T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 05-01-2011, n. 2 Edilizia e urbanistica, in genere

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1. Il ricorrente B.C. è proprietario di alcuni fondi situati nel Comune di Provaglio d’Iseo, e precisamente di un terreno classificato come torbiera e di un terreno classificato come seminativo. A margine di questi terreni si trova, in via Monastero 2, un edificio residenziale.

2. In prossimità dell’edificio (sul mappale n. 129) esiste quantomeno dal 1980 una sorgente (fontanile) di acqua non potabile utilizzata dal ricorrente per le esigenze igieniche dell’abitazione (che non è collegata all’acquedotto comunale) e per l’attività agricola (consistente in un impianto di circa 150 ulivi e altri alberi da frutto).

3. I terreni del ricorrente si trovano all’interno della riserva naturale Torbiere del Sebino, gestita dal relativo Consorzio. Più in dettaglio, l’area del fontanile si colloca nella zona C della riserva naturale (fascia di protezione interna) ed è sottoposta alla disciplina degli art. 3.0 – 3.12 del piano approvato dalla Regione con la DGR n. 6/31755 del 17 ottobre 1997. In base al PRG comunale la medesima area è classificata come F3 (zona vincolata a corona della riserva naturale) ed è sottoposta all’art. 49 delle NTA.

4. La proprietà dell’area che comprende il fontanile e della sovrastante scarpata è contesa tra il ricorrente e il proprietario del fondo confinante. La controversia civilistica instaurata davanti al Tribunale di Brescia ha visto la soccombenza in primo grado del ricorrente. Peraltro questa vicenda non ha immediate conseguenze sul piano amministrativo, essendo il ricorrente nel possesso dei beni e trovandosi di conseguenza in una condizione di legittimazione nei confronti del Comune. Sono naturalmente salvi i diritti dei terzi che dovessero essere accertati dal giudice ordinario, compreso l’eventuale subentro nelle aspettative del ricorrente per quanto riguarda gli aspetti urbanistici delle opere relative al fontanile.

5. Il 6 febbraio 1999 il ricorrente ha chiesto al Comune l’autorizzazione (in sanatoria) per la realizzazione del fontanile. La commissione edilizia ha dato parere favorevole in data 11 febbraio 1999 a condizione che fosse acquisito il nullaosta del Consorzio di gestione della riserva naturale. Il Consorzio si è però espresso negativamente in data 21 marzo 1999 per due ragioni: (a) "in quanto l’intervento non risulta essere di ristrutturazione di manufatto esistente, bensì di nuova costruzione, e pertanto opera non prevista dall’art. 3.2 delle NTA del piano di gestione approvato dalla Giunta Regionale in data 17 ottobre 1997 n. 6/31755"; (b) inoltre "la costruzione di detto fontanile, sia per la posizione che per la tipologia della costruzione stessa, comporta alterazione della qualità dell’ambiente risultando incompatibile con le finalità della Riserva". Visto il parere del Consorzio il responsabile dell’Ufficio Tecnico del Comune ha respinto la richiesta di autorizzazione con provvedimento del 25 marzo 1999.

6. Poco dopo, in data 25 maggio 1999, il ricorrente ha nuovamente chiesto al Comune un’autorizzazione in sanatoria, in questo caso formulata in relazione alle opere di consolidamento del pozzo e all’ulteriore scavo realizzato nella sovrastante scarpata. Nella richiesta si specificava che le pareti del pozzo si erano inclinate ed era necessario posizionare una platea in cemento in corrispondenza dell’apertura del pozzo medesimo. Questa pratica edilizia non risulta tuttavia aver avuto alcun seguito a favore del ricorrente.

7. Al contrario il Comune con l’ordinanza del sindaco n. 32 del 2 giugno 1999 ha ingiunto al ricorrente l’immediata sospensione dei lavori di scavo e il ripristino dello stato dei luoghi, compresa l’asportazione del terreno che ostacolava il passaggio pedonale esistente. Il ricorrente ha risposto con una nota trasmessa agli uffici comunali il 18 giugno 1999, nella quale precisava di essere disposto a ripristinare lo stato dei luoghi, ad eccezione dello scavo riguardante il fontanile, essendo quest’ultimo un’infrastruttura necessaria al rifornimento di acqua per i servizi igienici domestici e per gli usi agricoli.

8. La posizione definitiva del Comune è stata assunta con l’ordinanza prot. n. 4097 del 26 maggio 2000, emessa dal responsabile dell’Area Controllo del Territorio. Mediante questo provvedimento l’amministrazione ha contestato al ricorrente: (a) uno scavo di terreno vegetale in parte sulla scarpata e in parte sul piano avente dimensioni pari a 9,5×6,5 metri e altezza pari a 3,5 metri; (b) il posizionamento sul fondo dello scavo di anelli in calcestruzzo aventi altezza pari a 1 metro e diametro di 1,8 metri. Considerato il carattere abusivo dello scavo, e affermando il contrasto con l’art. 3.1 del piano della riserva naturale e con l’art. 49 delle NTA comunali, l’ordinanza ha ingiunto la remissione in pristino dell’intera area, il che implica anche la copertura del fontanile e del relativo pozzo.

9. Contro la suddetta ordinanza il ricorrente ha presentato impugnazione con atto notificato il 25 luglio 2000 e depositato il 31 luglio 2000. Le censure possono essere sintetizzate e riordinate come segue: (i) mancata comunicazione di avvio del procedimento; (ii) violazione dell’art. 10 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, trattandosi di opere soggette ad autorizzazione e non a concessione edilizia; (iii) travisamento dei fatti e delle norme urbanistiche.

10. Il Comune si è costituito in giudizio chiedendo la reiezione del ricorso.

11. Passando al merito, non appare condivisibile il primo motivo di ricorso, con il quale si lamenta la mancata comunicazione di avvio del procedimento (art. 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241). Innanzitutto l’argomento non ha una base fattuale sufficiente, in quanto il Comune ha emesso l’ordinanza di ripristino dopo una lunga interlocuzione con il ricorrente, nell’ambito della quale era stato emesso un puntuale diniego di autorizzazione edilizia per i lavori eseguiti abusivamente, e oltre a questo anche un primo ordine di ripristino riferito al medesimo intervento (v. sopra ai punti 57). In ogni caso la censura formale di violazione delle garanzie procedurali non può da sola condurre all’annullamento del provvedimento impugnato, perché è sempre necessario, per il principio ora codificato dall’art. 21octies comma 2 secondo periodo della legge 241/1990, effettuare la prova di resistenza esaminando se a causa di tale violazione l’amministrazione sia stata privata di elementi istruttori in grado di far ipotizzare una decisione diversa. Non sarebbe infatti né utile né economico annullare un provvedimento che può essere adottato di nuovo con lo stesso contenuto. La prova di resistenza deve essere condotta esaminando le censure di natura sostanziale proposte con l’impugnazione.

12. Non può essere condiviso neppure il secondo motivo di ricorso, che classifica lo scavo tra le attività soggette a semplice autorizzazione edilizia e ipotizza di conseguenza la violazione dell’art. 10 della legge 47/1985 per la ragione che questo tipo di violazioni edilizie non sarebbe soggetto alla misura reale della remissione in pristino ma soltanto alla sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento del valore venale. È vero che gli scavi, in base all’art. 7 comma 2 lett. c) del DL 23 gennaio 1982 n. 9, sono sottoposti ad autorizzazione gratuita, ma questa stessa norma limita la propria efficacia agli interventi che "non riguardino la coltivazione di cave o torbiere" e siano conformi alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti. Nel caso in esame, pur mancando l’attività estrattiva, vi è una palese interferenza tra l’intervento edilizio del ricorrente e la disciplina della riserva naturale Torbiere del Sebino. Interferenza non significa automaticamente violazione: se questa equivalenza esista è appunto oggetto di indagine. Dunque ai fini del presente ricorso la questione dirimente non è tanto la classificazione dello scavo come attività edilizia sottoposta ad autorizzazione (e attualmente a DIA ai sensi dell’art. 22 comma 1 del DPR 6 giugno 2001 n. 380) ma la conformità urbanistica dello scavo stesso e quindi la possibilità di un accertamento di conformità ex post ai sensi dell’art. 13 commi 1 e 5 della legge 47/1985 e dell’art. 4 comma 13 del DL 5 ottobre 1993 n. 398 (v. ora l’art. 37 comma 4 del DPR 380/2001). La mancanza di conformità urbanistica, rinforzata nello specifico dal livello sovracomunale della tutela connessa alla riserva naturale, non consentirebbe la conservazione delle opere indipendentemente dalla natura del titolo edilizio in astratto necessario per eseguirle.

13. Tutto questo ci porta al terzo motivo di ricorso, fondato sui vizi di travisamento dei fatti e delle norme urbanistiche. Gli argomenti del ricorrente sono condivisibili nei limiti esposti qui di seguito:

(a) occorre distinguere tra lo scavo del terreno e la realizzazione di un pozzo per l’emungimento dal fontanile. Lo scavo, inteso come sbancamento a se stante, non sarebbe compatibile con la disciplina del piano della riserva naturale e neppure con l’art. 49 delle NTA comunali. La realizzazione di un pozzo dal quale attingere acqua destinata a usi igienici e agricoli è invece ammissibile. L’art. 3.1 del piano della riserva naturale vieta le nuove costruzioni e le nuove infrastrutture, nonché qualsiasi attività che determini modifiche sostanziali della morfologia del suolo, ma consente la realizzazione e l’ammodernamento degli impianti igienici e di servizio delle abitazioni. Il successivo art. 3.2 include tra le opere ammesse quelle dirette alla conduzione agricola del fondo. L’art. 49 delle NTA comunali consente le destinazioni d’uso collegate alla produzione agricola e alla residenza all’interno dei volumi esistenti, in questo modo implicitamente legittimando gli interventi edilizi complementari, tra cui la realizzazione di servizi sostitutivi dell’allacciamento all’acquedotto comunale;

(b) dunque lo sbancamento può essere tollerato solo come intervento temporaneo e strumentale alla realizzazione del pozzo che fornisce acqua per i servizi igienici dell’abitazione e per la conduzione agricola del fondo. Una volta ultimato il pozzo l’area circostante deve essere riportata nello stato di fatto anteriore;

(c) il pozzo può invece essere regolarizzato attraverso un accertamento di conformità ex post. L’accertamento della conformità, intervenendo su un’opera abusiva e quindi per definizione non assistita da uno stato di certezza del diritto, può essere associato a condizioni e limitazioni. Nella procedura di regolarizzazione il Comune conserva pertanto il potere di imporre delle prescrizioni sulle dimensioni e sulle caratteristiche tecniche del pozzo. In proposito deve essere acquisito il parere del Consorzio di gestione della riserva naturale, le cui valutazioni (v. sopra al punto 5) sono superate per quanto riguarda l’interpretazione della disciplina urbanistica ma devono trovare ascolto, riformulate come prescrizioni, al fine di rendere la costruzione del pozzo e l’emungimento dallo stesso compatibili con la tutela del contesto naturale.

14. In conclusione il ricorso deve essere accolto, con il conseguente annullamento del provvedimento impugnato, fermo restando il potere esercitabile dal Comune nella fase di regolarizzazione del pozzo come specificato sopra al punto 13c. La complessità di alcune questioni consente l’integrale compensazione delle spese tra le parti.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso come precisato in motivazione.

Le spese sono integralmente compensate tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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