Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 03-02-2011, n. 2545

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Il gestore dell’impianto di depurazione delle acque provenienti da scarichi civili ed industriali del comprensorio della città di Como, società Comodepur s.p.a., propose ricorso al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche avverso due provvedimenti amministrativi del Dirigente il settore Ecologia ed Ambiente della Provincia di Como, il primo dei quali, in data 12 dicembre 2006, recante revoca della precedente autorizzazione allo scarico nel torrente (OMISSIS), ed il secondo, del 22 gennaio 2007, emesso in sede di autotutela a seguito delle contestazioni della stessa Comodepur, nel quale erano state però inserite alcune prescrizioni tecniche a carico della concessionaria, dalla ricorrente ritenute irragionevoli.

2. – Il Tribunale Superiore adito, con sentenza n. 177 del 2008, dichiarò il ricorso inammissibile, rilevando che dette prescrizioni erano per lo più già contenute nelle precedenti autorizzazioni mai impugnate: donde la natura meramente confermativa del provvedimento sottoposto al suo esame, con conseguente carenza di interesse a proporre il ricorso in capo alla Comodepur, che, in caso di vittoria, non avrebbe conseguito alcun vantaggio concreto, in presenza della reviviscenza dei pregressi atti autorizzativi.

3. – Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la Comodepur s.p.a., sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso la Provincia di Como, che ha anche depositato memoria illustrativa.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione di legge per omessa motivazione ai sensi dell’art. 111 Cost. in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, come richiamato dal R.D. n. 1775 del 1933, art. 183. La ricorrente denuncia la totale omissione della motivazione della sentenza impugnata – che si risolverebbe in motivo di nullità della stessa per difformità rispetto al modello di cui all’invocato art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, – su di un punto posto a base del principio sul quale la stessa sentenza si fonda. Questa, nel limitarsi a dichiarare inammissibile il ricorso proposto dalla Comodepur, odierna ricorrente, innanzi al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche nei confronti dei provvedimenti di autorizzazione allo scarico nel torrente (OMISSIS) del 12 dicembre 2006 e del 29 gennaio 2007, per carenza di interesse in capo alla stessa Comodepur, non consentirebbe il controllo delle ragioni poste a fondamento della decisione. Ed infatti, a parte la mancata indicazione del provvedimento che, tra i vari precedenti atti autorizzativi allo scarico, avrebbe sostituito quello oggetto del ricorso al T.S.A.P., difetterebbe nella sentenza la esplicitazione delle ragioni per le quali l’accoglimento del ricorso medesimo avrebbe dovuto comportare l’annullamento dell’autorizzazione nella sua totalità, laddove il ricorso riguardava solo una parte del provvedimento amministrativo, quella relativa alle prescrizioni tecniche imposte alla concessionaria.

La illustrazione della doglianza si conclude con la enunciazione del seguente quesito di diritto, a norma dell’art. 366-bis cod.proc.civ., che, pur abrogato dalla L. n. 69 del 2009, art. 47, è tuttavia applicabile nella specie ratione temporis: "Dica la Suprema Corte se l’omissione di motivazione della sentenza secondo la quale in caso di accoglimento del ricorso con il quale la ricorrente ha chiesto l’annullamento dei provvedimenti integranti l’autorizzazione allo scarico, limitatamente alle prescrizioni che dovevano alternativamente essere rispettate in caso di attivazione in tempo asciutto dello scarico n. 2 dell’impianto di depurazione, dia luogo alla nullità della sentenza per difetto di conformità della stessa al modello di cui all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4". 2.1. – Il motivo è inammissibile per inidoneità del quesito di diritto.

2.2. – Come ampiamente chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, i quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366- bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico- giuridica della questione, cosi da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione, ponendosi in violazione di quanto prescritto dal citato art. 366-bis, si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie (v.

Cass., S.U., sent. n. 26020 del 2008, seguita da Cass., Sez. T, sent. n. 3462 del 2010).

Detta ipotesi si è realizzata nella specie, in cui la censura si conclude con la esposizione di un quesito di diritto al quale dovrebbe seguire una risposta affermativa risolventesi in una ovvia asserzione, priva della dignità di massima di diritto, come quella secondo la quale tutti i giudici devono rispettare la legge quanto all’obbligo di motivare la propria decisione.

2.3. – Risulta, altresì, nella specie violato il principio secondo il quale il quesito di diritto non può mai risolversi nella generica richiesta rivolta alla Corte di stabilire se sia stata o meno violata una certa norma, nemmeno nel caso in cui il ricorrente intenda dolersi dell’omessa applicazione di tale norma da parte del giudice di merito, ma deve investire la ratio decidendi della sentenza impugnata, proponendone una alternativa e di segno opposto (v. Cass., Sez. 3^, ord. n. 4044 del 2009).

Nel caso in esame, invero, il quesito si limita sostanzialmente a richiedere che sia affermata la inesistenza in parte qua della motivazione della sentenza impugnata, con conseguente declaratoria di nullità della stessa. Esso non contiene, però, alcuna opzione in ordine alla valutazione della ricorrente sulla corretta applicazione della norma processuale asseritamente violata.

3. – Con la seconda censura si denuncia la violazione di legge per motivazione apparente ai sensi dell’art. 111 Cost. in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, come richiamato dal R.D. n. 1775 del 1933, art. 183. La sentenza impugnata, nel ritenere il difetto di interesse della Comodepur alla proposizione del ricorso innanzi al T.S.A.P., avuto riguardo alla reviviscenza delle precedenti autorizzazioni quale effetto dell’eventuale accoglimento dello stesso, si sarebbe limitata a ricalcare le difese in atti dell’Amministrazione provinciale, la quale aveva fatto riferimento alla precedente autorizzazione impugnata innanzi al T.A.R. Lombardia, privo di giurisdizione, con conseguente estinzione del relativo contenzioso, nonchè alla circostanza che gran parte delle prescrizioni contestate dalla Comodepur in quella sede sarebbero state già ricomprese nelle precedenti autorizzazioni del 2000 e del 2002, mai contestate: donde la natura meramente confermativa dei provvedimenti impugnati. In tal modo, il T.S.A.P. non avrebbe chiarito il percorso logico in base al quale era pervenuto alla conclusione che, in caso di reviviscenza delle pregresse autorizzazioni, la ricorrente non avrebbe conseguito alcun vantaggio, posto che le prescrizioni contestate erano "in gran parto e non in toto simili a quelle oggetto dei precedenti provvedimenti autorizzatori, e, dunque, almeno in parte, se ne diversificavano.

La illustrazione del motivo si conclude con la formulazione dei seguenti quesiti di diritto: "Dica la Suprema Corte se il semplice a acritico richiamo degli atti difensivi della parte resistente al fine di motivare le ragioni poste a fondamento della decisione dell’insussistenza dell’interesse di Comodepur a promuovere il ricorso avanti il Tribunale Superiore delle Acque integri il vizio di apparente motivazione della sentenza, con conseguente nullità, per difetto di conformità alla stessa al modello di cui all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, rendendo impossibile alla ricorrente l’esame delle ragioni sulla base delle quali il Tribunale ha formulato la propria decisione"; "Dica la Suprema Corte se il semplice richiamo delle autorizzazioni allo scarico del 2002 e del 2000, senza nulla dire sull’effettivo contenuto delle stesse o sulle ragioni del proprio convincimento in merito all’asserito provato difetto di interesse di Comodepur a promuovere il ricorso avanti il Tribunale Superiore delle Acque, integri il vizio di apparente motivazione della sentenza, con conseguente nullità della stessa per difetto di conformità della stessa al modello di cui all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4". 4.1. – La sintesi, così operata, della censura non supera, come per il precedente motivo, il vaglio di ammissibilità con riguardo ai canoni imposti dall’art. 366-bis cod. proc. civ..

4.2. – Deve, nella presente sede, ribadirsi che il quesito di diritto che, ai sensi della predetta disposizione, la parte ha l’onere di formulare espressamente nel ricorso per cassazione a pena di inammissibilità, deve essere formulato in termini tali per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame. Ne consegue che è inammissibile il ricorso nel quale il suddetto quesito sia formulato in modo tale da richiedere alla Corte un accertamento di fatto ad essa non consentito (v. Cass., S.U., sent. n. 20360 del 2007).

Nella specie, la ricorrente persegue la finalità, attraverso il formale riferimento ad un rilievo di violazione di legge sotto il profilo della motivazione apparente della sentenza in parte qua, di ottenere, per l’appunto, un riesame, inibito in sede di legittimità, della valutazione, operata dal Tribunale Superiore delle Acque, e adeguatamente motivata nella semenza impugnata, circa la insussistenza dell’interesse della Comodepur a promuovere il ricorso innanzi allo stesso T.S.A.P.. E’, all’evidenza, a tale non consentito scopo che mira la sottolineatura, operata nei riportati quesiti, per un verso, dell’"acritico" richiamo degli atti difensivi della parte resistente, per l’altro, del "semplice" richiamo delle autorizzazioni allo scarico del 2002 e del 2000, contenuti nella sentenza impugnata.

5.1. – Le considerazioni svolte sub 2.2, 2.3, 4.2. e 4.3. danno conto, altresì, della inammissibilità del terzo motivo, il quale si risolve in una mera riproduzione dei due precedenti, richiedendo, in definitiva, ancora alla Corte di pronunciarsi sull’asserito difetto di esplicitazione delle ragioni poste a fondamento della declaratoria, ad opera del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche con la sentenza impugnata, di inammissibilità del ricorso proposto dalla Comodepur per difetto di interesse della stessa ricorrente.

5.2. – Ed infatti, con la terza censura si lamenta ancora la violazione di legge per omessa o apparente motivazione ai sensi dell’art. 111 Cost. in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, come richiamato dal R.D. n. 1775 del 1933, art. 183. La sentenza impugnata, nel dichiarare inammissibile il ricorso per carenza di interesse della Comodepur a proporlo, non si sarebbe soffermata in alcun modo su tale pretesa carenza, laddove, secondo la stessa Comodepur, in caso di accoglimento del ricorso da parte del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, sarebbero state espunte dal provvedimento in questione le prescrizioni che esso prevedeva, particolarmente gravose, con la conseguenza che lo scolmatore avrebbe potuto scaricare, in ogni tempo, nei limiti indicati nella prima parte dell’autorizzazione relativa a quello scarico, e, dunque, con un risultato di decisivo vantaggio per la ricorrente.

5.3. – Conforme a tale ribadita richiesta, già risolta in termini di inammissibilità con le argomentazioni che precedono, risulta altresì la formulazione del relativo quesito di diritto, che presenta il seguente tenore: "Dica la Suprema Corte se la mancanza di una effettiva, precisa motivazione in sentenza sulle ragioni poste a fondamento della decisione della insussistenza dell’interesse di Comodepur a promuovere il ricorso avanti il Tribunale Superiore delle Acque integri il vizio di apparente motivazione della sentenza, con conseguente nullità, per difetto di conformità della stessa al modello di cui all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4". 6. – Poichè, conclusivamente, nessuno dei quesiti di diritto formulati dall’odierna ricorrente a corredo delle denunciate violazioni di legge risponde ai canoni sopra precisati, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio, che vengono liquidate come da dispositivo, devono essere poste a carico della ricorrente.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in complessivi Euro 5700,00, di cui Euro 5500,00 per onorari.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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