Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 22-09-2010) 13-01-2011, n. 668

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1 – La Corte d’Appello di Trieste, con sentenza 24/2/2009, confermava la decisione 8/10/2007 del Tribunale di Pordenone, che aveva dichiarato T.F. colpevole del reato di cui all’art. 336 c.p. e, in concorso delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva, lo aveva condannato alla pena, condizionalmente sospesa e condonata ex L. n. 241 del 2006, di mesi sei di reclusione.

L’addebito specifico mosso all’imputato e, di avere minacciato, nel corso di una telefonata effettuata in data 28/3/2003, il consulente tecnico d’ufficio F.A., che doveva procedere, per incarico del Giudice dell’esecuzione, alla stima del valore dell’immobile pignorato (casa di abitazione) in danno dello stesso imputato e di sua moglie, al fine di costringere detto consulente ad omettere l’atto d’ufficio.

Il Giudice distrettuale riteneva, sulla base della puntuale e attendibile testimonianza del F., che la condotta posta in essere dall’imputato integrava il reato contestatogli: il T., infatti, nel momento in cui contattò telefonicamente il F., intimandogli di non presentarsi presso la sua abitazione altrimenti gli avrebbe "spaccato la faccia", era ben consapevole di interloquire con il CTU, dal quale aveva ricevuto, proprio quello stesso giorno (28/3/2003), la lettera raccomandata che lo preavvertiva del sopralluogo da effettuarsi il successivo 4 aprile, per visionare l’immobile al fine di determinarne il valore.

2 – Ha proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, l’imputato, denunciando il vizio di motivazione della sentenza in relazione ai seguenti profili: a) non si era dimostrato che la telefonata minacciosa incriminata fosse stata fatta da lui; b) la minaccia, in ogni caso, non era funzionale all’omissione dell’atto di ufficio da parte del pubblico ufficiale; c) il giudizio di bilanciamento tra attenuanti generiche e recidiva era viziato dalla circostanza che quest’ultima era stata erroneamente ritenuta infraquinquennale anzichè semplice.

3 – Il ricorso è inammissibile.

La sentenza impugnata, facendo buon governo della legge penale, riposa su un percorso argomentativo che da conto, in maniera adeguata e logica, delle ragioni che giustificano la conclusione alla quale perviene.

Con la prima doglianza si deduce, per la prima volta in questa sede, la mancanza di prova in ordine all’attribuibilità soggettiva all’imputato della telefonata incriminata, circostanza questa non specificamente contestata con i motivi di appello. Ne consegue che sul punto non può essere attivato il sollecitato sindacato di legittimità.

Anche il secondo profilo di doglianza, non oggetto dei motivi di appello, è dedotto per la prima volta in questa sede e si risolve comunque in una non consentita censura in punto di fatto all’iter motivazionale della sentenza di merito.

A non diversa conclusione deve pervenirsi in ordine al profilo di censura relativo al giudizio di comparazione tra le accordate attenuanti generiche e la ritenuta recidiva specifica, che è tale, essendo stato l’imputato già condannato, con sentenza 14/2/2001 (irrevocabile il 21/12/2001) della Corte d’Appello di Trieste, per violazione della normativa sulle armi.

4 – Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla cassa delle ammende della somma, che stimasi equa, di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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