Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 01-12-2010) 13-01-2011, n. 662 Ammissione al passivo; Violazioni; Reati tributari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bergamo procede nei confronti dei ricorrenti per i reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-quater e, per il solo C., D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10, fatti commessi:

– quanto alle posizioni T. e C., nel periodo d’imposta (OMISSIS) in relazione all’attività svolta dalla società TECAV, avente sede legale inizialmente in (OMISSIS) e quindi trasferita in stato estero ((OMISSIS)), nonchè sede operativa in (OMISSIS). L’ipotesi di accusa è di avere originato un fittizio credito IVA ammontante ad oltre 500.000,00 Euro successivamente utilizzato al fine di non versare l’imposta dovuta, provvedendo poi a occultare la documentazione contabile;

– quanto alla posizione G., nel periodo d’imposta (OMISSIS) in relazione all’attività svolta dalla SEARTECH Srl, avente sede in provincia di (OMISSIS) e sede operativa in (OMISSIS), società strettamente col legata alla Tecav. Ritenuto sussistere un grave quadro indiziario e applicabile l’istituto della "confisca per equivalente", e del sequestro ad essa funzionale, su richiesta del Pubblico Ministero formulata L. 24 dicembre 2007, n. 244, ex art. 1, comma 143, in data 23 Marzo 2010 il G.i.p. ha emesso nei confronti degli indagati un decreto di sequestro preventivo avente ad oggetto beni immobili e partecipazioni societarie. Il G.i.p. ha ritenuto di poter prendere in considerazione al fine della determinazione del provvedimento cautelare non solo il prezzo, ma anche il profitto di reato contestato.

Avverso tale decreto gli indagati hanno proposto separate istanza di riesame, che il Tribunale ha esaminato congiuntamente e deciso con l’ordinanza qui impugnata.

Il Tribunale ha respinto tutte le censure prospettate dagli indagati e confermato sia l’esistenza del fumus di reato sia la fondatezza dei presupposti del sequestro individuati dal G.i.p. sia la legittimità del sequestro di beni riconducibili alla persona degli indagati.

Con unico atto di impugnazione i Sigg. C., S. e G. propongono personalmente avverso l’ordinanza del Tribunale di Bergamo un ricorso articolato su plurimi motivi che possono sintetizzarsi come segue:

1. per la sola posizione C.: violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-quater che è stato erroneamente contestato al ricorrente a titolo di concorso: il reato in parola, infatti, si perfeziona con la presentazione del mod. F23 e deve essere considerato reato istantaneo ad effetti permanenti, così che esso è attribuibile al solo amministratore della società, che in qual momento era il Sig. S.: nessun addebito può essere mosso al Sig. C., mero socio, risultando del tutto illegittimo che il concorso di costui nel reato venga desunto da una condotta agevolatrice successiva (l’occultamento delle scritture contabili);

2. per la sola posizione C., violazione della L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 143 in quanto il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10, che è reato di mero pericolo, non è tra quelli che consentono la confisca per equivalente. Inoltre, con riferimento alle posizioni C. e S. è errata l’affermazione contenuta in ordinanza (pag. 10) secondo cui il sequestro per equivalente può colpire anche beni che non siano in rapporto diretto con il reato o i reati contestati;

3. per le posizioni C. e S., violazione di legge per errata applicazione della L. Fall., art. 216, essendo stata la soc. Tecav dichiarata fallita con sentenza 2 Novembre 2009 dal Tribunale di Milano. Posto che i reati tributari sarebbero stati in ogni caso commessi dagli indagati nella veste di amministratori e senza alcun vantaggio personale, lo Stato può assumere la veste di creditore nella procedura concorsuale e non procedere ad azioni autonome a tutela del proprio credito;

4. per la posizione G., violazione di legge con riferimento all’art. 1 c.p., art. 322-ter c.p. e L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 143 in quanto il Tribunale ha errato nel prendere in esame la "comunicazione IVA" del febbraio 2008, che è documento non rilevante ai fini della determinazione del credito o debito d’imposta, ed ha errato nel ritenere comunque che il credito IVA maturato nell’anno d’imposta 2007 fosse fittizio. Inoltre, erroneamente è stato disposto il sequestro nei confronti dei beni del legale rappresentante della società invece che nei confronti dei beni della società stessa, mancando del tutto la prova che il ricorrente abbia partecipato alla divisione degli utili o del prezzo del reato; in assenza di correità, infatti, l’aggressione ai beni personali opererebbe come moltiplicatore delle garanzie per l’Erario in violazione dei principi fissati anche dalla giurisprudenza Cedu.

Motivi della decisione

1. Rileva preliminarmente la Corte, con riferimento al secondo motivo di ricorso, che il sequestro preventivo in esame può essere disposto unicamente per il reato previsto dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-quater, non potendo discendere dall’art. 10 della medesima legge conseguenze pregiudizievoli per lo Stato che fondino una pretesa tutelabile a mezzo della misura cautelare. Tuttavia, tale conclusione non comporta il venire meno dei presupposti legittimanti il sequestro disposto nei confronti del Sig. C., che trova fondamento nella ulteriore contestazione dell’art. 10-quater cit..

2. Il ricorso risulta, poi, infondato nella parte in cui col primo motivo prospetta l’impossibilità di applicare ai reati in esame l’istituto del concorso di persone ex art. 110 c.p.. A parere della Corte se è vero che il reato previsto dall’art. 10-quater cit., viene commesso in via principale dagli amministratori, quali responsabili del rispetto degli oneri tributari, ciò non impedisce che alla commissione del reato proprio concorrano altri soci o altre persone, la cui co-responsabilità può trovare fondamento in condotte consapevoli che rispondano ai requisiti fissati in via generale dall’art. 110 c.p..

Una volta esclusa la fondatezza dell’interpretazione del dato normativo prospettata dai ricorrenti, la Corte non può non rilevare che la motivazione dell’ordinanza impugnata risulta sul punto priva di manifesta illogicità e non meritevole di censure in sede di legittimità. Il provvedimento impugnato, infatti, da conto delle circostanze in cui i reati sarebbero maturati e dei presupposti di esistenza del "fumus" di reato in capo ai destinatari del sequestro.

Sul punto la Corte rileva che al Sig. C. non viene addebitato la sola condotta successiva di occultamento delle scritture contabili, bensì una sua posizione all’interno della società al momento della commissione delle condotte ex art. 10-quater che qualifica e attribuisce significato alla sua successiva attivazione per l’occultamento della documentazione contabile funzionale al perfezionamento del disegno criminoso. E’, dunque, dalla complessiva condotta del ricorrente che l’ordinanza impugnata deduce il concorso del Sig. C. nel reato, e tale prospettazione non pare alla Corte manifestamente illogica. Il relativo motivo di ricorso va, dunque, dichiarato privo di fondamento.

3. Quanto ai limiti di sequestrabilità dei beni personali degli amministratori e dei concorrenti nel reato tributario invocati dai ricorrenti, la Corte osserva che la giurisprudenza in tema di sequestro preventivo citata alle pag. 5 e 6 del ricorso non tiene conto della diversa natura del sequestro preventivo previsto dal codice di rito e rispetto a quella del sequestro che ex art. 322-ter c.p. mira a consentire la futura confisca "per equivalente".

Quest’ultimo costituisce lo strumento anticipatorio della tutela prevista dalla confisca di una somma (o di beni) corrispondente al danno arrecato alla cosa pubblica e non esperibile mediante gli strumenti che aggrediscono direttamente il prezzo o il profitto del reato. Tale difetto di lettura e di interpretazione del dettato normativo comporta che il ricorso erri allorchè prospetta l’impossibilità per l’autorità giudiziaria di sottoporre a vincolo i beni personali delle persone indagate (sul punto si rinvia alle decisioni assunte dalle Sezioni Unite Penali con la sentenza Caruso del 2009 e alla conferma dei medesimi principi che questa Sezione ha operato con la sentenza n. 6288 del 2010, Morotti e altri), e ciò anche congiuntamente al sequestro che abbia ad oggetto i beni della persona giuridica amministrata o diretta dagli indagati (per tutte, Sezione Sesta penale, sentenza n. 26611 del 2009, Betteo, rv 244254).

Osserva la Corte a tale proposito che i ricorrenti non hanno in alcun modo fornito elementi decisivi per affermare i vantaggi del reato fiscale siano stati finalizzati alla sole società: le somme dovute e non versate possono essere state dirottate, seguendo l’ipotesi di accusa, verso disponibilità non ufficiali e la reale destinazione delle somme sarà uno degli oggetti di indagine, con la conseguenza che non vi sono allo stato ragioni per ritenere illogica o incoerente l’affermazione di sussistenza del "fumus" di reato a carico dei singoli indagati anche sotto tale profilo (sulla confiscabilità ex art. 322-ter c.p. delle somme di denaro sottratte al pagamento dell’IVA, si rinvia alla sentenza di questa Sezione n. 25890 del 2010, Molon, rv 248058).

Il ricorso erra, altresì, allorchè prospetta la mancanza di autonomia dei reati tributari rispetto alle successive violazioni della legge fallimentare. Va considerato che lo strumento previsto dall’art. 322-ter c.p., ed esteso ai reati tributari dalla L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 143, non è riducibile alle forme di responsabilità societaria previste dagli ordinari strumenti concorsuali e dalle fattispecie di bancarotta, con la conseguenza che la (asserita e non dimostrata in questa sede) mancata insinuazione dello Stato al passivo della società fallita non impedisce in nessun caso all’autorità giudiziaria di procedere al sequestro "per equivalente" nei confronti degli amministratori della società e dei concorrenti nel reato qualora ne sussistano i presupposti.

4. Venendo così al quarto motivo di ricorso, la Corte rileva che il quadro indiziario prospettato dai giudici di merito non si riconnette esclusivamente alla "comunicazione" Iva presentata nel febbraio 2008, ma trova fondamento nella formazione di un credito d’imposta che la società avrebbe falsamente maturato nel corso dell’anno 2007 e quindi impropriamente utilizzato nel corso dell’anno 2008. La fondatezza di tale ipotesi sarà oggetto del giudizio di merito, spettando in questa fase alla Corte esclusivamente il controllo sulla coerenza e logicità della motivazione dell’ordinanza impugnata nella parte in cui ritiene sussistere il "fumus" di reato e ritiene che il quadro complessivo delle indagini giustifichi l’esistenza di uno sviamento delle somme al di fuori dei canali societari. A tal proposito deve ricordarsi che con decisione della Quinta Sezione Penale di questa Corte n. 10810 del 2010, Perrottelli, rv 246364, in linea con la giurisprudenza maggioritaria, si è affermato il principio che il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente può interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto accertato, ovviamente entro i limiti dell’ammontare complessivo e senza procedere a duplicazioni.

Alla luce delle considerazioni fin qui esposte il ricorso deve essere respinto e i ricorrenti condannati, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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