Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 04-02-2011, n. 2774 Termine per l’impugnazione; Licenziamento disciplinare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 10.1.2006 il Tribunale di Napoli ha accolto la domanda proposta dall’Enel spa con ricorso del 13.10.2000, volta ad ottenere l’accertamento della legittimità del licenziamento intimato a F.G. per motivi disciplinari in data 28.7.2000, ed ha respinto la domanda riconvenzionale tendente ad ottenere la declaratoria della illegittimità dello stesso licenziamento con condanna della società alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al risarcimento del danno L. n. 300 del 1970, ex art. 181.

Avverso detta sentenza ha proposto appello F.G. lamentando l’erroneità della sentenza impugnata per non aver rilevato il difetto di immediatezza della contestazione e per l’erronea valorizzazione, da parte del primo giudice, dell’esito del procedimento penale.

La Corte d’Appello di Napoli ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello rilevandone la tardività in quanto proposto quando era già trascorso il termine breve d’impugnazione, calcolato a decorrere dalla prima notifica della sentenza, e cioè da quella effettuata ad uno dei due difensori della parte convenuta in primo grado, benchè non domiciliatario.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione F.G. affidandosi ad un unico motivo cui resiste con controricorso l’E spa..

Motivi della decisione

1. – Con l’unico motivo viene denunciata violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione agli artt. 83, 84, 112 e 285 c.p.c., art. 170 c.p.c., commi 1 e 3, art. 416 c.p.c., comma 1, artt. 325 e 326 c.p.c., artt. 24 e 111 Cost., sul rilievo che la Corte d’Appello non avrebbe fatto corretta applicazione dell’insegnamento di Cass. Sez. Un. Penali n. 41280/2006, secondo il quale in tema di notificazione la dichiarazione di domicilio prevale su una precedente elezione di domicilio, pur non espressamente revocata.

2.- Il motivo è palesemente infondato. L’assunto del ricorrente si pone, infatti, in contrasto con l’indirizzo assolutamente prevalente della giurisprudenza della S.C. -cfr. ex plurimis Cass. 8160/2004, Cass. 5759/2004 – secondo cui, quando la parte sia costituita nel giudizio di primo grado a mezzo di due procuratori con uguali poteri di rappresentanza, e la notifica della sentenza sia fatta ad entrambi, la decorrenza del termine per l’impugnazione non può che iniziare dalla data della prima notifica della sentenza impugnata a uno dei due difensori, a prescindere dalla qualità di domiciliatario del medesimo, sempre che tale procuratore non sia esercente fuori del circondario e non eligente domicilio R.D. n. 37 del 1934, ex art. 82. 3. – Ed invero, come ribadito dalla citata giurisprudenza, "se una parte è assistita da due difensori che anche la rappresentano, non si vede perchè quello che non sia domiciliatario non debba potere attivarsi ai fini dell’impugnativa di un provvedimento anche a lui notificato, e che sia pregiudizievole per il cliente, se è vero, come non v’ha dubbio, che i poteri, le facoltà, gli oneri e in definitiva gli adempimenti che fanno capo al difensore domiciliatario sono del tutto identici a quelli che ineriscono al mandato ricevuto pure dal primo, e per il quale quindi egli non può restare inerte" (così in motivazione Cass. 5759/2004 cit.).

4. – La giurisprudenza citata dal ricorrente attiene all’applicazione delle norme che disciplinano la notifica degli atti nell’ambito del procedimento penale, ed in particolare all’interpretazione degli artt. 157 e 161 c.p.p., ed è assolutamente inconferente e inapplicabile al caso in esame.

5. – Nella specie, non è controverso che l’atto di appello sia stato depositato oltre il termine di trenta giorni calcolato a decorrere dalla data della prima notifica della sentenza, effettuata a quello che era originariamente l’unico difensore del F. (esercente nel circondario). Da tanto consegue la decadenza dall’impugnazione per essere decorso il termine breve dell’impugnazione medesima, come correttamente statuito dai giudici di appello.

6. – Il ricorso deve quindi essere respinto.

7. – Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 10,00 oltre Euro 2.000,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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