Cass. civ. Sez. V, Sent., 04-02-2011, n. 2716 Appello del contribuente e dell’ufficio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1. G.C. propone ricorso per cassazione nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dell’Agenzia delle Entrate (che non hanno resistito) e avverso la sentenza con la quale – in controversia concernente impugnazione di avviso di mora relativo a Irpef, sanzioni e interessi per l’anno 1982 – la C.T.R. Campania riformava la sentenza di primo grado – che aveva accolto il ricorso della contribuente – rilevando che agli atti risultava rilasciata autorizzazione a proporre appello D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 52, comma 2; che l’iscrizione era da considerarsi tempestiva in quanto effettuata nel rispetto dei termini di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17; infine che nel giudizio d’appello le parti possono produrre nuovi documenti anche se ne erano in possesso già nel corso del processo di primo grado.

2. Col primo motivo la ricorrente, deducendo violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 52, comma 2, e L. n. 212 del 2000, art. 1 anche in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, si duole che l’autorizzazione a proporre appello non sia stata allegata all’atto d’appello.

La censura è infondata, alla luce della univoca giurisprudenza di questo giudice di legittimità (alla quale il collegio intende dare continuità in assenza di valide ragioni per discostarsene), secondo la quale l’autorizzazione prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 52, comma 2, configurabile come presupposto processuale, deve essere anteriore alla proposizione del gravame e, pur non dovendo essere notificata alla controparte nè sussistendo l’obbligo di riportarne gli estremi nell’atto di impugnazione, occorre che sia depositata fra gli atti di causa, necessariamente nell’ambito del giudizio di secondo grado (v. Cass. n. 1914 del 2008).

Il secondo motivo (col quale si deduce violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 32 e 58 anche in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), nonchè il terzo (col quale si deduce violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 17 e 25) e il quarto (col quale si deduce violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7 anche in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5) sono inammissibili, quanto alle censure per violazione di norma sostanziale o processuale, per assoluta inidoneità dei relativi quesiti di diritto (coi quali si chiede rispettivamente: "decade dalla prova l’Ufficio che non esibisce sin dal primo grado gli atti prodromici all’emissione dell’atto impositivo?"; "viola il termine perentorio previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25 il ruolo predisposto nel 1994 e notificato nel maggio 2002?"; viola la L. n. 212 del 2000, art. 7 la cripticità dell’atto impositivo ed introduttivo del processo tributario di cui al presente processo?").

In proposito, è da rilevare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità (v. tra le altre SU n. 7257 del 2007), la funzione propria del quesito di diritto è di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla sola lettura del quesito medesimo, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, quale sia l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare, con la conseguenza che devono ritenersi inammissibili i motivi che (come nella specie) si concludano con quesiti astratti, generici e in ogni caso non autonomi (ossia non contenenti tutte le informazioni necessarie a consentire una risposta utile alla definizione della controversia senza ricorrere alle informazioni contenute nel relativo motivo) nonchè inidonei ad esprimere la rilevanza della risposta al quesito ai fini della decisione sul motivo (v. tra molte altre, da ultimo, Cass. n. 7197 e n. 8463 del 2009 nonchè SU n. 7433 del 2009). Quanto al richiamo all’art. 360 c.p.c., n. 5 contenuto nelle intestazioni del primo, del secondo e del quarto motivo, premesso che non è ammissibile censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 che non riguardi l’accertamento in fatto bensì la motivazione in diritto, occorre evidenziare che, al richiamo contenuto nell’epigrafe dei su indicati motivi non corrisponde, nello sviluppo dei motivi medesimi, alcuna denuncia di vizio di motivazione nè risulta esposta l’illustrazione richiesta dalla seconda parte dell’art. 366 bis c.p.c. e comunque non risultano indicati fatti controversi e decisivi in ordine ai quali si sarebbe configurabile un vizio della motivazione.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato. In assenza di attività difensiva, nessuna decisione va assunta in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *