Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 21-01-2011, n. 1472 Fondi e casse di previdenza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza non definitiva dei 9.2 – 8.6.2006, la Corte d’Appello di Roma pronunciando nelle cause riunite di opposizione a precetto e di opposizione all’esecuzione proposte dalla Cassa Italiana di Previdenza ed Assistenza dei Geometri Liberi Professionisti (qui di seguito, per brevità, anche Cassa) nei confronti di G. D., rigettò il primo motivo di impugnazione svolto dalla Cassa, con il quale era stato dedotto che erroneamente il primo Giudice non aveva esaminato anche la domanda proposta con l’opposizione all’esecuzione.

A sostegno del decisum la Corte territoriale osservò che, pur avendo il primo Giudice fatto riferimento alla sola opposizione a precetto, la pronuncia di rigetto di quest’ultima copriva anche quella relativa all’esecuzione, siccome proposta in base alle medesime ragioni (non validità del titolo esecutivo fatto valere dall’appellato), rilevando altresì che neppure in appello la Cassa aveva specificato quali ulteriori ragioni, diverse da quelle relative alla validità del precetto, avrebbero resa illegittima o nulla l’esecuzione.

Avverso l’anzidetta sentenza non definitiva della Corte territoriale, la Cassa Italiana di Previdenza ed Assistenza dei Geometri Liberi Professionisti ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi; l’intimato G.D. ha resistito con controricorso.

Con sentenza definitiva del 6.7.2006 – 17.4.2008, la Corte d’Appello di Roma ha rigettato l’impugnazione proposta dalla Cassa, rilevando che il tenore letterale della conciliazione giudiziale intervenuta fra le parti (costituente il titolo esecutivo azionato) era del tutto chiaro ed univoco, essendo stato il trattamento pensionistico di anzianità riconosciuto dal 1.2.1997 ed essendo stata persino stabilita la misura del rateo mensile; il contenuto del verbale non lasciava inoltre spazio ad integrazioni alla luce delle norma regolamentari, atteso che, con riferimento al periodo per cui era causa, le parti avevano concordato una soluzione conciliativa traente origine da una situazione del tutto peculiare, determinata anche da aspettative della Cassa in ordine al trattamento pensionistico spettante al G..

Avverso la suddetta sentenza definitiva, la Cassa Italiana di Previdenza ed Assistenza dei Geometri Liberi Professionisti ha proposto ricorso per cassazione fondato su quattro motivi; l’intimato G.D. ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

1. I ricorsi vanno riuniti, essendo stati proposti avverso le sentenze (non definitiva e definitiva) concernenti le medesime controversie.

2. In ordine alla sentenza non definitiva, con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione di L. (art. 615, commi 1 e 2; artt. 39 e 112 c.p.c.), deducendo che, pur nell’identità dei motivi dispiegati in ordine all’inesistenza del diritto fatto valere dal G., l’opposizione al precetto era limitata all’acclaramento di tale insussistenza, mentre l’opposizione all’esecuzione involgeva anche il profilo dell’azionabilità del diritto in questione, cosicchè, ricorrendo semmai una situazione di litiscontinenza e non essendosi il primo Giudice pronunciato su entrambi i giudizi, la Corte territoriale avrebbe dovuto riconoscere l’assenza di motivazione al riguardo. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione, deducendo la mancata esplicitazione delle ragioni per le quali l’identità del diritto sostanziale dovrebbe ritenersi di per sè sufficiente a giustificare il totale assorbimento dell’opposizione all’esecuzione nel giudizio di opposizione al precetto.

3. Il primo motivo è infondato, poichè, come evidenziato nella sentenza impugnata, l’opposizione all’esecuzione è stata proposta in base alle medesime ragioni poste ad oggetto dell’opposizione al precetto: nell’un caso e nell’altro, come del resto risulta dai rispettivi atti introducivi dei giudizi, trascritti nel ricorso, l’invalidità del titolo esecutivo fatto valere dal G..

Coerentemente, dunque, la Corte territoriale ne ha tratto la conclusione che, con lo statuire in ordine all’opposizione al precetto, il primo Giudice aveva con ciò stesso pronunciato anche sull’opposizione all’esecuzione.

Ed invero, al di là della dedotta distinzione tra esistenza del diritto e sua azionabilità, l’odierna ricorrente ha riconosciuto che entrambe le opposizioni si fondavano sull’identico motivo dell’inesistenza del diritto fatto valere dal G., cosicchè il primo Giudice, affrontando tale questione, aveva in effetti deciso entrambe le opposizioni.

4. Il secondo motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile alla presente controversia ratione tempons.

Infatti, in base a quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, in tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poichè secondo l’art. 366 bis c.p.c., introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 20603/2007).

Tale onere non è stato però assolto dal ricorrente, risultando il motivo all’esame affatto privo di tale momento di sintesi.

5. In ordine alla sentenza definitiva, la ricorrente, con i primi tre motivi, da esaminarsi congiuntamente, siccome fra loro strettamente connessi, denuncia, con riferimento al verbale di conciliazione giudiziale concluso inter partes, violazione dei canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362, 1363 e 1367 c.c..

Con il quarto motivo denuncia, sotto svariati profili, vizi di motivazione.

6. Quanto ai primi tre motivi di ricorso, deve rilevarsi che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’interpretazione di un atto negoziale (e, quindi, nella fattispecie, del verbale di conciliazione giudiziale su cui si fonda la pretesa dell’odierno controricorrente) è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c., o di motivazione inadeguata ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione; pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (cfr, ex plurimis, Cass., n. 22536/2007).

Parimenti la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di precisare che, in tema di interpretazione del contratto, ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il primo e principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nei contratto, con la conseguente preclusione del ricorso ad altri criteri interpretativi, quando la comune volontà delle parti emerga in modo certo ed immediato dalle espressioni adoperate, e sia talmente chiara da precludere la ricerca di una volontà diversa (cfr, ex plurimis, Cass., n 28479/2005).

A tale fondamentale criterio, come esposto nello storico di lite, la Corte territoriale sì è attenuta nell’interpretazione del verbale di conciliazione giudiziale stipulato inter partes, attribuendo alla locuzione adoperata "riconoscimento del trattamento pensionistico di anzianità dal 1.2.1997 i piano significato che emerge dal senso letterale delle parole usate, corroborato, come pure evidenziato nella pronuncia impugnata, dall’avvenuta indicazione della misura del rateo mensile.

Peraltro, e contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, anche il comportamento complessivo delle parti (e, segnatamente, quello risultante dalla nota 11.4.2001 della Cassa) era in linea con il rilevato tenore letterale della pattuizione in parola, posto che, come rilevato nella sentenza di prime cure – richiamata nella pronuncia di appello – la circostanza che le parti avessero discusso circa la rivalutazione dei ratei relativi al periodo di sospensione del trattamento portava a ritenere che le stesse fossero concordi circa la spettanza di tali ratei.

Non è dunque dato rilevare alcuna violazione del criterio ermeneutico di cui all’art. 1362 c.c., risolvendosi le censure svolte dalla Cassa nella mera prospettazione – anche attraverso il richiamo dell’art. 1363 c.c., nella specie nient’affatto decisivo – di una difforme interpretazione, peraltro neppure adeguata rispetto all’inequivoco contenuto letterale delle parole utilizzate.

L’esaustività dell’interpretazione condotta alla stregua del ricordato canone ermeneutico di cui all’art. 1362 c.c., esclude poi la possibilità di far ricorso a quello, sussidiario, dettato dall’art. 1367 c.c.; a quest’ultimo riguardo, per completezza di motivazione, deve peraltro precisarsi che il riferimento a pretese nullità della pattuizione in parola per asserito contrasto con norme regolamentari non ha ragion d’essere, ove si consideri che i verbale di conciliazione, come emerge inequivocabilmente dalle richiamate vicende processuali e dallo stesso tenore dell’atto, era stato stipulato a definizione conciliativa di una controversia anche di natura risarcitoria.

I motivi all’esame vanno pertanto disattesi.

7. Il quarto motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., non essendo stato formulato il momento di sintesi richiesto alla luce della più sopra ricordata giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 20603/2007).

8. In definitiva entrambi i ricorsi devono essere rigettati.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in Euro 42,00, oltre ad Euro 3.000,00 (tremila) per onorari, più spese generali, Iva e Cpa come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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