Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 06-10-2010) 13-01-2011, n. 638 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. D.M. e C.U. erano entrambi imputati di atti sessuali su minore.

In particolare il primo ( D.) era imputato del reato p. e p. dagli artt. 81 e 609 quater c.p., comma 1, n. 1 e n. 2, perchè con più atti esecutivi del medesimo disegno criminoso e in tempi diversi compiva atti sessuali sulla minore A.J. (nata il (OMISSIS)), spogliandola, toccandola nelle parti intime e baciandola; con le aggravanti di aver commesso il fatto su una minore di anni quattordici, a lui affidata per ragioni di educazione essendo il suo professore di religione (acc. in (OMISSIS) nel corso della seconda metà del 2004).

Il secondo ( C.) era imputato del delitto p. e p. dagli artt. 81-609 quater c.p., comma 1, n. 1, perchè con più atti esecutivi del medesimo disegno criminoso e in tempi diversi compiva atti sessuali sulla medesima minore A.J.; in particolare la spogliava, la toccava nelle parti intime, le praticava rapporti orali e, infine, si faceva masturbare dalla minore; con l’aggravante di aver commesso il fatto su una minore di anni quattordici (acc. in (OMISSIS) nel corso degli anni 2002,2003, 2004).

2. Il Gup presso il Tribunale di Bergamo, con sentenza in data 13 luglio 2007, dichiarava C.U. e D.M. colpevoli dei reati loro rispettivamente ascritti uniti dal vincolo della continuazione e, concesse ad entrambi le attenuanti ex art. 62 bis c.p., equivalenti alle contestate aggravanti per il D., condannava C.U. alla pena di anni sei di reclusione e D.M. alla pena di anni quattro di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.

Disponeva nei confronti di C.U. e D.M. l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente la tutela e la curatela, la perdita del diritto agli alimenti e l’esclusione dalla successione di A.J. e l’interdizione perpetua, per entrambi, da qualsiasi incarico nelle scuole di ogni ordine e grado e da ogni ufficio o servizio in istituzioni o altre strutture pubbliche o private frequentate prevalentemente da minori.

Condannava C.U. e D.M. al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita A.J., legalmente rappresentata dai genitori A.G. e M. I., da liquidarsi in separata sede civile.

3. Questi i fatti del processo. La iniziale denuncia degli abusi sessuali subiti dalla piccola J. è fatta dalla madre ( M. I.) della minore, J., presso l’associazione Prometeo;

questa aveva riferito di aver appena saputo dalla figlia di essere stata oggetto di attenzioni sessuali, da un certo tempo, sia da parte del vicino di casa, che del curato della parrocchia. La donna, dopo aver inquadrato la situazione familiare, i suoi difficili rapporti con la figlia adolescente, il suo carattere mutato negli ultimi tempi, e l’accentuata aggressività della ragazza, riferiva di aver notato dei segni inequivoci sulla minore la sera dell’11/12/2004, quando la vide tornare verso le 23 con un rossore sul labbro, lo sguardo perso nel vuoto e gli occhi spalancati. Quella sera non riuscì a sapere nulla, ma il 14/12 unitamente al marito, riuscì ad affrontare la figlia, e la ragazza era scoppiata piangere, riferendo che la sera dell’11, dopo essere stata al cinema con i ragazzi dell’oratorio e Don M. ( D.), questi aveva accompagnato lei per ultima a casa con la sua auto, si era fermato vicino ad un torrente, l’aveva baciata e toccata nelle parti intime.

La donna raccontava che nei mesi precedenti il curato si era presentato a casa loro autoinvitandosi per un caffè, e con un pretesto aveva raggiunto la camera della ragazza, scoprendo poi che l’aveva fatta sedere sulle ginocchia e, facendole il solletico, l’aveva toccata subito dopo.

Dopo l’11.12 essi genitori avevano letto alcuni SMS inviati da Don M. alla ragazza, sia prima che dopo l’11/12, dal contenuto non equivoco.

Ella si era rivolta al superiore di Don M., esponendo l’accaduto e successivamente questi si era presentato a casa loro, chiedendo, senza esito, di colloquiare con la ragazza, ed ammettendo di averle dato solo qualche bacetto.

Quando il prete era stato allontanato, essi avevano scoperto che la ragazza, che era rimasta nella sua camera, era in preda ad un attacco di panico.

A fine gennaio, notando ancora un comportamento aggressivo e ribelle ne Ila ragazza, l’avevano ulteriormente invitata a confidarsi e questa aveva riferito che anche il vicino C. la toccava da tre anni, confessione che non li coglieva di sorpresa, avendo essi nutrito negli ultimi tempi sospetti simili, tanto che loro, notando un comportamento morboso dell’uomo nei confronti della ragazza, l’avevano già invitato a non fare regali alla ragazza. I genitori consegnavano agli inquirenti copia dei messaggi telefonici inviati alla minore dai due imputati.

Nel corso delle indagini veniva escusso il parroco di (OMISSIS), il quale riferiva di aver saputo, in prima battuta, dei fatti compiuti da Don M. verso la metà dicembre del 2004 da C.U., qualificatosi amico della famiglia della minore.

Disposti accertamenti presso le abitazioni degli imputati, venivano sottoposte a sequestro le schede Sim da loro utilizzate;

successivamente si disponeva con incidente probatorio, nelle forme dell’audizione protetta, l’ascolto di J., che confermava quanto riferito dai genitori in denuncia.

4. Quanto al D., il primo giudice valutava sussistente la prova della sua penale responsabilità, rilevando che, sia in incidente probatorio, che ai genitori e con le persone con le quali la ragazza si era confidata, questa aveva ricostruito i fatti nei medesimi termini. In particolare, su quanto accaduto la sera dell’11/12, la ragazza aveva raccontato ai genitori di essere stata baciata, e di ciò questi avevano notato, quale rincontro, il rossore sul labbro; aveva inoltre riferito che l’uomo l’aveva penetrata con le dita.

Si valutava irrilevante la circostanza che J. avesse raccontato ad un suo coetaneo che, nella medesima circostanza, Don M. avesse solo cercato di baciarla, in quanto tale difformità appariva in linea con il suo naturale riserbo nei confronti dell’amico. Prova della veridicità della ricostruzione veniva tratta da un chiarissimo SMS sull’argomento inviato la notte dei fatti al C., nel quale la ragazza raccontava dettagliatamente quanto accadutole.

La negazione del D. sul punto, che aveva ammesso solo di averla baciata, non poteva ritenersi attendibile, alla luce di quanto dallo stesso imputato scritto alla ragazza con messaggio telefonico il giorno successivo, nel quale egli dichiarava di non aver avuto intenzione di farle del male e la scongiurava di non rovinarlo.

L’ipotesi che il male a cui si faceva riferimento fosse solo quello psicologico doveva essere esclusa, in quanto la ragazza era innamorata del prete, e di ciò questi risultava pienamente consapevole, sulla base delle sue affermazioni, contenute negli atti processuali.

Per contro, proprio i riferiti toccamenti invasivi giustificavano la reazione della ragazza notata dai genitori quella sera ed il malessere che ne era conseguito.

Inoltre il Vescovo ausiliario di Bergamo aveva riferito che Don M., dinanzi a lui, pur affermando di sentirsi tranquillo, aveva chiaramente ammesso che i toccamenti avrebbe potuto evitarli, intendendosi necessariamente con tale termini quelli di natura sessuale.

Si ritenevano inoltre provati gli altri atti sessuali compiuti sulla ragazza in precedenza, circa una decina di volte, in occasione delle sue presenze in casa di J., in assenza dei genitori, presenze durante le quali questa affermava di essere stata spogliata e toccata, ancorchè mai penetrata, e che lui non si era mai spogliato.

Conferma di tali accadimenti venivano ancora una volta tratti dal SMS inviato dal D. alla ragazza il 9/12, nel quale egli diceva ".. ti immagino sopra di me mentre ti tocco tutta quanta"; il che dimostrava l’antecedenza dei fatti rispetto all’11/12, nonchè la natura materiale e non spirituale del contatto, come invece pretesamente ricostruito dall’imputato.

5. Quanto al C. il primo giudice, dopo aver integralmente riportato le risultanze dell’incidente probatorio, rilevava come l’uomo aveva instaurato un approccio confidenziale e seduttivo con la ragazza, che aveva frequentato la sua abitazione fin da piccola.

Messe a confronto le versioni della coppia C.- B., che affermava di essersi presa cura della ragazza, in forte conflitto con la famiglia, proprio per aiutare il gruppo familiare, e quanto riferito dal padre di J., che assumeva che l’azione del C. era stata volta proprio ad esacerbare tali contrasti, il primo giudice riteneva più affidabile la seconda versione, anche alla luce del comportamento tenuto da C. quando era venuto a conoscenza, sicuramente in epoca antecedente all’11/12, della natura del rapporto tra la ragazza e Don M.. In particolare, mentre l’imputato assumeva di aver subito riferito l’accaduto al genitori, questi invece avevano fatto risalire i loro sospetti all’11/12, e la certezza alla conversazione con la ragazza del 14/12, in assenza quindi di alcun intervento in argomento da parte di C..

La ragazza aveva riferito che il C., saputi i rapporti con il prete, aveva reagito dicendo "vado e gli spacco la faccia", e le aveva consigliato di non aprirsi con i genitori, perchè non le avrebbero creduto; inoltre il parroco di (OMISSIS) aveva riferito di aver saputo dell’accaduto nella metà di dicembre proprio da C., che solo in una seconda visita si presentò in compagnia del padre della ragazza.

Il giudicante valutava tale reazione quale quella di un amante geloso, piuttosto che di una persona interessata a ricostruire il rapporto di fiducia tra la ragazza ed i genitori, rendendo credibile quanto riferito dalla minore in merito all’atteggiamento opposto, tenuto in realtà dal C. con lei.

Ulteriori elementi di riscontro sulla ricostruzione in termini di non assoluta innocenza del legame tra C. e J. il giudice traeva dalla frequenza dei contatti tra i due attraverso messaggi di testo telefonici, che, nel periodo controllato, potevano quantificarsi in circa 20 al giorno, oltre che nell’orario notturno nel quale tali contatti avvenivano, e nel testo di alcuni di messaggi, che rivelavano un modo di fare seduttivo dell’uomo, che valorizzava la bellezza di J..

In contrario non si riteneva di poter concludere sulla base delle indagini difensive, che avevano addotto le testimonianze delle amiche di J., le quali avevano riferito dei consigli dati dall’uomo, a vantaggio dei genitori della ragazza, ben potendo immaginarsi che C. fornisse dinanzi ai terzi un’apparenza accettabile e normale del suo rapporto della ragazza, analoga a quella che poteva aver offerto anche alla propria compagna, che aveva testimoniato in tal senso.

Circa più specificatamente agli atti sessuali compiuti sulla minore il primo giudice riteneva attendibile la narrazione della ragazza quanto agli abusi subiti. Inoltre traeva conferma della compatibilità di quanto riferito con la personalità di C. dal rinvenimento sul suo computer di foto che ritraevano la parte genitale ed il seno di una ragazza coetanea di J., che davano conto dell’atteggiamento seduttivo che l’uomo realizzava con ragazze di quella fascia d’età.

Il giudice valutava più grave la condotta tenuta dal C., per la tenera età della ragazza in cui era iniziato l’illecito, che aveva inciso profondamente sulla psiche della minore.

5. Avverso la pronuncia di primo grado gli imputati proponevano appello.

La Corte d’Appello di Brescia, prima sezione penale, con sentenza del 21 maggio 2009 confermava integralmente la sentenza del G.u.p. del Tribunale di Bergamo e condannava gli appellanti, in solido tra loro, al pagamento delle maggiori spese processuali, oltre che alla rifusione delle spese di rappresentanza della parte civile.

6. Avverso questa pronuncia gli imputati C. e D. propongono distinti ricorsi per cassazione rispettivamente con sei motivi e con un unico articolato motivo e con motivi aggiunti.

Motivi della decisione

1. Entrambi i ricorsi degli imputati sono infondati.

2. Infondato è il ricorso del D. che si duole del mancato riconoscimento del fatto di minore gravità ex art. 609 bis cod. pen., comma 3.

La Corte d’appello con motivazione sufficiente e non contraddittoria ha escluso che sussistessero elementi per riconoscere l’attenuante speciale.

In generale questa Corte (ex plurimis Cass., sez. 3^, 13 novembre 20 07 – 6 dicembre 2007, n. 45604) ha affermato che ai fini dell’accertamento della diminuente del fatto di minore gravità prevista dall’art. 609 bis cod. pen., comma 3, deve farsi riferimento, oltre che alla materialità del fatto, a tutte le modalità che hanno caratterizzato la condotta criminosa, nonchè al danno arrecato alla parte lesa, anche e soprattutto in considerazione dell’età della stessa o di altre condizioni psichiche in cui versi.

Come anche – ha affermato Cass., sez. 3^, 13 maggio 2010-24 giugno 2010 n. 24250 – deve escludersi la concedibilità dell’attenuante speciale prevista dall’art. 609 bis cod. pen., comma 3, per i casi di minore gravità ove gli abusi perpetrati in danno della vittima si siano protratti nel tempo.

Tali parametri di valutazione sono stati correttamente presi in considerazione dalla Corte d’appello che – nell’applicarli al caso di specie – ha operato una valutazione di merito non sindacabile in sede di legittimità.

In particolare la Corte d’appello ha considerato, quanto alla gravità dei fatti, la circostanza che D. avesse approfittato del suo ruolo di animatore dell’oratorio e di insegnante di religione di J. per consumare atti sessuali; circostanza questa che li connotava – secondo l’apprezzamento della Corte territoriale – come particolarmente gravi anche in considerazione del fatto che la figura dell’imputato, per motivi professionali (essendo il D. un religioso), avrebbe dovuto essere di supporto e di aiuto per quanto la ragazza era stata costretta a subire dal C. in precedenza.

Inoltre la stessa Corte ha preso in considerazione il danno arrecato alla ragazza ed il malessere sofferto, compiutamente descritto dalla stessa.

La medesima Corte non si è poi sottratta alla valutazione specifica di una circostanza sulla quale aveva insistito la difesa dell’imputato – ossia il coinvolgimento amoroso della ragazza – osservando che l’innamoramento era solo unilaterale, della ragazza nei confronti del D., e non reciproco, sicchè, al contrario, tale coinvolgimento emotivo, che il D. non poteva non percepire, data la sua maggiore esperienza, avrebbe dovuto ancora di più indurlo ad allontanare la ragazza, e non invece ad approfittare della sua condizione psicologica di debolezza.

Nel complesso la Corte territoriale ha valutato ogni circostanza della vicenda pervenendo al motivato convincimento dell’insussistenza dei presupposti per la concessione dell’attenuante specifica suddetta.

3. Infondato e in parte inammissibile è anche il ricorso del C. articolato in plurimi motivi.

Innanzi tutto è’ priva di fondamento la censura di mancata ammissione di una prova indicata come decisiva, ossia l’esame psicofisico della minore/atteso che la sentenza impugnata motiva diffusamente sulla ritenuta attendibilità della minore abusata; nè vengono allegate, dalla difesa del ricorrente, circostanze specifiche che inducano a ritenere indispensabile l’esame psicofisico della stessa.

Inammissibile è poi, per la sua sostanziale genericità, la censura di travisamento della prova, censura che ridonda in mero dissenso valutativo delle risultanze probatorie e soprattutto delle dichiarazioni della piccola J. rese in sede di incidente probatorio.

4. Quanto poi all’allegata violazione dell’art. 81 c.p., è vero che – come affermato da questa Corte (Cass., sez. 3^, 2 ottobre 1981 – 30 gennaio 1982, n. 979) – nella determinazione della pena nel reato continuato si deve tenere conto di tutte le circostanze aggravanti ed attenuanti, concorrenti nel reato maggiore, mentre le circostanze inerenti alle violazioni meno gravi rimangono prive di efficacia.

Cfr. anche Cass., sez. 6^, 27 marzo 2008 – 30 aprile 2008, n. 17616, che ha ribadito che, in caso di condanna per reato continuato, la pena principale è quella inflitta per la violazione più grave, come determinata per effetto del giudizio di bilanciamento tra le circostanze attenuanti ed aggravanti.

Ciò implica che la riduzione della pena per le attenuanti generiche debba essere calcolata prima e non già dopo l’aumento per la continuazione.

Il giudice di primo grado – la cui determinazione della pena è stata confermata dalla Corte d’appello – ha effettivamente invertito l’ordine di questo calcolo perchè ha considerato una pena base di otto anni di reclusione, un aumento per la continuazione di quattro anni (un anno e quattro mesi per ciascuno dei tre anni del complessivo periodo di abusi sessuali sofferti dalla minore ad opera del C.) così pervenendo ad una pena di dodici anni di reclusione, sulla quale ha applicato la riduzione per le attenuanti generiche in misura però inferiore a quella massima (motivando tale scelta, non contestata dal ricorrente) – un quarto invece di un terzo – così pervenendo alla pena complessiva di nove anni di reclusione, ridotti a sei per la scelta del rito abbreviato.

Ma se il giudice del merito avesse seguito l’ordine corretto – pena base otto anni, ridotta di un quarto (e non di un terzo, per la ragione suddetta) per le attenuanti generiche, ossia di due anni e quindi pari a sei anni, ed aumentata di quattro anni per la continuazione – sarebbe pervenuto alla pena complessiva di (sei più quattro, ossia) dieci anni di reclusione, maggiore di quella effettivamente irrogata all’imputato. Ove poi si considerasse l’aumento per la continuazione pari non già a quattro anni di reclusione in termini assoluti, ma alla metà della pena base ridotta per l’applicazione delle attenuanti generiche (ciò desumendosi dal fatto che il primo giudice ha considerato congruo un aumento di pena di quattro anni su una pena base di otto anni), esso sarebbe pari a tre anni che, sommati alla pena base ridotta a sei anni, conduce ad una pena complessiva di nove anni di reclusione; ossia allo stesso risultato al quale è pervenuto il primo giudice, il cui calcolo è stato confermato dalla Corte d’appello.

Sicchè in nessun caso il ricorrente ha interesse a dolersi del criterio di calcolo della pena sotto il profilo indicato.

Un risultato favorevole sarebbe predicabile solo se si applicasse nel massimo la riduzione per la concessione delle attenuanti generiche;

ossia per un terzo invece che -come hanno fatto i giudici di merito – per un quarto. Ma si tratterebbe di una censura diversa da quella mossa dal ricorrente.

5. Infondato è invece la censura di violazione dell’art. 81 sotto l’ulteriore e diverso profilo che non risulterebbe il numero degli episodi di abuso. E’ infatti sufficiente a legittimare l’aumento della pena per la continuazione nel reato contestato che risultino, come accertato dai giudici di merito con valutazione in fatto delle risultanze probatorie, plurimi abusi sessuali protrattisi per un periodo di tre anni.

Inammissibile è infine la richiesta, in pendenza di ricorso, di sospensione dell’esecuzione della condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile ex art. 612 c.p.p. in mancanza della prospettazione di un danno grave ed irreparabile, non senza considerare che una volta pronunciata la sentenza che definisce il ricorso non c’è più spazio per la sospensione dell’esecuzione da parte del giudice penale.

6. Pertanto il ricorso va rigettato con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione di quelle di parte civile nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso di D.M. e C.U. e li condanna al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese di parte civile liquidate in complessivi Euro 3.000 (tremila) oltre spese generali ed accessori di legge.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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