Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 04-02-2011, n. 2773

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 26.5.2004 il Tribunale di Cosenza ha respinto la domanda proposta da F.M., dipendente della Ital Lavori srl con mansioni di addetta alle pulizie, volta ad ottenere l’accertamento della illegittimità del licenziamento intimatole per motivi disciplinari in data 30.10.1999, con condanna della società alla reintegrazione della ricorrente nel posto di lavoro e al risarcimento del danno L. n. 300 del 1970, ex art. 18.

A sostegno della domanda, la ricorrente aveva dedotto che il licenziamento aveva, in realtà, carattere ritorsivo, avendo fatto seguito ad altra vicenda giudiziaria tra le stesse parti, che si era conclusa con esito favorevole per la ricorrente, ed era comunque privo di giusta causa, non essendo le mancanze nella pulizia dei locali addebitabili ad essa ricorrente, quanto piuttosto ad una carenza organizzativa del datore di lavoro, che l’aveva incaricata di provvedere da sola alla pulizia di immobili di notevoli dimensioni.

La sentenza del Tribunale è stata riformata dalla Corte d’Appello di Catanzaro, che ha accolto l’originaria domanda dichiarando la nullità del licenziamento sul rilievo del carattere ritorsivo del medesimo (desumibile anche dal fatto che la ricorrente era stata addetta, da sola, alla pulizia di ambienti che solitamente richiedevano la prestazione di due persone) ed ha ordinato la reintegrazione della F. nel posto di lavoro con le conseguenze previste dalla L. n. 300 del 1970, art. 18.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la Ital Lavori srl affidandosi a due motivi cui resiste con controricorso F. M..

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo la società ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 4, e art. 2697 c.c., nella parte in cui la Corte d’Appello ha ritenuto provato l’intento ritorsivo, nonchè omessa, contraddittoria o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia. La Corte territoriale avrebbe contraddittoriamente affermato che non vi era prova che la F. provvedesse da sola alle pulizie di un intero dipartimento e, nello stesso tempo, che era certo che essa provvedeva alla pulizia di un intero edificio. I giudici di appello avrebbero, inoltre, erroneamente ritenuto che fosse stata data la prova dell’intento ritorsivo alla base del licenziamento e non avrebbero fornito, sul punto, sufficiente e adeguata motivazione.

2. – Con il secondo motivo di ricorso la società deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 38 c.c.n.l. servizi di pulizia e dell’art. 2119 c.c., nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto la nullità del licenziamento, nonchè omessa, contraddittoria o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia. La sentenza impugnata risulterebbe viziata in punto di esatta applicazione e interpretazione della normativa contrattuale, nonchè in punto di coerente e sufficiente motivazione del decisum, per quanto riguarda in particolare la valutazione della gravità degli addebiti contestati alla lavoratrice e della proporzionalità della sanzione applicata dal datore di lavoro nei confronti di quest’ultima.

3. – Il ricorso deve ritenersi inammissibile per mancanza dei requisiti prescritti dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, e per violazione del principio di autosufficienza del ricorso.

4. – Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006, e quindi anche al ricorso in esame, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena d’inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto. Anche nel caso in cui venga dedotto un vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’illustrazione del motivo deve contenere, a pena d’inammissibilità, la "chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione". Ciò comporta, in particolare, che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità. Al riguardo, inoltre, non è sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente dedicata (cfr. ex plurimis Cass. 8555/2010, Cass. sez. unite 4908/2010, Cass. 16528/2008, Cass. 8897/2008, Cass. 16002/2007).

5. – D’altra parte, è giurisprudenza costante che il ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza, deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito. Pertanto, il ricorrente che denuncia, sotto il profilo di omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, l’omessa o erronea valutazione di alcune risultanze istruttorie (documenti, deposizioni testimoniali, dichiarazioni di parte, accertamenti del consulente tecnico) ha l’onere di indicarne specificamente il contenuto, anche mediante integrale trascrizione delle medesime nel ricorso, e di indicare le ragioni del carattere decisivo delle stesse (cfr. ex plurimis Cass. 4205/2010, Cass. 15952/2007, Cass. 6679/2006, Cass. 4840/2006, Cass. 10598/2005, Cass. 17369/2004, Cass. 9711/2004, Cass. 1170/2004, Cass. 3004/2004). Allo stesso modo, qualora in sede di giudizio di legittimità vengano denunciati vizi della sentenza impugnata relativi all’interpretazione di clausole della contrattazione collettiva, il ricorrente ha l’onere, in forza del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di riportarne il contenuto, a pena di inammissibilità del ricorso, ed ha altresì l’onere di specificare i canoni ermeneutici in concreto violati, nonchè il punto e il modo in cui il giudice si sia da essi discostato (Cass. 4678/2002, Cass. 3912/2002, Cass. 10520/2001, Cass. 4717/2000, Cass. 10359/2000).

6. – Nella specie, il ricorso è del tutto carente sotto il profilo della formulazione del quesito di diritto (per ciascuno dei motivi di ricorso). Mancano, inoltre, "la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria", ovvero l’esposizione delle "ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione "(noi senso sopra specificato).

7.- Fermi restando i rilievi che precedono, e che assumono già valore decisivo e assorbente ai fini dell’ammissibilità del ricorso, va rilevato poi che la ricorrente si è limitata a riportare solo in parte il contenuto delle deposizioni testimoniali e dei documenti che non sarebbero stati valutati o sarebbero stati insufficientemente valutati dalla Corte territoriale, non offrendo così la possibilità di un riscontro effettivo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione rispetto ad essi (aggiungendosi che non è comunque concretamente riscontrabile la dedotta contraddittorietà della motivazione sulla base soltanto dei passi delle deposizioni testimoniali riportate dalla società ricorrente). Non è stato, infine, riportato in ricorso il contenuto dell’art. 38 del contratto collettivo, nè sono stati indicati i canoni ermeneutici che sarebbero stati eventualmente violati dai giudici di appello nell’interpretazione della suddetta disposizione.

8. – Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile.

9. – Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 11,00 oltre Euro 2.000,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *