni;
verifica dei presupposti di sproporzione ed illecita provenienza)»,
ma non sulla possibilita’ di procedere nei confronti dei successori,
prevista dalla disposizione censurata; il che mette in luce, da un
primo punto di vista, la non fondatezza della questione.
D’altra parte, l’individuazione, operata dal rimettente, della
«presenza fisica dell’interessato» (o almeno della sua «possibilita’
astratta di partecipare») quale «momento fondamentale del rapporto
processuale, che condiziona la correttezza globale del giudizio», in
cui si sostanzia il nucleo essenziale della questione, non e’
giustificata con riferimento a un procedimento finalizzato
all’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale della
confisca. Da questo punto di vista, l’argomentare del rimettente e’
viziato dall’impropria sovrapposizione dei connotati del procedimento
penale a quelli del procedimento per l’applicazione della misura di
prevenzione patrimoniale, sovrapposizione messa in luce (oltre che,
implicitamente, dai riferimenti al de cuius quale parte "necessaria"
del procedimento in questione) dal richiamo alla giurisprudenza della
Corte europea dei diritti dell’uomo: tale richiamo, che si accompagna
al riferimento all’art. 6 della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali
(ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848) e
all’art. 14, terzo comma, lettera d), del Patto internazionale
relativo ai diritti civili e politici adottato a New York il 16
dicembre 1966 (ratificato e reso esecutivo con legge del 25 ottobre
1977, n. 881), e’ infatti indirizzato – non gia’ alle pronunce che
hanno esaminato la confisca disciplinata dall’art. 2-ter della legge
n. 575 del 1965, sussumendola nell’ambito civile di cui all’art. 6 §
1 della CEDU (decisione 4 settembre 2001, Riela contro Italia, ric.
n. 52439/99), bensi’ – alla giurisprudenza della Corte EDU sul
giudizio penale e, in particolare, sul giudizio in absentia (ad
esempio, sentenza 10 novembre 2004, Sejdovic contro Italia, ric. n.
56581/00).
L’erroneita’ di tale sovrapposizione si coglie sotto un duplice
profilo.
In primo luogo, e su un piano generale, essa comporta la
svalutazione della specificita’ della sede processuale nella quale
l’accertamento di determinati fatti si svolge e dei correlati
possibili esiti. Infatti, anche con riferimento al fatto-reato, altro
e’ che il relativo accertamento si svolga nella sede penale, dove la
configurazione della morte del reo quale causa di estinzione del
reato costituisce, come ha affermato questa Corte, «diretto riflesso
del principio – di carattere sostanziale – di personalita’ della
responsabilita’ penale (art. 27, primo comma, Cost.), il quale
impedisce che la potesta’ punitiva dello Stato si eserciti su
soggetti diversi dall’autore del fatto criminoso» (ordinanza n. 289
del 2011); altro e’ che tale accertamento si svolga in sede diversa
da quella penale. Diversita’ di situazioni messe bene in luce dalla
giurisprudenza quando ammette, ad esempio, che il giudice civile
possa conoscere incidentalmente del reato, qualora la natura penale
del fatto illecito venga in rilievo nel giudizio risarcitorio ad esso
conseguente (Cass. civ., sez. III, 30 giugno 2005, n. 13972), e possa
procedere, in caso di decesso dell’imputato, nei confronti dei suoi
eredi (Cass. civ., sez. III, 6 dicembre 2000, n. 15511).
In secondo luogo, la sovrapposizione da cui e’ viziato
l’argomentare del rimettente si traduce nello svilimento delle
peculiarita’ del procedimento di prevenzione e, segnatamente, del
procedimento per l’applicazione della confisca. Ferma la ormai
acquisita configurazione giurisdizionale del procedimento di
prevenzione, che impone in via di principio l’osservanza delle regole
(come quelle del contraddittorio) coessenziali al giudizio in senso
proprio (sentenza n. 77 del 1995), la giurisprudenza costituzionale
ha rimarcato, per un verso, che «il procedimento di prevenzione, il
processo penale e il procedimento per l’applicazione delle misure di
sicurezza sono dotati di proprie peculiarita’, sia sul terreno
processuale che nei presupposti sostanziali» e, per altro verso, che
«le forme di esercizio del diritto di difesa [possono] essere
diversamente modulate in relazione alle caratteristiche di ciascun
procedimento, allorche’ di tale diritto siano comunque assicurati lo
scopo e la funzione» (sentenza n. 321 del 2004).
Le peculiarita’ del procedimento di prevenzione devono, infine,
essere valutate alla luce della specifica ratio della confisca in
esame, una ratio che, come ha affermato questa Corte, da un lato,
«comprende ma eccede quella delle misure di prevenzione consistendo
nel sottrarre definitivamente il bene al "circuito economico" di
origine, per inserirlo in altro, esente dai condizionamenti criminali
che caratterizzano il primo» e, dall’altro, «a differenza di quella
delle misure di prevenzione in senso proprio, va al di la’
dell’esigenza di prevenzione nei confronti di soggetti pericolosi
determinati e sorregge dunque la misura anche oltre la permanenza in
vita del soggetto pericoloso» (sentenza n. 335 del 1996).
Le «profonde differenze, di procedimento e di sostanza, tra le
due sedi, penale e di prevenzione» (ordinanza n. 275 del 1996) e le
peculiarita’ di quest’ultima, particolarmente significative quando,
come nel caso della confisca, la sede sia funzionale all’applicazione
di misure destinate ad incidere non gia’ sulla liberta’ personale
della parte, ma sul suo patrimonio, in uno con la considerazione
della ratio dell’istituto, confermano l’infondatezza della questione,
incentrata sull’assunto – valido per il processo penale – che la
«presenza fisica» del «soggetto nei confronti del quale [la confisca]
potrebbe essere disposta» (o almeno la sua «possibilita’ astratta di
partecipare») sia condizione ineludibile di conformita’ del
procedimento per l’applicazione della misura patrimoniale ai
parametri costituzionali evocati dal rimettente.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibile la questione di legittimita’
costituzionale dell’articolo 2-ter, undicesimo comma, della legge 31
maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro le organizzazioni criminali
di tipo mafioso, anche straniere), sollevata, in riferimento all’art.
24, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Santa Maria
Capua Vetere con l’ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara non fondata la questione di legittimita’
costituzionale dell’articolo 2-ter, undicesimo comma, della legge n.
575 del 1965, sollevata, in riferimento agli artt. 24, secondo comma,
e 111 della Costituzione, dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere
con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 25 gennaio 2012.

Il Presidente: Quaranta

Il redattore: Lattanzi

Il cancelliere: Melatti

Depositata in cancelleria il 9 febbraio 2012.

Il direttore della cancelleria: Melatti

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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