Cass. civ. Sez. II, Sent., 04-02-2011, n. 2756 Parti comuni dell’edificio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 22 marzo 2001 il Tribunale di Perugia – adito in riassunzione, dopo una fase nunciatoria, da B.A., S.D. e M.O. nei confronti di L. V. e S.I. – respinse la domanda, che era diretta a ottenere la condanna dei convenuti alla sospensione ed eliminazione di opere estese anche a porzioni comuni dell’edificio in condominio tra le parti.

Impugnata dai soccombenti, la decisione è stata parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Perugia, che con sentenza del 18 ottobre 2004 ha condannato L.V. e S.I. a rimuovere una rete metallica, un lavatoio prefabbricato e una vetrata di chiusura di un balcone.

L.V. e S.I. hanno proposto ricorso per cassazione, in base a tre motivi, poi illustrati anche con memoria.

S.D. e M.O. si sono costituiti con controricorso e hanno presentato a loro volta una memoria. B. A. non ha svolto attività difensive nel giudizio di legittimità.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso L.V. e S.I. sostengono che la Corte d’appello, condannandoli a rimuovere la rete metallica e il lavatoio collocati nel marciapiede perimetrale di contorno dell’edificio in questione, è incorsa in ultrapetizione, poichè quei manufatti erano stati indicati dagli attori soltanto nella loro comparsa conclusionale e non nel ricorso per denuncia di nuova opera nè nel successivo atto di riassunzione del giudizio davanti al Tribunale.

La doglianza è infondata.

Risulta dagli atti di causa – che questa Corte può direttamente prendere in esame, stante la natura di error in procedendo del vizio denunciato – che B.A., S.D. e M. O., nel promuovere sia il giudizio nunciatorio sia quello ordinario, avevano testualmente lamentato che i convenuti avessero "impedito il passaggio pedonale sullo scioito intorno al fabbricato per mL. 1", richiamando anche quanto emergeva dalle fotografie da loro prodotte. La domanda di riduzione in pristino era dunque dotata di sufficiente specificità e precisione, non occorrendo che fosse singolarmente menzionata ognuna delle opere che a tale impedimento avevano dato luogo.

Una analoga censura di ultrapetizione viene rivolta alla sentenza impugnata con il secondo motivo di ricorso, con cui si deduce che la rimozione della veranda non era compresa nella domanda formulata dagli attori, poichè costoro avevano agito per ottenere la dichiarazione di illegittimità e la rimozione della "nuova opera intrapresa da L.V. e S.I. sulle parti comuni del condominio" e tale non poteva ritenersi la creazione della veranda stessa, realizzata nel balcone di proprietà esclusiva dei convenuti e risalente a quattro anni prima dell’inizio del procedimento cautelare.

Neppure questo assunto è condivisibile.

La trasformazione del balcone in veranda era stata espressamente compresa dagli attori, nella citazione in riassunzione come già nel ricorso per denuncia di nuova opera, tra "le opere realizzate illegittimamente", oggetto della domanda di riduzione in pristino.

Nè rileva che la trasformazione del balcone in veranda risalisse a più di un anno prima, poichè nell’ordinario giudizio di merito susseguente alla fase nunciatoria "l’attore non incontra alcuna preclusione in ordine ai requisiti che, invece, condizionano la proponibilità dell’azione in sede cautelare (infrannualità dall’inizio dell’opera ed incompletezza della stessa) e la concessione della misura richiesta (pericolo di danno) ed è tenuto solo a dimostrare la sussistenza della denunziata lesione alla situazione di fatto od al diritto fatti valere" (Cass. 15 ottobre 2001 n. 12511).

Con il terzo motivo di ricorso L.V. e S.I. lamentano che la Corte d’appello, trascurando le risultanze istruttorie documentali e tecniche, ha erroneamente e ingiustificatamente che la costruzione della veranda avesse alterato l’aspetto architettonico dell’edificio, invece già menomato da opere realizzate in precedenza da altri condomini.

Anche questa censura va disattesa.

Si verte in tema di accertamenti di fatto e valutazioni di merito, insindacabili in questa sede se non sotto il profilo dell’omissione, insufficienza o contraddittorietà della motivazione. Da tali vizi la sentenza impugnata è immune, poichè la Corte d’appello ha dato adeguatamente conto, in maniera esauriente e logicamente coerente, delle ragioni della decisione, spiegando che "quello dei convenuti è l’unico balcone chiuso con una vetrata, il che lo rende dissimile da tutti gli altri ed asimmetrico rispetto all’armonia complessiva dell’edificio che, pur non essendo di lusso, ha una sua decorosa dignità d’insieme". D’altra parte, il giudice di secondo grado ha preso atto delle modificazioni apportate sia dagli attori sia dai convenuti, come anche dalla quasi totalità degli altri condomini, al piano terreno dell’edificio, mediante la chiusura con tamponature e serrande del portico preesistente; ma si tratta di opere la cui tipologia e ubicazione diverse, rispetto a quella oggetto della causa, tali quindi da non incidere su quell’aspetto architettonico del fabbricato, di cui la Corte d’appello ha constatato l’avvenuta compromissione, in seguito alla realizzazione della veranda.

Il ricorso viene pertanto rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti – in solido, stante il comune loro interesse nella causa – a rimborsare ai resistenti le spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in 200,00 Euro, oltre a 2.000,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti in solido a rimborsare ai resistenti le spese del giudizio di cassazione, liquidate in 200,00 Euro, oltre a 2.000,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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