Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 01-12-2010) 13-01-2011, n. 680 Giudizio d’appello rinnovazione del dibattimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Le difese di P.A. e C.S. proponevano ricorso avverso la sentenza del 06/11/2009 della Corte d’assise d’appello di Caltanissetta con la quale era stata confermata la loro condanna per il delitto di omicidio premeditato, detenzione e porto d’arma comune da sparo, aggravata dalla recidiva specifica, reiterata, infraquinquennale.

2. Le difese di P. con il primo motivo lamentavano falsa applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 575 e 577 cod. pen. nonchè contraddittorietà e illogicità della motivazione, valorizzando la sicura estraneità del pervenuto all’azione omicidiaria, contrastando l’assunto del giudice di merito, secondo cui poteva profilarsi un concorso in quel reato per aver l’interessato aderito alla richiesta, rivoltagli dal gruppo delinquenziale di cui faceva parte, di procurare un’auto rubata di cui il gruppo si era poi avvalso per realizzare l’illecito, non potendosi ascrivere a quella figura giuridica la mera consapevolezza che tale gruppo era dedito alla consumazione di delitti di sangue, diversamente da quanto poi ritenuto sul punto dal giudice di merito.

A dimostrazione dell’infondatezza giuridica di tale assunto si valorizzava la circostanza di fatto che nella sentenza si attribuisse l’illecito indifferentemente a titolo di dolo eventuale o alternativo, figure giuridiche tra loro incompatibili, non applicabili al caso concreto per la mancata rappresentazione dell’evento da parte dell’agente. Non poteva invero ritenersi l’adesione a tale proposito facendo leva sulla mera evocazione della disponibilità del gruppo all’esecuzione di fatti di sangue, ed in argomento si prospettava l’inconsistenza di tale chiave di lettura, che avrebbe potuto riferirsi, ad esempio, anche un semplice progetto di ferimento della vittima.

Valorizzando inoltre quanto dichiarato da P., che assumeva di aver inteso favorire l’associazione in quel periodo con il furto del mezzo, perchè fosse utilizzabile per ogni evenienza, si sottolineava l’assenza di una prova che potesse circoscrivere l’attività del gruppo illecito ai soli fatti di sangue, sì da rendere prevedibile l’evento, circostanza non dimostrata nella pronuncia in esame. Nè tale prova poteva trarsi da quanto riferito dal coimputato R. il quale, pur ammettendo di aver sollecitato il furto del mezzo, non aveva mai dichiarato di aver esplicitato i motivi del gesto all’odierno ricorrente, nè tale consapevolezza poteva trarsi dal consiglio, offerto da P. al titolare del mezzo, di denunciare il furto dell’auto. Per contro, la pacifica vicinanza, o addirittura l’affiliazione di P. alla mafia nissena, a cui poteva ascriversi l’omicidio, non imponeva la sua previa conoscenza del proposito criminoso, limitandosi la sua consapevolezza al momento dell’esecuzione del furto, alla volontà di aderire al gruppo.

3. Con il secondo motivo si denunciava violazione dell’art. 603 cod. proc. pen., nonchè contraddittorietà ed illogicità della motivazione, con riferimento al rigetto dell’istanza di rinnovazione del dibattimento per ritenuta genericità dell’oggetto, afferente la prova del ruolo del prevenuto all’interno del gruppo delinquenziale;

si contestava la valutazione del giudice di secondo grado, che aveva inoltre ritenuto l’istanza rinunciata in quanto non riproposta nel corso del giudizio d’appello.

4. Con il terzo motivo si lamentava violazione e falsa applicazione dell’art. 114 cod. pen. nonchè contraddittorietà ed illogicità della motivazione, in merito al trattamento sanzionatorio, non essendosi adeguatamente valutato il ruolo marginale e fungibile assunto da P. nella vicenda, che permetteva l’applicazione dell’attenuante richiamata.

5. Si contestava inoltre l’applicazione al prevenuto dell’aggravante della premeditazione, essendo tale figura giuridica confliggente con la stessa ricostruzione di fatto posta a base dell’accertamento di responsabilità, ove il giudice aveva concluso sull’esistenza della consapevolezza del proposito di consumare un qualsiasi fatto di sangue e non l’omicidio di cui si tratta, laddove per il suo accertamento era necessario che in capo all’agente sussistesse la precisa consapevolezza dell’altrui premeditazione, maturata prima del suo intervento nell’azione illecita.

6. Si censurava da ultimo il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, avvenuto omettendo la necessaria valorizzazione del ruolo marginale dell’imputato, e della minima intensità del dolo.

7. La difesa di P. il 19/11/2010 depositava memoria che richiamava deduzioni contenute in analogo atto che assumeva depositato in copia all’udienza di secondo grado del 28/10/2009, del quale il giudice non aveva tenuto conto nella sua motivazione, richiamandosi alle deduzioni in esso contenute, ed eccependo, per effetto di tale mancata considerazione, la nullità del provvedimento impugnato. In tale atto, dopo aver richiamato l’iter storico degli accertamenti penali sulla vicenda in esame, si sottoponeva ad analisi quanto riferito da R. nel corso del dibattimento di secondo grado, estrapolando singoli brani delle sue dichiarazioni e richiamando elementi di fatto dai quali, secondo l’esponente, si poteva desumere che P.A., per alcune sue frequentazioni non apprezzate dai consociati, era stato tenuto all’oscuro delle azioni programmate dal gruppo, sicchè ben avrebbe potuto ignorare, contrariamente a quanto assunto dal primo giudice, l’azione delittuosa programmata.

Da ultimo, si negava che dagli atti del procedimento definito con sentenza della Corte d’assise d’appello del 2004 emergesse la circostanza di fatto valorizzata nel provvedimento impugnato, secondo cui P. aveva suggerito al figlioccio proprietario dell’auto utilizzata, di denunciare il furto del mezzo prima dell’omicidio, contestando la possibilità di trarre elementi di conferma alle accuse da quanto dichiarato da M. o F., dichiaranti le cui affermazioni, al contrario, erano state valorizzate in sentenza.

8. La difesa di C.S., dopo aver rilevato che all’affermazione di responsabilità del suo assistito si era giunti per il coinvolgimento operato dal chiamante in correità R. C., riscontrato da M.L., chiamante de relato in quanto depositario di una confessione a riguardo del diretto interessato, ed aver richiamato l’elencazione contenuta in sentenza riguardo le coincidenze tra le versioni rese dai due dichiaranti, contestava l’individuazione del punto di contatto tra i due racconti circa il coinvolgimento del C. nell’azione criminosa, osservando che la pretesa confessione svolta da C. dinanzi a M. riguardava in realtà le indicazioni fornite in ordine al nome degli sparatori ed all’utilizzo di un’autovettura procurata a P., oltre che la generica attribuzione dell’episodio, esplicitato con la frase "hai visto cosa abbiamo fatto?" elementi che potevano essere stati acquisiti dal C. successivamente allo svolgimento dei fatti da parte di terzi, e riguardare esclusivamente il riferimento all’attività svolta dalla propria famiglia mafiosa di appartenenza.

Si sottolineava quindi l’illogicità della motivazione, che aveva ritenuto la responsabilità in base all’apodittica interpretazione dell’espressione riferita, valorizzando la circostanza che proprio tale interpretazione costituiva il discrimine tra la condanna di C. ed il diverso trattamento riconosciuto dalla Corte al coimputato O.G., anch’egli presente all’incontro con R., nel corso del quale M. raccoglieva informazioni sull’accaduto; nei confronti di O. era stata pronunciata l’assoluzione, sicchè la differenza di posizioni era data solo dalla mancata pronuncia da parte di quest’ultimo dell’auto attribuzione di responsabilità.

Si rilevava inoltre che in argomento R., pur indicato presente all’incontro, non aveva confermato la circostanza del contatto, ed incongruamente la corte di merito aveva ritenuto di argomentare a riguardo sull’irrilevanza del contrasto, fornendo una giustificazione al diverso riferimento di R. con un richiamo ad espressioni secondo cui non credeva o non ricordava di essere stato presente a tale incontro; si sottolineava in senso contrario l’incongruenza logica dell’operazione svolta dal giudice di appello di ritenere R. riscontrato da M., malgrado il primo non ricordasse il contesto riferito dal secondo. Ulteriore discrasia nell’interpretazione del giudice si traeva dall’assoluzione di C. per l’omicidio Cu., divenuta definitiva, ascrivibile invece al C. secondo R., circostanza invece non confermata da M.; interpretando come reale la frase pronunciata da C. al M., non si comprenderebbe, secondo il ricorrente, l’elemento differenziale tra i due episodi, sia sotto l’aspetto del comportamento tenuto da C., che dell’interpretazione fornita ai suoi discorsi da M..

In tal senso si chiedeva l’annullamento della sentenza, che si assumeva viziata da illogicità, e contraddittorietà.

Motivi della decisione

1. Le censure alla sentenza impugnata sono infondate.

Analizzando previamente i motivi di ricorso proposti dalla difesa di P. si deve sottolineare che emerge pacificamente dagli atti, e dalle stesse ammissioni di P., la sua partecipazione all’attività dell’associazione per delinquere capeggiata da R., il quale ebbe a definire compiutamente le attività svolte dal gruppo, chiarendo che le armi e le autovetture venivano destinate allo svolgimento dei fatti di sangue, escludendo la loro utilizzazione per altri reati; del resto altrettanto pacifica è la custodia di tali beni ad opera dei latitanti appartenenti al gruppo che eseguivano l’azione, e che, logicamente, non si sarebbero esposti per portare a termine azioni di minore rilevanza. Ulteriore elemento concretamente emergente dalle sentente di merito è la sicura unitarietà del programma di uccisione di Cu. e V. da parte del gruppo, tanto che, in relazione a quest’ultimo delitto, R. chiarì che, decisa la sua verificazione, rimaneva incerta solo la data di sua realizzazione, che venne individuata in quella dell'(OMISSIS) la mattina dello stesso giorno; ciò si è potuto realizzare in quanto previamente i sicari erano in possesso delle armi e dell’auto procurata da P., oltre che, per quanto si esporrà in seguito, di tutte le informazioni sulla vittima che consentivano di eseguire il delitto in tranquillità, e che avevano permesso di programmarlo in un luogo determinato, per accedere al quale era essenziale, per l’appunto, il possesso di un automezzo. Ne consegue che, rispetto a tale piano, del tutto condiviso dall’associato P. – il quale per la verità non lo ha mai negato, limitandosi a dichiarare di non conoscere il momento effettivo in cui sarebbe stato eseguito il delitto – è fuorviante ricorrere alla figura del dolo alternativo o eventuale, trattandosi di dolo diretto, cioè di coscienza e volontà dell’azione, della quale P., realizzando l’acquisizione del mezzo, aveva scientemente posto in essere un elemento essenziale di verificazione, esplicitato dalla consegna del bene ai latitanti, che erano in possesso delle armi, non si sarebbero certo esposti per la realizzazione di azioni di minore spessore.

Circa le smentite emergenti dagli atti alla ricostruzione di fatto posta a base in sentenza, in relazione al consiglio reso da P. al proprietario del mezzo di denunciarne la sottrazione prima del delitto, la difesa si è limitata a contrastare la veridicità delle risultanze, omettendo di dimostrare la non rispondenza al reale di quanto attestato in sentenza, non adempiendo all’onere specificamente posto a suo carico dalla lettera dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) di indicazione dell’atto contenente la diversa risultanza nel fascicolo processuale o di materiale produzione dello stesso (principio pacifico; per tutte da ultimo Sez. 4, n. 3360 del 16/12/2009, dep. 26/01/2010, imp, Mutti, Rv. 246499); ne consegue che la sussistenza del vizio denunciato debba escludersi.

2. Insussistente è altresì, secondo i principi generali, l’eccepito vizio di motivazione, con riferimento all’omessa esplicitazione del rigetto dell’istanza di rinnovazione del dibattimento. In diritto deve osservarsi che l’obbligo di motivazione sussiste ove venga disposta la rinnovazione del dibattimento, per superare la presunzione di completezza dell’istruttoria di primo grado (principio pacifico; per tutte da ultimo Sez. 3, Sentenza n. 24294 del 07/04/2010, dep. 25/06/2010, Imp. D. S. B., Rv. 247872); in fatto si rileva che il giudice di appello ha congruamente motivato il rigetto, valutando ostativa all’accoglimento la genericità della richiesta, fondata sulla necessità di acquisire atti di altri procedimenti, non specificamente indicati, per di più tendenti ad acquisire valutazioni sulla natura marginale della partecipazione del P. al gruppo delinquenziale, non dirimente rispetto alla valutazione dell’azione in esame, che, sulla base di quanto emergeva dagli atti essendosi consolidata nell’arco di tempo tra il (OMISSIS), ed avendo avuto una graduale esecuzione con l’omicidio Cu. prima, cui era strettamene legato quello di V., e con la sottrazione del mezzo dopo, non poteva sfuggire anche a partecipi del gruppo delinquenziale, in ipotesi officiati solo di azioni marginali.

3. Meritevole di conferma è la decisione del giudice di merito di negare l’applicazione dell’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen. rispetto alla quale, viceversa, si sarebbe verificata violazione di legge nel caso di suo riconoscimento, atteso che l’applicabilità della diminuente è espressamente esclusa dalla lettera della disposizione in esame in caso di sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 112 cod. pen. pacificamente contestata, e ricorrente in fatto nella specie, ove si è accertata la consumazione dei reati da parte di almeno cinque persone.

4. Corretta è l’applicazione dell’aggravante della premeditazione, la cui sussistenza emerge pacificamente dalla ricostruzione dell’omicidio fornita da R. che ha chiaramente riferito, come si è accennato, che fin da gennaio era stata decisa l’esecuzione di Cu. e V., e che la loro materiale consumazione era correlata alla ricerca di una situazione di fatto che permettesse l’agevole esecuzione; in particolare quest’ultimo delitto era stato preceduto dallo studio delle abitudini della vittima e dalla predisposizione dei mezzi per la sua esecuzione, in modo da consentirla statim, indiscussa l’irretrattabilità del progetto e la sua praticabilità sulla base delle osservazioni disposte. Tale eventi – decisione e programmazione – ed intervallo temporale rispetto alla consumazione durante il quale non venga modificato il proposito, sono circostanze di fatto del tutto tipiche della figura giuridica della premeditazione (Sez. U n. 337 del 18/12/2008, dep. 09/01/2009, imp. Antonucci Rv. 241575), punita più gravemente proprio in quanto in essa non è preponderante l’occasionalità del momento, come si è verificato nella specie, ove il casus belli, è servito solo a sancire l’indifferibilità ulteriore del programma, già compiutamente messo a punto, per realizzare il quale non risulta esservi stato bisogno di ulteriori istruzioni da impartire agli esecutori, ma solo della materiale indicazione di partenza.

5. Sulla possibilità di concedere le attenuanti generiche la Corte di merito ha compiutamente motivato richiamando sia gli elementi oggettivi di gravità del fatto – ferocia, movente, sfruttamento di condizioni di ridotta difesa – che soggettivi, in ragione dei precedenti, anche specifici risultanti a carico di P. e riguardanti un episodio di pari gravità consumato meno di due anni prima dei fatti oggetto del presente procedimento.

A fronte di tale articolata motivazione non sussiste alcuna violazione di legge nella decisione di negare l’attenuazione della pena in applicazione delle sollecitate attenuanti, non costituendo queste ultime un diritto del condannato, essendo finalizzate a consentire la valorizzazione di elementi positivi, ove esistenti, non prevedibili astrattamente dal legislatore, ed agganciati al caso concreto. Nel caso di specie esaustivamente il giudice di merito ha valorizzato elementi negativi di sicuro spessore, che impediscono la giustificazione di un trattamento sanzionatorio più mite, nè a fronte della natura preminente di tali elementi il giudicante era tenuto a confutare singolarmente le circostanze di segno contrario evidenziate dalla difesa (da ultimo Sez. 6, Sentenza n. 34364 del 16/06/2010, dep. 23/09/2010, imp. Giovane, Rv. 248244), che, alla luce delle considerazioni esposte sulla ricostruzione del delitto, e quindi della piena consapevolezza del P., sono per di più prive di qualsiasi consistenza concreta.

6. E’ infondata inoltre l’eccezione di nullità sollevata con la memoria depositata, e basata sulla pretesa mancata motivazione del giudice di secondo grado sugli elementi di fatto esposti nella memoria depositata dinanzi al giudice di appello, di cui si riporta il contenuto.

L’eccezione in rito si basa su di un precedente di questa Corte (sez. feriale n. 32380 del 09/09/2010, dep 22/09/2010, imp. Lombardi), riguardante tutt’altra fattispecie, inerente un provvedimento cautelare, impugnato in sede di riesame; è evidente che la diversità di fase processuale non può che assumere incidenza sulla fondatezza del rilievo, atteso che nel caso del riesame, assente l’effetto devolutivo dell’atto di impugnazione, il campo dell’indagine del giudice adito è segnato da tutte le eccezioni proposte, anche nel corso della discussione, sicchè il mancato esame di una memoria depositata in quel contesto comporta un mancato pronunciamento su motivi di impugnazione ritualmente dedotti, mentre nella specie, ove sono previsti specifici motivi di ricorso, delineati dall’art. 606 cod. proc. pen. la mancata articolazione motivazionale sul contenuto della memoria non poteva che essere eccepito nei termini di legge, lamentando il vizio di cui alla lett. e) della disposizione richiamata, motivo di ricorso che invece non è stato proposto nei termini.

Per di più la memoria, che risulta tardivamente depositata in questo ufficio, è costituita asseritamente da una copia dell’atto depositato in secondo grado, privo dell’attestato di deposito, e contiene una serie di valutazioni in merito alle prove, di cui riporta stralci estrapolati secondo criteri non oggetti va mente valutabili, volti a segnalare un travisamento della prova che costituisce anch’esso specifico motivo di ricorso, non proposto nei termini, che avrebbe dovuto comunque essere documentato dall’allegazione della copia integrale dell’atto, o della sua collocazione precisa nell’ambito del fascicolo processuale, per il principio dell’autosufficienza del ricorso (Sul punto Sez. 4, n. 37982 del 26/06/2008, dep. 03/10/2008, imp. Buzi, Rv. 241023). Si deve pertanto concludere che il contenuto della memoria prodotta sollecita una valutazione di merito, esclusa in questa fase, e non rivela neppure indirettamente la presenza di un travisamento di fatto, comunque non dedotto quale motivo di ricorso nei termini di legge.

7. Infondato risulta anche il ricorso di C., basato sulla contestazione della solidità degli elementi di riscontro a suo carico. In realtà nella sentenza è compiutamente motivata sia la credibilità della chiamata di correo di R., sia il peso specifico del riscontro fornito da M., il quale, ha richiamato la sua informazione sulle modalità di sviluppo dell’azione omicidiaria, per come conosciute tramite le parole di C., il quale con l’attribuzione al suo gruppo di tale condotta, ha valorizzato sia la sua partecipazione, desumibile anche dalla piena conoscenza delle modalità attuative dell’agguato, sia la sua esigenza di essere considerato organico del gruppo, organizzazione alla quale ambiva di partecipare in via definitiva.

La motivazione in proposito risulta ampia, coerente e non smentita dalle diverse considerazioni contenute in ricorso, poichè si attarda a considerare che l’inattendibilità delle smentite di R. alla verificazione di una conversazione con terzi sull’omicidio, si ricava dalla sua stessa ricostruzione, ove da per scontato di aver tenuto un comportamento di esplicitazione dell’attività illecita anche con persone non strettamente legate al gruppo, tra cui il M., pur dopo aver genericamente negato di aver mai tenuto una condotta così imprudente. In tal senso quindi la pretesa assenza di riscontri alla ricostruzione di M. è esclusa in radice.

Nè può desumersi la sussistenza di un contrasto logico tra la condanna di C. e l’assoluzione del correo O., o la stessa assoluzione del primo dall’imputazione riguardante il delitto Cu., essendo entrambe le decisioni richiamate logica conseguenza del principio giuridico dell’insufficienza della singola chiamata di correo a costituire prova di responsabilità, ove sia assente il riscontro, mentre nel caso oggetto di questo procedimento si è in presenza di due elementi di carico, che si riscontrano reciprocamente, contrariamente a quanto avvenuto nelle due situazioni richiamate.

8. Il rigetto dei ricorsi comporta la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ex art. 616 cod. proc. pen..

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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