Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 10-11-2010) 13-01-2011, n. 672 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1. – Con la decisione in epigrafe la Corte d’appello di Lecce, sull’impugnazione del pubblico ministero, ha riformato la sentenza con cui il Tribunale della stessa città aveva assolto D. G.A. dal reato di cui all’art. 385 c.p., per essersi allontanato dalla propria abitazione dove si trovava agli arresti domiciliari, e lo ha condannato alla pena di sei mesi di reclusione.

2. – Contro la sentenza di appello ricorre personalmente l’imputato e deduce l’erronea applicazione dell’art. 385 c.p., in quanto i giudici avrebbero dovuto escludere la sussistenza del reato, mancando nella specie la stessa condotta tipica dell’allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari, tenuto conto che lo stesso era sceso nell’atrio condominale per aprire la porta agli agenti che dovevano svolgere il controllo di routine.

3. – Il ricorso è manifestamente infondato.

Secondo una consolidata giurisprudenza di questa Corte, agli effetti del reato di evasione dagli arresti domiciliari, per "abitazione" deve intendersi il luogo in cui la persona conduce la propria vita domestica e privata con esclusione di ogni altra appartenenza che non sia di stretta pertinenza dell’abitazione stessa e non ne costituisca parte integrante; conseguentemente si esclude che possano rientrare nella nozione di "abitazione" le aree condominiali, le dipendenze, i giardini, i cortili e gli spazi simili (tra le tante v., Sez. 6, 18 novembre 2007, n. 3212, P.M. in proc. Perrone; Sez. 6, 25 marzo 2003, n. 26695, Pani). Tale interpretazione rigorosa si giustifica con l’esigenza di assicurare i controlli di polizia sulla reperibilità dell’imputato, che devono avere il carattere della prontezza e della non alcatorietà.

Nella specie l’imputato è stato sorpreso "al di fuori del proprio appartamento, nel portone d’ingresso del palazzo", quindi in un luogo che non rientra nel concetto di abitazione, sicchè correttamente i giudici di appello hanno ritenuto sussistente il reato di cui all’art. 385 c.p..

Le giustificazioni offerte dall’imputato, che formano il motivo di ricorso per cassazione, sono state attentamente prese in considerazione dalla Corte territoriale, che però ha evidenziato come siano state smentite da quanto riferito dal vice brigadiere Cavino, che ha escluso sia di aver suonato al citofono, sia che la fidanzata dell’imputato fosse affacciata al balcone e che ha riferito che alla vista degli agenti l’imputato si è dato a fuga precipitosa, rientrando immediatamente nel suo appartamento, circostanze queste che contraddicono la tesi difensiva – tra l’altro volta a negare la sussistenza del dolo -, secondo cui l’imputato sarebbe sceso per aprire il portone ai Carabinieri.

4. – Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che si ritiene equo determinare in Euro 1.000, in considerazione delle questioni trattate.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della soma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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