Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 06-10-2010) 13-01-2011, n. 692

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

I ricorrenti M.A. e Mi.Ga. impugnano per cassazione la sentenza di cui in epigrafe, resa ai sensi dell’art. 444 c.p.p., che ha loro applicato le pene secondo le concordi richieste delle parti per il delitto D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73 (detenzione di cocaina e hashish a fine di spaccio).

Denunciano la mancata rilevazione delle condizioni di applicabilità dell’art. 129 c.p.p..

Il M. lamenta altresì che gli sono stata illegittimamente confiscati le quote sociali e il patrimonio aziendale della Soc. Multi Macca, già oggetto di sequestro preventivo.

Va premesso che, nel procedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti, all’accordo tra imputato e pubblico ministero su qualificazione giuridica della condotta contestata, concorrenza e comparazione di circostanze ed entità della pena, fa riscontro il potere dovere del giudice di controllare la correttezza giuridica del patto e la congruità della pena richiesta, applicandola previo accertamento della non emersione, in modo evidente, di una delle cause di non punibilità previste dall’art. 129 c.p.p..

Ne consegue che – una volta ottenuta l’applicazione di una determinata pena ex art. 444 c.p.p. – l’imputato non può rimettere in discussione profili oggettivi o soggettivi della fattispecie perchè essi sono coperti dal patteggiamento.

Tanto premesso, si osserva che i motivi dei ricorsi relativi alla violazione dell’art. 129 c.p.p. sono inammissibili, atteso che il giudice, nell’applicare la pena concordata, si è adeguato a quanto contenuto nell’accordo tra le parti, dando puntualmente atto dell’insussistenza dei presupposti di applicabilità dell’art. 129 c.p.p.: motivazione che, avuto riguardo alla ricordata speciale natura del procedimento "de quo", è da considerarsi esaustiva, secondo la costante giurisprudenza di legittimità (v., tra le altre, Sez. un., u.p. 27 marzo 1992, Di Benedetto; Sez. un., u.p. 27 settembre 1995, Serafino; Sez. un., u.p. 25 novembre 1998, Messina).

Inammissibile è pure il motivo del ricorso del M. sulla confisca. Premesso, infatti, che al momento dell’accordo fra le parti, poi recepito dal giudice, vi era il sequestro in atto ed era quindi ragionevolmente prevedibile una decisione sulla sorte dei beni sotto sequestro, l’imputato ben avrebbe potuto e dovuto far valere in quella sede le sue ragioni atte a scongiurare una decisione sfavorevole al riguardo, condizionando eventualmente il patto sul punto ovvero producendo la documentazione ritenuta utile. Non avendolo fatto, non gli può certo essere consentito difendersi in fatto e produrre documenti in questa sede di legittimità. Alla inammissibilità dei ricorsi consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1500,00 ciascuno.

P.Q.M.

Visti gli artt. 615 e 616 c.p.p. dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 ciascuno alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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