Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 07-10-2010) 13-01-2011, n. 670

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza del 26 novembre 2007, confermava la sentenza del Tribunale di Cosenza in data 27 marzo 2007, appellata dall’imputato B.F., condannato, con le attenuanti generiche, alla pena di anni due e mesi sei di reclusione, in quanto responsabile di vari fatti di peculato e falso, commessi nella sua qualità di curatore del fallimento Benedetto Benedetto e del fallimento Roby 80 s.r.l.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo dei difensori avvocati Giuseppe Carratelli e Nicola Carratelli, i quali denunciano:

2.1. Erronea configurazione della fattispecie di cui all’art. 314 cod. pen. in luogo di quella di cui alla L. Fall., art. 230 (Omessa consegna o deposito di cose del fallimento), norma speciale rispetto alla prima, non essendo stata accertata alcuna condotta di utilizzazione delle somme incompatibile con il riconoscimento della loro appartenenza alla procedura fallimentare, ma solo un ritardo nel deposito delle somme incassate, nulla rilevando che tale deposito sia avvenuto solo molto tempo dopo l’ordine dato dal giudice delegato, posto che comunque dette somme non erano mai entrate a far parte del patrimonio del curatore.

2.2. Erronea applicazione dell’art. 314 cod. pen. e mancanza di motivazione con riferimento alla contestazione di cui al capo C, relativa alla appropriazione degli interessi legali maturati tra la data dell’incasso delle somme di cui ai capi A e B e quella del loro versamento sul libretto intestato alla procedura fallimentare, stante la natura istantanea del reato di peculato, con conseguente irrilevanza della percezione dei relativi frutti civili; punto sul quale la Corte di appello non aveva speso parola.

2.3. Erronea applicazione dell’art. 479 cod. pen. e mancanza di motivazione con riferimento alla contestazione di cui al capo D, per innocuità del falso, dovuto a un errore causato da superficialità o leggerezza. Anche su tale punto la Corte di appello ha omesso ogni risposta.

3. Successivamente l’avv. Nicola Carratelli ha depositato memoria difensiva e motivi aggiunti, insistendo nelle censure già proposte e ulteriormente illustrandole anche alla luce della giurisprudenza più recente della Corte di cassazione.

Con riferimento al capo D osserva inoltre che l’atto di cui alla contestazione (relazione diretta al giudice delegato) era in realtà una comunicazione di natura privata, volta unicamente a giustificare le carenze professionali dello scrivente.

Deduce inoltre la intervenuta prescrizione dei reati di cui ai capi A, B, E ed F.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato solo con riferimento alla contestazione di cui al capo C. L’imputato, secondo la ineccepibile ricostruzione dei giudici di merito, si è appropriato le somme a lui versate quale curatore nell’ambito di varie procedure fallimentari, trattenendole nel suo portafoglio e versandole, solo a distanza di molti anni e solo a seguito di sollecitazione del giudice delegato, nel libretto intestato alle procedure.

Tale condotta giustamente è stata considerare integrare la fattispecie di peculato e non quella di cui alla L. Fall., art. 230, la quale ultima si verifica nella ipotesi di inottemperanza all’ordine del giudice di versare somme o altre cose pertinenti al fallimento, mentre nel caso in esame il lunghissimo tempo trascorso dall’acquisizione da parte del B. delle somme versate alla procedura è stato ineccepibilmente ritenuto, considerate anche l’entità delle somme, le negazioni da parte dell’imputato di averle ricevute e la reiterazione delle condotte antigiuridiche, elemento inequivocabilmente sintomatico di una volontà di appropriazione delle stesse (v., per analoga fattispecie, Cass., sez. 6^, n. 40673, 30/10/2006, dep. 13/12/2006, Lorusso).

Va invece esclusa la configurabilità di un distinto peculato con riferimento agli interessi maturati sulle somme indebitamente trattenute (capo C), posto che il reato in esame si perfeziona con l’appropriazione di cosa altrui, restando irrilevanti, se non ai fini della valutazione del disvalore del fatto e del danno subito dalla persona offesa, i frutti che la cosa abbia medio tempore prodotto.

Consegue l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente a tale contestazione, perchè il fatto non sussiste.

2. La doglianza afferente alla configurabilità del delitto di falso ideologico in atto pubblico (capo D), dedotta soltanto con i motivi aggiunti, e non collegata al punto toccato con il ricorso principale, è, per tale considerazione, inammissibile, a prescindere dalla sua manifesta infondatezza.

3. Va peraltro dichiarata la estinzione dei reati sub E e F, perchè estinti per prescrizione, trattandosi di fatti consumati rispettivamente il 7 dicembre 1996 e il 14 luglio 1997, dato che il termine di cui all’art. 157 cod. pen., pari a dieci anni, in considerazione della pena massima edittale, aumentato di un quarto per gli atti interruttivi a norma dell’art. 161 cod. pen., comma 2, e quindi complessivamente pari a dodici anni e sei mesi, viene a cadere, rispettivamente, il 7 giugno 2008 e il 14 gennaio 2010; il tutto secondo la nuova disciplina recata dalla L. 15 dicembre 2005, n. 251, entrata in vigore prima della sentenza di condanna in primo grado.

4. Altra sezione della Corte di appello di Catanzaro dovrà conseguentemente procedere alla rideterminazione della pena, in relazione all’assoluzione dell’imputato dal delitto sub C e alla declaratoria di prescrizione per i delitti sub E e F.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla imputazione di cui al capo C, perchè il fatto non sussiste, nonchè in ordine alle imputazioni di cui ai capi E e F perchè i reati sono estinti per prescrizione.

Rinvia per la determinazione della pena ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro.

Rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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